Solo insieme possiamo ritrovare la speranza

di

Miriam, 14 anni

“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita”, cita il celebre Dante, padre della letteratura italiana.

Ammetto che quando sentii questi versi per la prima volta, non ne compresi immediatamente il significato. O, per lo meno, quello più profondo. Credo anche, però, che il loro più intimo senso muti, per ciascuno di noi, in base agli eventi che contornano il nostro vivere di ogni giorno.

Credo che sia quella tetra selva, intrisa da un’oscurità da cui non sembra esserci via d’uscita, a rispecchiare la fragilità dell’essere umano. La fragilità che si cela tra i fitti rami di quegli alberi che sembrano non lasciare alcuna via di scampo, che sembrano mozzarti il respiro. Sembrano tagliarti le ali, quando l’unica cosa che vorresti è poter almeno riprovare a riprendere il volo. Vorresti solo scappare da quella situazione difficile che stai vivendo, da quel senso di colpa
che non si decide a scrollartisi di dosso.

Ma è vero, in fin dei conti, che la vita è colma di difficoltà e di ostacoli, e di labirinti che non sembrano avere soluzione. È come una tattica di gioco, che la vita riserva ad ognuno di noi. Come una partita di scacchi. Come quando l’avversario ti incastra in una trappola da cui non sai come svincolarti. Allora ti chiedi se è davvero il caso di arrendersi, se ne vale la pena, dopo aver sacrificato così tanto per arrivare fin lì. Per arrivare a sfidare l’avversario più forte, o meglio, il più forte che potesse mai capitarci di sfidare.

Vi siete mai chiesti il perché della scelta di Dante, nell’utilizzare il plurale nel primo verso del suo più celebre capolavoro? Il suo intento era quello di porre, fin dall’inizio, la sua individuale esperienza su un piano universale, che riguardasse, quindi, tutto il genere umano. E credo che questa sua precisa volontà possa immediatamente ricondurre il nostro pensiero ad una situazione che, ahimè, ci accompagna da più di un anno a questa parte.

La selva oscura in cui mi sono ritrovata anch’io, in prima persona, a sentirne il giogo sulle spalle e percepirne l’incombenza. La selva oscura che mi ha precluso l’opportunità di poter fare ciò che più amo, di poter alimentare le mie passioni più grandi, come l’arte e la musica. Perché solo le passioni, le grandi passioni, possono elevare l’anima a grandi cose.

È stata una situazione inaspettata, arrivata con prepotenza nella vita di ognuno di noi, pronta a scombussolare i nostri piani, i nostri progetti. Tutto ciò che sognavamo, a cui aspiravamo, ci è stato brutalmente strappato di mano, senza alcuno scrupolo. Numeri, grafici, statistiche, sono diventati il nostro pane quotidiano. Giorni che sembravano essere offuscati dalla noia di quei minuti infiniti, riempiti solo dalla lentezza delle lancette che non si decidevano a scorrere più velocemente. Riempiti dalla solitudine che si faceva largo tra i nostri rimpianti, i nostri sensi di colpa, che ritornavano a galla, e che non ci avrebbero abbandonato tanto facilmente.

“Sono periodi bui”, sentivamo di tanto in tanto dalla televisione, accesa solo con la speranza di trovare un po’ di conforto. Ed ogni volta che pigiavamo l’interruttore di quell’aggeggio che ormai accompagnava ogni istante delle nostre giornate vuote, speravamo di trovare anche solo un briciolo di speranza. Speravamo di sentire quella fatidica frase. “La guerra è finita. Tutto può tornare come prima”.

Quanto avremmo voluto che fosse successo davvero. Quanto avremmo voluto, e vorremmo ancora, riappropriarci di quello che ci è stato strappato via. Delle opportunità che non abbiamo potuto cogliere. Di tutto quello che avremmo potuto fare. Dei momenti che avremmo potuto vivere. Ma che ci siamo solo limitati a sognare, e a desiderare con le lacrime agli occhi.

Ci siamo ritrovati a ricordare tutte quelle piccole cose, quei piccoli gesti, che prima ci sembravano così normali e consueti, ma a cui ci siamo ritrovati a dare importanza da un momento all’altro. Quei gesti così piccoli, quasi impercettibili, che si nascondevano nell’ombra della quotidiana normalità. Quei gesti così piccoli, che mai ci saremmo aspettati di voler riavere indietro.

Quei piccoli grandi gesti, che sono quelli che contano davvero. Quei piccoli grandi gesti intrecciati tra loro fino a formare una gabbia di ricordi, in cui siamo stati intrappolati per così tanto tempo. I ricordi della nostra vita, di quella vita che tanto ci manca. Ricordi che affiorano uno dopo l’altro, fitti come gli spogli e scarni rami della selva oscura. Quella quasi impenetrabile selva in cui vagavamo come delle pecore smarrite, e in cui vaghiamo tutt’ora.

Continuiamo a essere intrappolati nel nostro vedere tutto di nero. Non riusciamo, nonostante gli affanni, a trovare una via di uscita, una speranza. Non riusciamo a spiccare il volo. E forse è proprio a causa della nostra incapacità di riuscire a intravedere i raggi del sole tra gli oscuri rami della foresta, che siamo ancora intrappolati in questa gabbia.

Perché la soluzione è combattere questa guerra insieme. Rimboccarci le maniche e stringerci gli uni agli altri, per riuscire finalmente a trovare anche solo un briciolo di speranza, per poter affrontare un subdolo, silenzioso ed invisibile nemico. Perché ritrovarsi insieme è un inizio, restare insieme è un progresso, ma riuscire a raggiungere un obiettivo insieme è un successo.

Un successo che ci porterà a riuscire finalmente a schiudere quegli occhi accecati dall’egoismo, per poter ammirare, usciti dall’oscura e tenebrosa selva, quel colle che tanto abbiamo sperato di vedere.
Quel colle che “la paura un poco queta”.
Quel colle illuminato da una luce viva e fulgida.
Quel colle. La nostra unica via di salvezza.

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