Io come Dante: dal disagio alla felicità

di

Beatrice, 14 anni

Quella della “selva oscura” è un’ efficace metafora che Dante utilizza all’inizio della Divina Commedia per indicare una fase di smarrimento e di perdizione che egli avrebbe attraversato. Momenti di sconforto se non addirittura di scivolamento verso stati negativi interessano, credo, tutti gli essere umani.

Nella maggior parte delle volte, tali fasi si superano ma a volte no. Anche a me è capitato e capita di cadere in momenti di infelicità in cui non mi sento accettata dal gruppo e vivo perciò uno stato di esclusione che non mi fa stare tranquilla.

Credo che sia qualcosa di comune a molti giovani della mia età dovuta alle incertezze e ad un non completo sviluppo fisico e psicologico. Quando mi capitano questi momenti, mi rinchiudo in me stessa e non ho voglia di parlare con nessuno. Chi mi sta intorno si accorge del mio malessere e me ne chiede la ragione, ma non riesco a parlarne perché neanche io in fondo so che cosa mi succede.

Da quando è scoppiata la pandemia tutto è peggiorato perché non si hanno occasioni per vedere gli amici e non si parla con nessuno, tranne che attraverso i social. Ho bisogno di incontrare gente della mia età, di rafforzare i rapporti con gli amici che già ho e di incontrarne di nuovi, voglio vivere nuove esperienze con i miei pari, perché la famiglia sicuramente aiuta, ma non può essere l’unico rifugio per un’adolescente come me.

Neanche la mia camera può essere l’unico spazio in cui mi muovo con disinvoltura, vorrei luoghi più ampi, abbracci e baci non virtuali, parole che non abbiano l’eco metallico degli strumenti tecnologici.

Tornando a Dante egli ci racconta nel suo poema di come sia riuscito ad uscire dalla crisi. Lo ha fatto attraverso un viaggio per i tre regni dell’oltretomba se guardiamo bene anche il viaggio è una grande metafora e lo troviamo spesso nella letteratura, pensiamo ad Ulisse e al suo viaggio verso Itaca, ad Enea e al suo viaggio verso Roma.

Ma se il viaggio è una metafora allora può anche non essere un viaggio vero e proprio, bensì un viaggiare all’interno di se stessi, del proprio animo per scoprire chi siamo e che cosa vogliamo. Il viaggio di Dante perciò ci indica la via, il cammino appunto verso quella che lui chiama la grazia, la fede ma che io vorrei chiamare anche la felicità.

E’ proprio in questo che voglio impegnarmi: trovare la via della felicità, questo dipende solo da me, potrebbe essere duro e difficile farlo ma lo farò.

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