HOME VISITING: UNA BUONA PRATICA NEL TERRITORIO BARESE

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Nel corso di questi anni di progettualità, all’interno della cornice del progetto INVIOLABILI, sono stati effettuati numerosi interventi di home visiting offerti alle famiglie presenti sul territorio barese. La presa in carico dei nuclei familiari attraverso questo servizio ci ha permesso di appurare il valore dell’home visiting come esperienza favorevole e di sostegno per la genitorialità; partendo da alcune criticità riscontrate durante questo periodo, inoltre, abbiamo avuto l’opportunità di riflettere sulle buone pratiche da adottare quando si offre un servizio così peculiare e delicato come quello dell’home visiting.

Il nostro intervento è stato rivolto principalmente a nuclei fragili rispetto ai quali sono stati rilevati alcuni fattori di rischio, come monogenitorilità, gravi conflitti familiari, grave situazione socio-economica, esposizione dei minori ad eventi sfavorevoli infantili (ad esempio violenza assistita). Nella maggior parte dei casi il contatto con tali famiglie è stato possibile grazie al sinergico lavoro di rete tra la nostra associazione ed i servizi sociali presenti nei rispettivi municipi del Comune di Bari che in maniera tempestiva ci hanno inviato i nuclei nei quali era stato rilevato un significativo disagio psico-sociale o per i quali era in atto un provvedimento da parte del Tribunale dei Minorenni; alla luce di ciò, quindi, è stato strettamente necessario dedicarsi alla strutturazione di un intervento psico-educativo a favore della genitorialità in accordo con i servizi sociali coinvolti.

Nella nostra esperienza, un aspetto di particolare rilievo ha riguardato la personalizzazione di ciascuna presa in carico al fine di offrire un aiuto mirato sulla base delle difficoltà riscontrate; in linea con questo principio, infatti, è stato importante capire i momenti della giornata in cui il genitore avrebbe potuto avere più bisogno del servizio oltre che definirne insieme i tempi di accesso, come nel caso della mamma di Maurizio (9 mesi), la quale mostrava particolare irritabilità a fronte delle resistenze del figlio durante la gestione dei pasti. Tenuto conto di questi aspetti, gli interventi sono stati poi strutturati cercando di garantire una sistematicità di frequenza sia per favorire la familiarizzazione del bambino con l’operatore, essendo questa una figura estranea che entra nella propria casa, sia per mantenere una continuità dell’intervento.

Nella maggior parte dei casi, quindi, abbiamo previsto la frequenza delle visite domiciliari due volte a settimana dalla durata di due ore ciascuna; mentre la durata complessiva del percorso di home visiting è stata variabile a seconda del caso. Nell’arco di questo periodo, inoltre, circa ogni due-tre mesi abbiamo programmato degli incontri di rete con il genitore destinatario dell’intervento per garantire spazi di confronto rispetto all’intervento proposto ed eventualmente ridefinire obiettivi ed offrire nuove strategie di intervento; ad esempio, nel caso della mamma di Roberta (bambina di 24 mesi), nucleo preso in carico nel progetto INVIOLABILI a seguito di una grave conflittualità genitoriale, tali spazi di confronto hanno rappresentato l’occasione per evidenziare sia gli aspetti funzionali del nostro intervento (percezione di essere stata supportata, utilità delle indicazioni suggeritele) sia le criticità riscontrate, come la presenza intrusiva della nonna materna, fonte di mantenimento di alcuni comportamenti problematici evidenziati nella piccola Roberta. In questo caso, infatti, e come in altri, l’esperienza di home visiting si è rivelata peculiare per il fatto di esserci dovuti adattare alla presenza in casa anche di altri familiari conviventi (fratellini, compagni del genitore, nonni, …) che sebbene in alcune circostanze abbiano ostacolato l’intervento, in altre, tuttavia, si sono rivelate una risorsa, un punto di riferimento ed un supporto per il genitore stesso.

L’intervento di home visiting, nel suo genere, è un’esperienza particolare sia per le famiglie sia per gli operatori che offrono tale servizio. Dal nostro punto di vista, infatti, ha rappresentato un’esperienza molto delicata dal momento che siamo entrati in casa, luogo di intimità e di protezione, adattandoci alla sua quotidianità e seguendone i suoi ritmi. Nel caso di Giuseppe (bambino di 11 mesi) l’osservazione in casa ci ha offerto uno spazio privilegiato non solo per assistere e gioire insieme alla sua mamma quando ha iniziato a compiere i primi passi, o a fronte del raggiungimento di altre tappe evolutive, ma anche per individuare dinamiche ed aspetti che in altri contesti non sarebbero emersi; senza tale osservazione, infatti, probabilmente non avremmo mai potuto comprendere al meglio il funzionamento di questa diade, osservando, ad esempio, che per gestire e regolare le lamentele associate alla noia la mamma di Giuseppe gli offriva del cibo piuttosto che un’alternativa funzionale di gioco. Pertanto, soprattutto nella fase inziale dell’intervento, abbiamo ritenuto importante “entrare in punta di piedi” dando spazio all’osservazione della relazione genitore-figlio, sospendendo qualsiasi forma di giudizio, astenendoci da qualsiasi forma di intervento diretto (se non strettamente indispensabile); in questa fase, infatti, la dimensione del tempo è stata rilevante: come operatori abbiamo imparato a rimanere in attesa, oltre che a saperla gestire, per comprendere meglio la situazione e per dare anche al genitore il tempo opportuno ed il modo per lui/lei più ottimale di comprendere come usare la presenza dell’operatore in casa.

Nel caso della mamma di Federico (bambino di 6 mesi) questo tempo  si è rivelato necessario per costruire una relazione positiva e di fiducia con l’operatore che successivamente ha permesso di avviare un buon intervento; inizialmente la mamma di Federico ha avuto difficoltà ad affidarsi, ad accettare la presenza del nostro operatore in casa poiché, come emerso a seguito di un confronto con la stessa, il nostro intervento era rappresentato da lei come uno “strumento di controllo”, una pratica “imposta dai servizi sociali”. Nella fase iniziale, quindi, tali credenze hanno oscurato il prezioso potenziale dell’home visiting. Nonostante tali difficoltà, è stato importante accogliere sul piano emotivo le diffidenze materne, favorendo un ascolto attivo e genuino che ha facilitato il superamento e la rielaborazione delle resistenze, permettendo alla mamma di comprendere il vero valore dell’home visiting, come poi lei stessa ci ha confessato, senza sentirsi giudicata e controllata dall’operatore.

Tra le pratiche di cui abbiamo fatto esperienza, inoltre, è stato importante porsi a fianco del genitore, come nel caso della mamma di Gaia (bambina di 8 mesi), che aveva difficoltà ad accedere allo stato mentale della figlia e che, gradualmente, abbiamo guidato nella scoperta dei bisogni richiesti da sua figlia, oltre che nell’adozione delle risposte efficaci da fornirle. In altri casi, inoltre, l’intervento si è focalizzato anche sulle risorse già a disposizione del genitore, talvolta sommerse da pensieri e vissuti disfunzionali, per favorire il senso di auto-efficacia spesso, invece, dominato da vissuti di inadeguatezza. Per tale motivo, nella nostra pratica si è rilevato proficuo non sostituirsi al genitore, piuttosto, come nel caso della mamma di Gaia, è stato funzionale stimolarne il pensiero, aiutarla a creare uno spazio mentale ed emotivo in cui fosse inclusa anche sua figlia accogliendo le necessità specifiche associate alla sua tappa evolutiva.

Complessivamente, pur facendo i conti con le diverse criticità evidenziate nel corso della nostra esperienza, l’intervento di home visiting ha rappresentato un prezioso strumento di prevenzione ed intervento in materia di maltrattamento infantile, uno strumento che per la sua delicatezza e peculiarità può essere altrettanto potente ed efficace.

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