SOSTENERE LA GENITORIALITÀ PER TUTELARE I PIÙ PICCOLI

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Non mi sono mai sentito allo stesso tempo così distaccato da me stesso e così presente nella realtà. (Albert Camus)

 

Un giorno di giugno 2022 bussa alla porta della nostra Associazione una giovane donna, orientata ai nostri servizi da uno sportello per immigrati del territorio con il quale collaboriamo.

La facciamo accomodare e lei inizia a raccontare la sua storia come un fiume in piena: durante il lockdown 2020 viveva in un centro di accoglienza insieme al suo bimbo, dal quale poteva uscire solo per fare la spesa. Un giorno Jennifer (nome di fantasia) esce per fare acquisti al supermercato lasciando il suo bambino da solo in stanza a dormire, pensando di ritornare poco dopo. Un’altra ospite della struttura, quando si rende conto che il bambino di 2 anni è stato lasciato solo, chiama gli operatori del Centro i quali, non riuscendo a mettersi in contatto con Jennifer – il cui cellulare era rimasto in camera – decidono di chiamare le autorità competenti.

Con l’applicazione dell’art. 403 cc il minore viene allontanato immediatamente e, per Jennifer si aprono due anni di processo e di valutazione delle competenze genitoriali. Jennifer piange a dirotto, ci chiede aiuto, si rende conto degli errori commessi, ammette di essere stata superficiale. Riconosce l’importanza del percorso intrapreso che le ha permesso di rafforzare le sue competenze di genitore, ma adesso vuole ritornare ad essere una madre. Attiviamo la nostra rete territoriale per offrirle sostegno, coinvolgendo attori sociali e operatori con i quali lavoriamo da tempo.

Qui in sede offriamo a Jennifer uno spazio fisico e mentale per poter sostenere il carico emotivo che vive: si crea subito un clima di rispetto e di profonda condivisione emotiva, grazie anche alla preziosa presenza della mediatrice linguistico-culturale che crea un ponte tra due culture che inevitabilmente vivono la maternità e la genitorialità in maniera diversa. Jennifer ci racconta la sua solitudine: nel suo paese d’origine è cresciuta in una comunità di donne che accudiscono insieme i bambini e per questo qui abbiamo cercato di riproporre quel “cerchio” di donne che si stringe intorno a chi è in difficoltà.

Presa in carico con il progetto INVIOLABILI, il primo passo è stato contattare il Servizio Sociale attualmente competente per la definizione di un percorso personalizzato. Jennifer è presa in carico da un CSST di un’altra regione, dal momento che all’epoca dei fatti non risiedeva in Campania. Quando però il figlio è stato collocato in una comunità campana, ha deciso di trasferirsi, eppure il caso non è stato trasferito alla competenza del servizio sociale locale.

A seguito del confronto telefonico con i referenti, si decide di redigere una relazione in cui si racconta del percorso intrapreso da Jennifer e delle attività che Pianoterra ha messo in campo a sostegno della signora, richiedendo il trasferimento del caso al CSST di Napoli; è stata inoltre sottolineata l’importanza di aver attivato una mediazione linguistico-culturale che consente di avere elementi importanti per comprendere meglio le ragioni della signora e approfondire la conoscenza di uno stile genitoriale altro. Durante il processo, infatti, così come nei vari colloqui di sostegno genitoriale e incontri protetti presso le varie casa famiglia che il piccolo ha cambiato, non è mai stata attivata una mediazione linguistico-culturale. Jennifer parla molto bene italiano, ma in un caso così delicato l’elemento culturale non può essere considerato neutro. Inoltre, Jennifer, ci comunica che il legale che la segue non la coinvolge rispetto alle cose che accadono: non le è stato spiegato cosa si intenda con la parola “adottabilità”, termine che compare nel decreto del tribunale che ci presenta. Attiviamo quindi anche una consulenza legale, affinché Jennifer possa essere comprendere a fondo cosa sta accadendo e cosa è in suo potere fare per recuperare la responsabilità genitoriale.

Il nostro compito non è di valutare se Jennifer sia nelle condizioni di prendersi cura del suo bambino e di esercitare il ruolo di madre – questo spetta alle autorità competenti – ma è di creare le giuste condizioni affinché, così come previsto dalle normative di settore, l’allontanamento di un minore dalla propria famiglia di origine possa assumere un valore costruttivo, inserendolo come tappa di un più ampio progetto volto alla ricostruzione del benessere del bambino e, se possibile, del suo nucleo familiare. Infatti, il collocamento di un bambino al di fuori della propria famiglia naturale deve avere una funzione educativa e non di sola protezione, nel senso che deve essere utilizzato principalmente come uno strumento per l’aiuto e il recupero della famiglia in difficoltà, quando questo è possibile. Si tratta non solo di prevedere un accompagnamento professionale competente, ma anche di attivare tutte le risorse della comunità sociale, promuovendo una cultura dell’accoglienza nel senso ampio di protezione dell’infanzia e di sostegno alla genitorialità, facendo rete tra servizi istituzionali, del privato sociale e della società civile in senso lato.

Per questo, l’équipe del progetto INVIOLABILI continua a rafforzare la rete degli attori presenti sul territorio per accompagnare questa donna, questa madre durante un percorso faticoso e pieno di sofferenza con l’obiettivo di tutelare il supremo interesse del minore, nel rispetto dei diritti sia della mamma che del bambino.

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