Al Calini di Brescia, le storie dei ragazzi annullano la paura di non essere accolti.

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Il gruppo di lavoro, che si è finalmente definito, sta affrontando la parte più complessa e anche più gratificante del lavoro, quella della costruzione di un risultato finale, andando a tirare le fila di quanto è stato messo in gioco nelle precedenti fasi di esplorazione. Ad ogni allievo ho chiesto di raccontare una storia, breve, legata ad un oggetto cui erano in qualche modo legati. Tempo per sceglierla meno di cinque minuti, quindi non avevano modo di pensare tanto ma più che altro di sentire una necessità istintiva, un’improvvisazione quindi, che sarà poi il fulcro del lavoro conclusivo del laboratorio.
Quasi tutti hanno attinto dalla memoria della propria infanzia, un passato, che per un adolescente è comunque molto vicino, tirando fuori episodi particolarmente toccanti, legati al tema dei legami affettivi. Per permettergli di sentirsi totalmente liberi, ho chiesto loro di scegliere un luogo “deputato” tra tutti quelli possibili dell’edificio scolastico in cui lavoriamo. Avevano quindi la possibilità di uscire dalla piccola aula scolastica in cui di solito ci troviamo. La maggior parte ha scelto il prato sul retro della palestra o comunque un esterno.

Tra tutti i racconti, quello di Chiara, 14 anni, è stato tanto potente da spiazzare l’intero gruppo, me compreso, “costringendomi” a interrompere momentaneamente il programma di lavoro previsto. E’ stato il racconto di un lutto, dell’improvvisa perdita di un amico cui si era legata in un periodo di grande solitudine. La narrazione è stata, dal “punto di vista teatrale” perfetta, perché Chiara si è lasciata portare dal flusso autentico delle sue emozioni, senza cercare nessuna forma, senza porsi limiti sul cosa era giusto dire o non dire, abbattendo così i confini della sfera privata che ognuno di noi costruisce in difesa dell’altro nella quotidianità. Chiara ha solo seguito il suo flusso ed è avvenuto quello che il teatro deve essere: un incontro autentico tra tutti i partecipanti. Abbiamo riso, pianto, poi fatto silenzio e il gruppo si è ascoltato in un altro modo, aldilà delle parole e della rappresentazione di esse. Ciò è avvenuto grazie al fatto che Chiara si è aperta, ha donato a noi una parte di sé, anche se dolorosa, ha avuto il coraggio e l’urgenza di esporsi e nessuno si è tirato indietro dall’ascoltarla e dal sentirsi partecipe del suo sentire.

Ricordo che in uno dei primi incontri del laboratorio avevamo svolto un esercizio sulla fiducia molto apprezzato da tutti i ragazzi: lanciarsi a occhi chiusi “sugli altri”, da una certa altezza, superando così la paura di cadere, di non essere presi, di non essere accolti. Dopo mesi di lavoro, questo esercizio iniziale, che ha anche una forte carica simbolica, è divenuto realtà.

 

di Roberto Capaldo  – Residenza IDRA
#terracheemoziona al Liceo Calini

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