Vedo la luce del sole, finalmente è iniziato il mio Purgatorio

di

Greta, 13 anni

Era il 6 marzo 2020 quando ci dissero che le scuole avrebbero chiuso per quattordici giorni, i miei amici ed io eravamo felici di questa notizia. Solo che poi questi quattordici giorni diventarono quindici, poi sedici, poi diciassette, fino a quando non fu  proclamato il lockdown totale.

Le reazioni della mia famiglia furono diverse: mia madre cominciò a produrre pane, dolci e pasta fatta in casa in una quantità incredibile; mio fratello, di dieci anni, rischiò in quei giorni di diventare campione mondiale di non so quale videogioco; mio nonno si eclissò nel suo paese di nascita in Abruzzo, dove aveva contatti solamente con le pecore della vicina e, naturalmente, con la vicina; mio padre cominciò ad armeggiare tutto il giorno in garage, probabilmente stava costruendo qualcosa per casa; per i miei cugini e per i miei zii, che vivevano in Piemonte, ogni momento era diventato buono per fare delle “video chiamate di famiglia”, come le chiamava mio fratello.

Io invece, passavo le giornate a disegnare, leggere o a chiacchierare al telefono con qualche amica. All’inizio nessuno di noi si era preoccupato particolarmente della situazione e non avevamo avuto troppi problemi a rimanere confinati in casa. Poi però, quando iniziammo a vedere che le cose peggioravano sempre di più, qualche timore era cominciato ad arrivare e la noia era diventata la protagonista di tutte le nostre giornate.

L’unico che non sembrava risentire della situazione era mio fratello, che a guardarlo giocare beatamente ai suoi videogiochi preferiti, sembrava aver riscoperto il suo habitat naturale. Da parte mia, non vedevo l’ora che tutta quella storia finisse per poter tornare a fare la mia vita di sempre. Non chiedevo tanto, rivolevo solamente la normalità. Mi mancavano le uscite con i miei compagni di classe, le lezioni di danza e un po’, incredibile ma vero, anche andare a scuola.

Anche i miei amici erano nella mia stessa situazione, e vedevo che alcuni di loro non rispettavano la quarantena e si vedevano nonostante tutti i divieti che ci erano stati imposti. All’inizio non ci avevo fatto molto caso, e cercavo di fare finta di nulla ma non era facile quando invitavano anche me ad uscire. Questa situazione aveva cominciato a scocciarmi, tanto che finii per litigare con loro per questa ragione. Ci stetti male per diversi giorni, mi sembrava così strano che nessuna delle persone che conoscevo prendesse sul serio la situazione, e cominciai a pensare che forse ero
proprio io che stavo esagerando. Anche i miei genitori sembravano più rilassati al riguardo e questo non fece altro che ingigantire i miei dubbi.

A rallegrare l’atmosfera, in aprile, ci fu la nascita della mia cuginetta da parte degli zii che vivevano a Roma. Eravamo stati tutti contentissimi di questa notizia, e non vedevamo l’ora di andare a trovarla. Persino mio nonno, che ero sicura che ormai conducesse una vita da eremita tra le montagne, era tornato in zona per vedere la nipotina. Purtroppo però, venimmo a sapere che non potevamo incontrarla, quindi ci accontentammo delle foto fatte male di mia zia, che, dicevamo, erano meglio che niente.

Questo evento contribuì a cambiare il mio stato d’animo, forse le cose stavano migliorando. Qualche giorno prima avevo anche ricevuto una chiamata di scuse da parte di una mia amica, che mi aveva detto che se non mi sentivo tranquilla, non ero certo costretta ad infrangere le normative per stare con lei. Questo, mi fece sentire molto meglio, mi dissi che forse stava tornando tutto in ordine Non mancavano però i momenti in cui mi sentivo bloccata, il fatto che non potevo fare le cose che in una situazione normale avrei potuto fare, come andare a trovare la mia cuginetta o abbracciare mio nonno, mi faceva sentire profondamente triste. Erano cose che prima del virus, consideravo scontate e a cui non davo il giusto valore che adesso è invece a me molto chiaro.

Un pomeriggio, mi arrivò un messaggio da parte dei miei compagni di classe che avevano chiesto in chat chi sarebbe voluto andare con loro a fare una passeggiata in piazza. Forse fu un po’ a causa di quella sensazione di miglioramento generale che avevo percepito, o del fatto che ero stufa di rimanere chiusa nella mia camera, che
accettai l’invito. Effettivamente quel pomeriggio mi sentii come se nulla stesse succedendo, mi sembrava come se fossi tornata a respirare dopo un minuto di apnea. E da quell’uscita ne seguirono delle altre.

Il virus nella mia mente era così lontano che sembrava quasi non esistere più. La sua esistenza riaffiorava solo la sera quando ero solita chiamare mio nonno. Mi mancava moltissimo da quando non ci potevamo più incontrare, ed ero contenta che almeno potessimo sentirci per telefono. Alla fine di ogni conversazione, lui mi salutava e mi diceva di stare attenta al virus, perchè era una cosa seria e me lo dovevo ricordare. In realtà in quei momenti non me ne rendevo conto, ma lui era davvero spaventato dalla situazione, e aveva ragione. Io gli rispondevo che lo avrei fatto
e poi ci davamo la buonanotte dandoci appuntamento al giorno dopo.

Tutto questo era entrato a far parte della mia routine giornaliera. Mi sentivo in colpa perché ero sicura del fatto che quando chiudevo la telefonata, mio nonno aveva fiducia che io mi comportassi sempre bene, ma il giorno dopo la voglia di incontrare i miei amici era più forte. Una sera, provai a chiamare mio nonno come sempre, ma non mi rispose. Era strano, non era mai successo prima. Chiamai mia madre e mi bastò guardarla negli occhi per capire che qualcosa non andava. Lei preoccupata mi disse che quella mattina il nonno aveva scoperto di essere risultato positivo al covid, e che in giornata lo avevano portato in ospedale nei reparti di terapia intensiva. In quell’istante mi sentii girare la testa e il pavimento mi sembrò ruotasse.

Fino a quel momento nulla di quello che stava accadendo avevo sentito mi toccasse personalmente. I numeri che ascoltavo in televisione per me, erano soltanto numeri. Ora tutto all’improvviso sembrava vero, era come se mi fossi svegliata da un sogno per poi venire a sapere che non rappresentava altro che la realtà. Improvvisamente sentii sulle spalle tutto il peso della situazione. Furono giorni terribili, dominati dalla paura e dallo smarrimento più totale. I miei
genitori, le guide della mia vita, sembravano smarrite più di me e questo mi rendeva ancora più vulnerabile. Da quel momento furono le parole pronunciate dal nonno alla fine della giornata ad indirizzare i miei comportamenti, non mi feci più influenzare da nessuno e presi la situazione sul serio. Lo dovevo fare per mio nonno.

Nei giorni successivi non feci altro che pensare a lui che fortunatamente, stava lentamente migliorando. Dopo circa tre settimane, fu dimesso. Ci mostrò orgogliosamente la risposta del tampone dove risultava negativo. Eravamo felici, ero felice più di quanto non lo fosse lui. A distanza posso dire con certezza che questa è stata una delle esperienze più brutte della mia vita, il mio viaggio personale nella selva oscura che non augurerei a nessuno, neanche al mio più acerrimo nemico.

Ora mi trovo ad affrontare un nuovo lockdown, ma lo sto facendo in modo completamente diverso da come ho affrontato il primo. Lo sto facendo con la stessa impazienza di tornare alla normalità di un anno fa, con la stessa nostalgia di fare quello che prima si poteva fare, ma questa volta anche con la consapevolezza che mi sto impegnando per far sì che questo accada. Non sono più all’Inferno è iniziato il mio Purgatorio e sulla sommità del monte vedo chiara la luce del sole.

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