LA GRAVIDANZA: FATTORE DI RISCHIO O PROTEZIONE DALLA VIOLENZA?

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Quando si parla di violenza in gravidanza c’è un primo mito da sfatare, ossia il fatto che sia “più rara” in quanto la gravidanza stessa rappresenta un fattore di protezione per le donne. I dati a nostra disposizione forniti dall’AOGOI mostrano esattamente il contrario, con casi in cui le forme di violenza iniziano (30%) o si inaspriscono (13%) durante la gestazione. Il fatto che la donna sia più vulnerabile, abbia meno autonomia sia finanziaria che fisica (specialmente nell’ultimo trimestre) può divenire un fattore di rischio che porta il partner ad esercitare potere e controllo sulla donna.

In Italia l’ultima rilevazione ISTAT (2021) mostra che il fenomeno della violenza in gravidanza colpisce il 16% delle donne, mentre l’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna (O.N.DA)[3] nel suo rapporto dedicato agli operatori sanitari evidenzia come la violenza domestica sia la seconda causa di morte in gravidanza dopo l’emorragia, per donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni.

La violenza in gravidanza assume inoltre una particolare connotazione, in quanto le persone lese sono due: la gestante e il feto. La violenza esercita effetti negativi in maniera diretta sulla mamma e indiretta sul bambino.

La donna, infatti, può avere danni fisici, traumi che richiedono ospedalizzazioni, problematiche che possono compromettere il fisiologico decorso della gestazione, difficoltà psicologiche ed emotive, che si correlano con depressione in gravidanza e nel post-partum, ma anche con comportamenti a rischio messi in atto dalla donna, come uso di fumo, alcool, droghe, farmaci durante la gestazione. Inoltre le gravidanze violente possono diventare “gravidanze dimenticate” che portano le donne ad arrivare tardivamente ai controlli previsti dal SSN per la gestazione (2°-3° trimestre), a eludere gli appuntamenti o ad effettuare accessi al pronto soccorso per problematiche improvvise.

Sul bambino invece le conseguenze indirette della violenza in gravidanza consistono sia in anomalie fisiche, prematurità, basso peso alla nascita e conseguenze dei comportamenti a rischio della madre gestante, sia in problematiche relazionali ed emotive future. Infatti in queste condizioni cresce per i minori la probabilità di essere vittime di violenza o abuso durante l’infanzia o di diventare essi stessi autori di violenza in età adulta.

Nei casi di violenza, il periodo della gravidanza, in realtà, potrebbe diventare un’opportunità per la futura mamma. La continuità delle cure prenatali e i regolari incontri con le figure sanitarie di riferimento, ostetriche e ginecologi in primis, offrono la possibilità di sviluppare una relazione di fiducia tale da poter portare la donna ad aprirsi e chiedere aiuto, nel desiderio di “proteggere” il proprio bambino.

Ecco, quindi, quanto è importante che il personale sanitario che entra in contatto con la donna vittima di violenza sia opportunamente formato nel rilevamento dei fattori di rischio e nel “fornire un intervento adeguato e integrato nel trattamento delle conseguenze fisiche e psicologiche che la violenza maschile produce sulla salute della donna”, come da DPCM del 24 novembre 2017 “Linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza”. Tali Linee Guida hanno l’obiettivo di definire e costruire una rete di sostegno e orientamento ai servizi pubblici dedicati del territorio di riferimento al fine di sviluppare, congiuntamente alla donna, un progetto personalizzato di sostegno e di ascolto per l’elaborazione e il superamento dell’esperienza di violenza subita.

È su questa scia che il progetto Inviolabili svolto dall’Associazione Pianoterra ETS, prevede azioni a sostegno dei primi mille giorni di vita con l’offerta di un’ostetrica e una psicologa a supporto dell’utenza. “L’ostetrica è sicuramente una delle figure che instaura con la donna il rapporto più intimo, specialmente nella gravidanza. Le mamme e future mamme che incontriamo e prendiamo in carico spesso ci portano difficoltà relazionali ed emotive ed è per noi fondamentale riconoscere i segnali di allarme di una eventuale situazione di violenza. La presenza della psicologa nelle attività permette invece un’osservazione attenta delle utenti, garantisce ascolto ed empatia, nonché offre la possibilità di poter affrontare tematiche emotive e psicologiche profonde legate ai temi della genitorialità e della gravidanza. Il nostro atteggiamento è sempre non giudicante ma attento alla sicurezza di mamma e bambino. Crediamo fortemente che la gravidanza e la genitorialità possano essere un’opportunità per agire in ottica preventiva, laddove sia ben curata la relazione professionista-utente e ci sia una multiprofessionalità che permetta a diverse figure di lavorare in sinergia per l’interesse di madre e minore.”

[1] Dubini V., Curiel P., “La violenza come fattore di rischio in gravidanza”, AOGOI Risveglio Ostetrico anno I – n. 1/2 – 2004.

[2] ISTAT, “I percorsi delle donne per uscire dalla violenza tra difficoltà e risorse. Principali risultati dell’Indagine sull’Utenza dei Centri antiviolenza”, Anno 2021.

[3] O.N.DA, A.O.R.N Fatebenefratelli di Milano, AIMEF, “Donne e violenza domestica: diamo voce al silenzio. Raccomandazioni sulla violenza sulle donne (Intimate partner violence) per operatori sanitari”

 

 

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