“Come stai?” Non me lo avevano più chiesto

di

Benedetta, 15 anni

Era soleggiato e il cielo era privo di nuvole, avrei giurato che in quell’azzurro non potesse celarsi nessun’altra cosa. Nonostante fosse inverno, sentivo un briciolo di calore del sole sulla pelle direttamente dal finestrino della macchina.

Mio padre mi aveva portato, o meglio obbligato, a fare la spesa con lui, l’unica cosa concessa da fare fuori dalle proprie case, e io me ne stavo dietro ad ascoltare la musica con le cuffiette attaccate al telefono.

Ascoltavo continuamente la musica, avrò premuto chissà quante volte il tasto play e i social erano l’unica fonte di felicità, sapere che non solo io mi trovavo in quella situazione era confortante.

Quando spense la macchina per scendere ed entrare in negozio si fermò e si girò verso di me esaltato.

“Scendi?”

Mi dispiacque distruggere quell’entusiasmo.

“No, resto in macchina” avevo cercato di essere la più disinvolta possibile, non volevo che iniziasse ad arrabbiarsi ed alzare le mani come aveva fatto con mamma. Non che seguissi molto le loro vite, ma purtroppo ero costretta a stare in casa e a osservare le scene di ira di mio padre contro mia madre.

Quando mio padre insistette dovetti cedere, magari mi avrebbe punita a casa.

Immaginai di entrare nel supermercato, vedere nuova gente, da tempo che non vedevo un volto che non fosse diverso dalla mia famiglia. Quasi stavo sperando di provare qualcosa, un’emozione nuova finalmente. Entrai sempre con le cuffiette nelle orecchie, il cappuccio della felpa sulla testa e la mascherina.

C’era poca gente, come giusto che fosse, e tutti indossavano la mascherina. Non riuscivo a riconoscere nessuno. Decisi di seguire mio padre. I miei passi rischiavano di rovinare quel religioso silenzio. Mi diressi verso il reparto dei dolciumi. Mi stavo ingozzando di schifezze fino a sentirmi male. Avevo preso 5 chili, ma non me ne importava.

Erano l’unica fonte di soddisfazione in quei momenti. Notai una ragazza vicino a me, intenta a guardarmi. Provai un profondo disagio non sapendo cosa fare. Se non fosse stato per la voce non l’avrei mai riconosciuta.

“Eve sei tu? Da quanto tempo! Come stai?”

Jessica, la mia compagna di classe era lì che mi stava parlando. Ancora non potevo credervi. Come stavo? Non me lo avevano più chiesto. Avrei dovuto rispondere sinceramente? In realtà non lo sapevo neanche io. Male? No. Io non stavo, era quello il punto.

Non avrei mai pensato di vivere una pandemia globale.

Non riuscivo a provare più nulla, non uscivo all’aria aperta da non so quanto tempo e non parlavo con qualcuno della mia età da quello stesso momento. Stavo iniziando a credere che quelle della mia famiglia potessero essere le uniche voci esistenti. Non avevo più riso con nessuno, non avevo più pianto per nessuno, né avuto paura. Neanche l’ansia che prima mi divorava viva mi toccava più.

A questo si aggiungeva anche la scuola, con le sue videolezioni. Si stava cinque ore davanti ad uno schermo su una sedia scomoda e gli occhi in fiamme. Anche usando tutta la concentrazione del mondo, non riuscivo a capirci più di tanto.

Mi sentivo vuota.

Mi ci vollero secondi per rispondere.

“È vero non ci vediamo da un sacco di tempo! Io sto bene sono solo un po’ stanca e tu invece?” cercai di mettere entusiasmo nella frase, ma il mio tono di voce mi tradì.

Ed era vero, ero stanca, ma di tutto.

Non ne avevo più le forze di continuare, era davvero così che avrei dovuto passare il resto dei miei giorni? A malincuore cominciai ad abituarmi a quel tragico destino.

Forse lo avevo già fatto da tempo senza accorgermene.

Non avevo più il senso del dovere, né facevo attenzione a ciò che facevo. A cosa si deve prestare attenzione se si sta tutto il giorno buttati sul letto? Mi ero imbruttita, questo lo sapevo di certo. Quei chiletti non mi avevano fatto bene e con loro anche i miei nuovi brufoli in faccia, come se già non ne avessi abbastanza.

“Ah io bene, mi ha fatto molto piacere vederti Eve!” ed era sincera. Come faceva? Era una situazione di tortura e lei sembrava il ritratto della tranquillità, al contrario di me che ormai non sapevo neanche più esprimermi.

Risposi goffamente “Anche a me Jess, sei la prima con cui parlo dall’inizio di tutto questo”. Sembrava scettica.

“Ma come la prima, gli altri non li senti? Neanche per telefono?”

L’ultima ed unica volta che avevo sentito qualcuno era stato per telefono mesi fa, per chiedere i compiti ad una mia compagna. Una telefonata priva di interessamento personale.

“No, a dire la verità no”

“Noi ci videochiamiamo tutti i giorni”

Perfetto, ero ufficialmente diventata apatica.

Mi chiesi come mai non ne sapessi nulla, forse ero io a non essermi mai interessata.

“Ah” quella fu la mia unica risposta.

“Bene ora scusami ma devo andare, spero di rivederti presto Jess” mi affrettai ad aggiungere.

Non potei colmare la distanza che ci separava.

La salutai con la mano e lei fece altrettanto, dopodiché andai da mio padre.
Decisi che se avessi dovuto rivedere qualcuno, sarebbe stato senza mascherine.

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