Una giornata normale diventata un incubo
di Con i Bambini
Sara, 17 anni
Il tempo… un amico e nemico nello stesso tempo. Quei minuti che non passano mai, il desiderio di essere in una stanza blindata, il dolore e la paura. Una paura così grande da non farti respirare. Una paura che ti paralizza. Sei in balia del tempo: sarà lui a decidere quanto deve durare la “tortura”, a decidere se arriverà qualcuno a salvarti o no…
Di quel giorno posso solo dire che pensavo sarebbe stata una giornata come un’altra: alzarsi, prepararsi, andare a scuola, uscire da scuola, andare da mia nonna, studiare, fare le attività pomeridiane, cenare, guardare un film, leggere, fare la cartella e andare a letto. Invece fu così solo fino al punto in cui uscì da scuola: poi fu un incubo. Avevo 15 anni, lui come minimo 43.
Mi chiedo ancora adesso come si sia sentito ad abusare di una ragazzina che piangeva e che per la paura si è lasciata fare tutto senza muoversi e senza dire nulla. Una ragazzina che l’unica cosa che è riuscita a fare è stata quella di piangere in silenzio e di trattenere l’urlo dentro di sé: e quell’urlo non è ancora uscito. È ancora imprigionato nel suo petto.
Ho i ricordi confusi e nello stesso tempo così precisi di quello che è successo. La psicologa dice che è normale che io ricordi tutto ad attimi. Diciamo che i ricordi sono sparsi dentro di me come dei piccoli pezzi di un puzzle. La cosa brutta è che io mi sento in colpa per questo perché mi fa sentire una completa idiota.
Ricordi
Ogni volta che ho i flashback, di giorno e di notte, rivivo tutto. Tutto: il male, la paura, il suo tocco, la sua voce, i suoi baci, la mancanza di aria nei polmoni, i giramenti (e le pulsazioni) di testa, la nausea, il corpo che trema…
Non so di preciso quanto durò il tutto: circa una ventina di minuti, forse di più. Una volta accontentate le sue voglie mi diede un bacio sulla bocca; mi disse che ero stata bravissima – che ero bella – che quello era il nostro piccolo segreto; mi accarezzò la guancia destra e sorridendo se ne andò come se nulla fosse accaduto. Come se quello che aveva fatto era normale. Soddisfatto.
Persa
È brutto da dire ma lui mi ha uccisa dentro. Ha distrutto, annullato la ragazzina che ero. Ha distrutto la ragazzina sempre allegra e spensierata che ero prima di quel giorno. Ha fatto sì che non credessi più in me stessa. Quel giorno persi tutti i miei sogni. Persi la fiducia. Persi la voglia di vivere, di stare con gli altri. Persi me stessa.
Mi sento pazza… e mi sento in colpa per non riuscire a ricordare tutto nei minimi dettagli. Se ricordassi bene la sua faccia, forse, potrei sporgere denuncia. Il punto è che non riesco a ricordare alcuni particolari, come per esempio la sua faccia… Mi sento in colpa per avergli fatto fare tutto quello che voleva, senza riuscire a dire e fare nulla. Inoltre mi sento sporca, usata, violata, schifata da me stessa, mi vergogno, mi sento in imbarazzo, mi sento vulnerabile, mi sento morta dentro… Lui ha violato me e la mia anima: la mia me di prima (quella bella, felice, la ragazza che credeva nei propri sogni e nella vita, orgogliosa di se stessa, gentile, affettuosa…) ormai è morta da tempo. E non c’è niente che si può fare per riaverla indietro. E non c’è niente da fare per togliermi lui di dosso ogni giorno e ogni notte quando ho i flashback: lui è sempre “attaccato” a me. Sempre… 24 ore su 24. Forse un giorno tornerà una parte della me di prima… forse un giorno tornerò ad essere un po’ felice, forse tornerò a sognare. Lo spero tanto.
Paure
Da quel giorno la mia vita è cambiata… in peggio. Mi piacerebbe dire che ora sto meglio, che quel trauma non condiziona più la mia vita, che ho riconquistato la fiducia in me stessa (e negli altri) e la voglia di vivere. Ma non è così. Forse un giorno lo potrò dire, ma ora no. Si dice che il tempo cuce le ferite: lo spero… sono riuscita a raccontare quello che mi è accaduto solo poco tempo fa, dopo quasi due anni dall’accaduto. Il tempo mi ha aiutato a tirarlo fuori, ha fatto sì che io riuscissi ad aprirmi prima con la mia psicologa e poi, dopo qualche tempo, anche con i miei genitori…spero che mi aiuti anche a superare il trauma.
Non posso dire che quello che ho vissuto non condiziona la mia vita perché mentirei. Mentirei a chi legge ed a me stessa. Mentirei perché il terrore di uscire di casa mi blocca e mi condiziona ancora adesso. Per fortuna sono una ragazza e quindi l’istinto e il bisogno di uscire c’è e quindi questo, mi permette di uscire di casa (raramente da sola), ma il terrore mi segue sempre ed ovunque.
Da quel giorno ho paura delle persone (purtroppo spesso anche il contatto con i miei genitori, fratelli e nonni mi fa stare male e mi fa sentire a disagio. A questo ci sto lavorando perché il “rapporto” con i familiari è una cosa essenziale per stare bene in famiglia), ho paura di parlare, di espormi.
Ho paura degli altri e di me stessa. Sì ho paura di me stessa, non mi vergogno ad ammetterlo, ho paura di quello che potrei fare e di quello che so fare a me stessa. Ho paura perché so che se decido di tagliarmi o di uccidermi sarei capace di farlo. Ad ottobre del 2020 sono finita al pronto soccorso proprio perché pensavo che, prendendo un sacco di pillole, la sofferenza sarebbe cessata.
Non era la prima volta che pensavo al suicidio: la prima volta che ebbi questo brutto pensiero avevo pensato di buttarmi giù dal balcone o di buttarmi in mezzo alla strada, ma alla fine ci fu solo il pensiero. La prima volta che invece ci provai fu orribile. Quel pomeriggio ero da sola a casa e quando fui investita dalle emozioni decisi di approfittare del fatto che stavo talmente male da non riuscire a gestire nulla: ricordo di aver provato a rilassarmi con un bagno caldo, senza però riuscirci. Così alla fine prevalse il desiderio di farla finita. Presi la lametta e stando nella vasca da bagno tentai di smettere di provare qualsiasi cosa. Era già da tempo che usavo l’autolesionismo come via di fuga quindi quel giorno sapevo già cosa dovevo fare: bastava solo che al contrario delle altre volte mi spingessi oltre, bastava che mi lasciassi travolgere dalle emozioni senza cercare di controllarle e poi sarebbe stata la fine di tutto.
Non andrò nei dettagli perché è abbastanza brutta come cosa da scrivere ma ricordo che ad un certo punto, suonò la sveglia del mio telefono che mi riportò alla realtà e quando mi resi conto di quello che stavo facendo, prevalse la paura. Fu la paura a fermarmi.
Quel pomeriggio non arrivai ad una situazione drastica perché fu un gesto spontaneo e non programmato, ma quella cicatrice che essendosi cicatrizzata da sola (perché la tenni nascosta e non dissi mai nulla ai miei familiari) diventò la più grande e spessa tra tutte, ce l’ho ancora e ci sarà per sempre. Sarà lì a ricordarmi chi sono. A ricordarmi quello che ho fatto il dolore che ho causato alla mia famiglia. Mi ricordo una frase che dissi ad un medico al pronto soccorso durante il mio ricovero di ottobre: “io non ho paura di morire, io ho paura di vivere”. Questa frase mi fa riflettere ancora oggi… questa frase dice molto di me.
Come una farfalla
Sicuramente il mio legame con il cibo si è rotto non solo a causa dell’abuso sessuale subito, ma questo sicuramente ha contribuito in modo pesante…
Ho iniziato con una semplice dieta: “per perdere giusto un pochino di peso”, ma poi… ho perso il controllo di quello che facevo. Mi sentivo sempre grassa, una balena. Mi sentivo pesante. Un peso, quando io, volevo solo essere leggere come una farfalla.
Ho iniziato con il mangiare più sano, a togliere dolci e grassi, a fare attività fisica. Ho iniziato con una dieta sana, ma poi con il tempo è diventata un’ossessione: mi sentivo obbligata a fare quello che mi diceva la voce che era nella mia testa 24 ore su 24. Non superavo (e non supero ancora adesso) le 500 kcal al giorno, mi ammazzavo di ginnastica e dopo qualche tempo iniziai a vomitare (di nascosto) tutto quello che mangiavo. Dopo aver vomitato o semplicemente non mangiando, mi sentivo leggere e pulita.
Mi sentivo forte, sentivo di avere il controllo su una cosa: il cibo, il mio fisico. Con il tempo però iniziai a non avere più forza di fare nulla, ad essere svogliata, a non riuscire ad avere concentrazione. Il mio corpo rifiutava il cibo: dopo aver mangiato mi venivano forti mal di pancia a causa di cui ero costretta a correre in bagno…iniziai a perdere un sacco di capelli, la pelle secca, le unghie che si spezzano, dolori alle ossa ed ai muscoli, il ciclo irregolare ed a volte assente.
Queste cose inizialmente mi spaventarono e quindi io di conseguenza iniziai a mangiare tanto per riprendere tutti i chili persi: errore degli errori. Il mio corpo però, non essendo più abituato a mangiare normalmente o tanto, non accettò questo mio improvviso cambio di programma (dopo aver mangiato stavo male fisicamente) e quindi io ritornai alle mie vecchie abitudini. Il mio corpo però aveva bisogno di cibo e questo molto spesso mi portava ad abbuffarmi, per poi andare nel primo bagno che trovavo e vomitare. Per un bel po’ di mesi continuai così (mi abbuffavo e vomitavo più volte al giorno, per tutta la settimana. Era diventato un modo per sfogarmi) incapace di smettere o cambiare. Con il tempo, però, i sensi di colpa causate dalle abbuffate e dalla paura di prendere anche mezzo chilo fecero si che ritornassi al mio controllo iniziale e le abbuffate si fecero rarissime.
Questo controllo serrato e ossessivo sul cibo e sul mio corpo ce l’ho tuttora. Meno ossessivo di una volta, dato che sto cercando di ritrovare un equilibrio interiore, ma purtroppo è ancora presente… Quella vocina che si trova dentro alla mia testa e dentro al mio cuore va e viene: dipende dalle giornate, dalle mie emozioni, dalle situazioni. Per fortuna ora è meno rompiscatole di una volta, ma ogni tanto si fa sentire forte e chiaro. L’unica cosa che si può fare è andare avanti. Tornare a credere in sé stessi, tornare a sognare. Tornare a vivere veramente.
Domande
Sono davvero tante le domande ed i sensi di colpa riguardanti a quello che mi è successo con quell’uomo… perché io? Cosa ha vissuto lui in quel tempo? Come si è sentito? È successo a me per come ero vestita, per come ero fisicamente?
È successo alla fine del settembre del 2019. Facendo ancora abbastanza caldo io ero vestita con una maglietta a maniche corte, leggings e scarpe da ginnastica: ero vestita come sempre. Quindi NO non è successo perché ero vestita in modo provocante… ma allora perché? Sarò sincera: non lo so.
È successo…non posso dimenticare e purtroppo non sono nè la prima, nè l’ultima persona a subire violenze sessuali.
Non sono le vittime a dover cambiare o non poter essere libere/i di vivere tranquillamente e liberamente, è la mentalità delle persone a dover cambiare. Cambiare non è facile, lo so, ma a volte è necessario. Io, con l’aiuto delle persone che mi vogliono bene, lo sto facendo… non sono ancora uscita dalla selva oscura di Dante, ma ci sto provando. E ci voglio riuscire prima o poi.
Per cambiare ci vuole tempo, ci vuole coraggio, ma per migliorare il mondo è una cosa che dobbiamo fare. Per esempio una cosa che bisogna cambiare è il fatto di mettere tutto sotto la scusa del: “ma tanto era uno scherzo, era per ridere”. Per me le chat sono un po’ come delle selve oscure: non sai mai cosa trovi all’interno. Nelle varie chat io molto spesso vedo stickers sessisti, violenti, razzisti o che perfino trattano del suicidio in modo “leggero”, ironico. Questa cosa a me disgusta perché sono immagini molto forti e pesanti (qualche giorno fa nella chat di scuola ho visto degli stickers di ragazzi che si buttavano dal tetto, che si sparavano e perfino di un ragazzo che schiaffeggiava una ragazza con il proprio pene). Oltre a farmi venire la nausea, il modo di trattare particolari tempi con ironia, mi fa paura. Si mi fa paura perché se si continua così, il mondo non potrà mai migliorare.
La figura di Virgilio che aiuta Dante a superare la selva oscura, è diventata sempre più difficile da trovare tra le persone che si frequentano. Questo perché oggi, quasi sempre, quando le persone scoprono che hai un problema, si allontanano. Ti lasciano lì, senza una vera motivazione… anche io quando, poco tempo fa, sono riuscita a tirar fuori questo mio trauma sono stata abbandonata da quella che credevo una vera amica. Capisco il fatto che quello che ho vissuto è un’esperienza forte, ma non è nel vero momento di bisogno che un amico dovrebbe esserti più vicino che mai? No perché una volta era cosi… Mia mamma mi ha raccontato che quando la sorella della sua migliore amica, ha scoperto di essere incinta a soli 15 anni, lei e le sue amiche le sono rimaste vicine e la hanno sempre aiutata. Non la hanno giudicata, non la hanno presa in giro o abbandonata con la scusa: “ma quella ragazza non è mica normale… 15 anni e incinta: è completamente matta”. No, loro hanno capito che lei quel bambino, anche se era giovanissima, lo desiderava e di conseguenza la hanno aiutata e appoggiata.
Le persone che si comportano da Virgilio, che capiscono quando una persona ha bisogno di aiuto, di un amico o semplicemente di essere accettate e accolte e che hanno quella sensibilità e profondità per farti vedere oltre il buio, purtroppo sono rarissime, la maggior parte delle persone invece ti abbandonano, ti lasciano lì da sola/o. Così ti ritrovi a fare quel viaggio lungo, tortuoso, fatto di alti e bassi, solamente con la tua ombra. Non è facile uscire dalla selva oscura, soprattutto se si è soli, però bisogna farlo per tornare alla via principale, illuminata dal sole. Questo però, le persone non lo vogliono capire perché è molto più semplice e comodo non doversi “occupare” di una persona in difficoltà che chiede aiuto.
Come ho detto prima, per cambiare ci vuole coraggio e tanta forza… bisogna fare un passo alla volta, con tutto il tempo di cui l’essere umano ha bisogno per svolgere questo cammino… ma alla fine dovremo fare l’ultimo passo e cambiare. Cambiare per noi e per migliorare la vita di tutti. Per cambiare il mondo.
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