INVIOLABILI. Una rete di protezione per la primissima infanzia

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INVIOLABILI è un progetto nato per prevenire le spirali di violenza che compromettono l’infanzia di tanti bambini, creando le condizioni per una vita adulta fortemente segnata dal trauma.

Un obiettivo ambizioso che richiede un’azione simultanea su due livelli: innanzitutto l’ascolto attento dei bambini, rafforzando una comunità di adulti in grado di comprendere i segnali di maltrattamento, e poi affiancare i genitori affinché siano in grado di prendersi cura del proprio figlio, rispettandone il benessere psico-fisico.

Questa chiara scelta di campo nasce dall’esperienza dei tre partner promotori del progetto (Pianoterra, Mama Happy e Antropos) ai quali si sono uniti altri 13 enti, pubblici e privati, con i quali è stato possibile un confronto tecnico e metodologico sul tema.

La nostra esperienza ci ha insegnato che intercettare e gestire i casi di maltrattamento a danno di un minore è un impegno molto complesso, soprattutto perché i servizi educativi attuali, per loro natura, non hanno né mandato e né strumenti per contrastare qualsiasi forma di violenza su minore. Non essendo Centri antiviolenza, dove le richieste e i bisogni della vittima sono in qualche modo definiti, capita molto frequentemente di incontrare situazioni e segnali riconducibili a una qualche forma di maltrattamento che possono anche raccontare altro: trascuratezza dovuta all’estrema povertà, pratiche educative nocive per la salute del bambino, ecc. Non solo, la tenerissima età dei bambini a cui ci rivolgiamo non ci permette di avere un quadro chiaro della situazione e delle relazioni famigliari, elemento che rende ancora più complessa l’intercettazione e la gestione di una qualche forma di violenza sul bambino molto piccolo.

Dalle statistiche in nostro possesso emergono chiaramente due dati: la maggior parte dei casi di violenza su minore avviene in famiglia e, in termini assoluti, sono più numerosi nella fascia di età dai 6 anni in su. In realtà quest’ultimo dato va interpretato tenendo in considerazione alcuni significativi elementi: le persone violente non maltrattano un bambino solo quando è più grandicello e va a scuola ma, molto più probabilmente, durante la primissima infanzia sono estremamente ridotti i momenti di interazione del bambino con altri adulti capaci di intercettare i segni di maltrattamento. Da 0 a 3 anni il bambino è ancora poco autonomo e vive in maniera simbiotica con i genitori.

La mancanza di dati qualitativi e quantitativi sulla violenza nella primissima infanzia determina la scarsa diffusione di pratiche di osservazione dei bambini molto piccoli e, di conseguenza, una difficoltà di analisi del bisogno e un ritardo nella capacità di intercettare i casi. Molto spesso gli standard di protezione dei bambini prevedono ad esempio che il minore sappia parlare, esprimersi e raccontare con senso compiuto, cosa molto complessa nei primi anni di vita quando il linguaggio non è del tutto sviluppato e il bambino è ancora limitato nella capacità di elaborare e raccontare in maniera strutturata una qualche situazione vissuta.

Per navigare in acque così intricate e sviluppare un modello di intervento capace di intervenire su più fronti, all’inizio del progetto abbiamo previsto diversi livelli di formazione volti a facilitare la creazione di una cultura comune sul concetto di violenza in tutte le sue forme (fisica, verbale, psicologica, sessuale, assistita, trascuratezza, incuria, ipercura) rispetto ai bambini da 0 a 6 anni.

Ma il cambiamento culturale, per avere un’attenzione specifica sulla primissima infanzia, deve includere una formazione ad hoc verso anche gli altri stakeholder di progetto: educatori e insegnanti di asili nido e scuole d’infanzia; personale medico quali ambulatori, ospedali pediatrici e centri vaccinali; assistenti sociali e altri enti intervenienti nella presa in carico dei minori.

Per fare rete sui casi di violenza occorre definire internamente il proprio mandato e le proprie procedure, conoscere approfonditamente mandato e procedure degli enti con cui si viene in contatto nella presa in carico integrata del bambino e/o del nucleo famigliare. Solo questa profonda conoscenza reciproca consente di agire in maniera competente rispetto al bisogno registrato. In caso contrario, il rischio è di perdersi nelle difficoltà di comunicazione tra i diversi enti non riuscendo, in tal modo, a sostenere il bambino e la sua famiglia.

 

 

 

 

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