LE INSIDIE E LE DIFFICOLTÀ DEI PERCORSI DI SOSTEGNO ALLA GENITORIALITÀ IN OTTICA TRANSCULTURALE

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Durante il percorso del progetto INVIOLABILI, l’équipe di Napoli ha preso in carico circa 15 nuclei familiari di origine straniera sospesi dalla responsabilità genitoriale.

La più importante delle problematiche riscontrate riguarda la difficoltà di stabilire un punto di equilibrio tra il dovere dello Stato di proteggere la vita familiare del genitore e del minore – e quindi di attivarsi a sostegno della genitorialità vulnerabile –, e il diritto del minore a crescere in un ambiente adeguato così come stabilito dalla Legge n. 184/1983.

La complessità della valutazione di modelli educativi “altri” rispetto a quelli occidentali è l’altro grande problema rilevato, con rischi di svalorizzazione dei sistemi educativi della famiglia e della cultura di origine del minore straniero da un lato, e di una discriminante culturale per condotte genitoriali che verrebbero invece valutate come pregiudizievoli se poste in essere da famiglie autoctone dall’altro.

La genitorialità migrante inoltre è esposta a una maggiore fragilità, a causa di: mancanza di una rete sociale, amicale e familiare nel paese di accoglienza; difficoltà economiche, esacerbate in situazioni di crisi economica e di contrazione delle risorse pubbliche per gli interventi e servizi sociali; barriere linguistiche e culturali che i migranti spesso affrontano nell’accesso a tali servizi; un passato molto spesso fortemente traumatico, che non hanno avuto la possibilità di rielaborare generando così cicli di violenza trasmessa da generazione a generazione (cosiddetta violenza intergenerazionale).

Questo lo scenario di estrema complessità in cui psicologhe, assistenti sociali ed educatori – partecipanti alla formazione e supervisione in clinica transculturale condotte dalla Cooperativa Crinali e previste dal Progetto INVIOLABILI – si sono mossi nella gestione di casi molto complessi.

Acquisire capacità di decentramento culturale e consapevolezza degli aspetti culturali nelle reazioni controtransferali, apprendere tecniche specifiche di conduzione dei colloqui con utenza straniera, acquisire capacità specifiche di lavoro con la figura della/del mediatrice/mediatore linguistico-culturale si è rivelato essere centrale per tentare di prevenire e individuare tempestivamente situazioni di rischio che possano sfociare in violenza agita e subita in ambito intra-familiare, tratta, sfruttamento sessuale e patologia delle cure coinvolgendo le reti di riferimento dei soggetti target e gli agenti di servizi sociali, sanitari, educativi.

Proprio in questi servizi si è riscontrato che la mancanza di competenze transculturali tra professionisti che, a vario titolo, incontrano nell’ambito della loro attività donne, bambini e famiglie migranti (psicologi, neuropsichiatri, esperti in riabilitazione, ostetriche, ginecologi, pediatri, infermieri, assistenti sociali, educatori, operatori SAI e CAS), nonché l’assenza totale di mediatori linguistico-culturali nei servizi pubblici, rende quasi impossibile gestire in modo efficace prese in carico così complesse.

Le famiglie migranti si trovano a subire interventi che si traducono in una vera e propria violenza istituzionale a volte perpetrata dalle stesse istituzioni preposte alla cura, protezione e tutela di bambini, di adolescenti e delle loro famiglie; una forma di violenza subdola e sfuggente che si somma e amplifica quella che ha motivato l’intervento.

Al contrario, in altri casi in cui non si trova il modo per affrontare un problema complesso, si tende a giustificare azioni pregiudizievoli con frasi come: “è una questione culturale”.  Le culture “non si attraversano” mai da sole, ma necessitano sempre di essere veicolate dai soggetti che ne sono portatori, dagli esseri umani e un’adeguata formazione in ottica transculturale favorisce la presa di coscienza della reciproca influenza che culture diverse hanno sui comportamenti individuali e collettivi.

Il lavoro transculturale è un continuo equilibrio tra le due culture. La gestione di casi difficili e la relazione con gli utenti migranti richiede di muoversi in una dimensione di complessità e attiva un potente controtransfert, rendendo pertanto necessari momenti di confronto specializzato e percorsi di supervisione.

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