Ho paura di essere diversa dalla persona che ero prima

di

Ilenia, 14 anni

Mi ritrovo in una selva oscura, nessuna luce, solo buio; nessun rumore, solo silenzio; nessuno, solo io.

Mi guardo intorno, ma non riconosco il luogo in cui mi trovo; urlo, ma non sento la mia voce. Se guardo attentamente, però, alcuni particolari mi sembrano familiari, è la mia stanza, la stessa di sempre, con la scrivania, il pianoforte, il letto, gli oggetti a me cari, il mio solito profumo.

C’è una persona, mi avvicino, sono io, intenta a guardare il vuoto, il niente.
Intorno a me una coperta, mi avvolge, ma non mi riscalda, non trasmette calore, ma emozioni negative, fredde, o forse sono io che le trasmetto a lei.

Non mi piace guardare me stessa, vedermi triste, fragile, arresa. Voglio uscire dalla mia camera, mi avvicino alla porta, ma non si apre. Sono bloccata, esattamente dove non vorrei essere, tra me e me.

Mi avvicino alla finestra, fuori il cielo è nuvoloso, tutto è grigio, eppure intravedo delle sagome passare, alcune di loro si girano verso di me, nei miei occhi la gioia e sulle mie labbra un sorriso, le riconosco, sono quelle dei miei amici; saluto tutti con la mano, aspetto, ma non ricambiano. Dopo non molto tempo, si voltano e se ne vanno, come se niente fosse successo, come se non mi avessero vista, come se non ci fossi mai stata.

Ora sul mio volto affiora un’espressione triste, e dal mio occhio stilla una lacrima. Vorrei essere lì con loro, a ridere, scherzare, parlare. Vorrei che loro mi volessero lì. Continuo ad osservare dalla finestra, all’improvviso nessuno più cammina, sono tutti in casa, da quel che vedo anche loro hanno un aspetto angosciato, come il mio, ma questo non mi fa sentire meglio.

Voglio vedere la mia famiglia, voglio rifugiarmi sotto l’ala dei miei affetti più cari, ma non riesco ancora ad aprire la porta. Non voglio stare sola, ma non posso fare altro.

Sono in una selva oscura, non per mia scelta, non per mia colpa. Ma mi sto abituando all’idea, e forse questa selva si sta schiarendo, o sono io che inizio a scurirmi con lei. Non sono più ferma a fissare il vuoto, ora ho gli occhi chiusi e non sono più avvolta dalla coperta, non sento più il freddo, sono rassegnata, indifferente, sottomessa dai brutti pensieri.

Ora che accetto di dover rimanere in questo luogo, ora che rinuncio alla speranza di tornare alla mia felicità, se mi giro verso la porta, noto che è aperta, ma non so se voglio ancora uscire.
Ho paura di oltrepassare quella soglia e di essere diversa della persona che ero prima di varcarla; ho paura di uscire e sapere che gli altri non sono più come erano prima.

Vorrei una guida, un Virgilio, che mi aiutasse a scegliere cosa fare, ma non c’è nessuno con me. Essere da sola mi fa riflettere, mi fa capire che mi mancano gli altri, mi manca la mia famiglia.

Decido di varcare l’ingresso, o meglio l’uscita, della mia selva oscura. Non sono la stessa persona, sono cambiata, la mia selva oscura mi ha fatto capire che potrei vivere sola con me stessa, ma continuerei a sentire un profondo senso di vuoto, che la solitudine non può far altro che ampliare.

Mi volto indietro e, osservando con più attenzione, noto che forse la porta era sempre rimasta aperta, ed ero io a ruotare la maniglia nella direzione sbagliata. Scruto nuovamente la mia camera, la stessa di sempre, con la scrivania, il pianoforte, il letto, con gli oggetti a me cari, il mio solito profumo; c’è solo una piccola differenza, adesso riflette la luce del sole.

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