LA PAROLA SULL’AFFIDO A FEDERICA BONI, PSICOLOGA E PSICOTERAPEUTA

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Il progetto INVIOLABILI, che prevede interventi di prevenzione e sostegno a bambini vittime di ogni forma di violenza, è destinato ad una fascia di età ben definita, 0-6 anni. A suo parere quanto è importante lavorare su questa fascia di età?

I progetti a tutela dell’infanzia hanno sempre più evidenziato come sia importante, accanto alla realizzazione di programmi di assistenza continua alle vittime di maltrattamento e alle loro famiglie, promuovere interventi di prevenzione che permettano di intercettare il più precocemente possibile i nuclei familiari maggiormente a rischio. Sappiamo che ci sono una serie di fattori che possono influenzare la suscettibilità al maltrattamento sui minori, tra i quali ritengo vada sempre più sottolineata la rilevanza dei fattori individuali e dei fattori sociali.

Perché ritiene che siano importanti i fattori di rischio individuali?

La storia dei genitori che non riescono a rispondere in modo adeguato ai bisogni evolutivi dei propri figli rimanda a contesti di crescita sfavorevoli nei quali loro stessi non hanno potuto sperimentare l’esperienza di accudimento e di protezione. Intervenire a sostegno della diade o triade genitore-i figlio-a, nei primi anni di vita del minore, può creare uno spazio di intervento che contiene possibilità trasformative connesse alla mobilità psichica che tutto il nucleo familiare, ed in particolare la madre, vive nella fase successiva alla nascita. In modo analogo anche il/la bambino/a si trova, nel primo periodo di vita, in una fase di grande recettività poiché le esperienze vissute già nei primi anni intervengono in modo significativo sullo sviluppo cerebrale. Interventi di sostegno in fasi così precoci possono essere estremamente preziosi, come testimoniano ad esempio i programmi di home visiting.

E i fattori sociali?

Contribuiscono all’incidenza del maltrattamento sui minori anche aspetti relativi al contesto extrafamiliare e alle politiche sociali, economiche e sanitarie. Si sta purtroppo indebolendo il sentimento di appartenenza alla comunità e anche la coesione sociale, elementi che potrebbero invece rappresentare fattori protettivi capaci di contrastare l’isolamento, riducendo il rischio di violenza. Lo sguardo protettivo di un altro adulto, in un’ottica di sostegno reciproco e di solidarietà diffusa, potrebbe aiutare un bambino ed i suoi genitori a formulare richieste di aiuto ai servizi competenti. In questo senso la formazione degli operatori scolastici e sanitari appare molto importante quali soggetti che devono essere pronti a cogliere e intercettare segnali di difficoltà. Inoltre la correlazione spesso esistente tra violenza sui minori e instabilità lavorativa, povertà, diseguaglianze di genere e sociali rende enorme l’impatto che le politiche sociali possono avere sul verificarsi di situazioni di violenza su minore.

Nella sua attività professionale lei si occupa anche di affido familiare; nell’affido i minori sono stati allontanati dalle loro famiglie biologiche e vivono in altre famiglie, a volte anche per un periodo molto lungo, superiore al tempo dei due anni previsto dalla legge. Perché?

La Legge n. 184 del 1983 nasce con l’intento di porre rimedio a situazioni di temporanea inabilità dei genitori tali da mettere in discussione il diritto del minore di crescere ed essere educato nell’ambito della  propria famiglia. La legge dispone, in favore della famiglia di origine, interventi di sostegno e di aiuto che le permettano di recuperare competenze genitoriali adeguate, negli anni in cui il minore è collocato nella famiglia affidataria.  Quando i genitori presentano delle problematiche di particolare gravità, con aspetti di cronicità che, nonostante gli aiuti offerti, non sono state superate, l’affido può divenire molto lungo. È importante che gli operatori realizzino progetti a tutela dei minori a partire da valutazioni chiare sulla recuperabilità dei genitori biologici, soprattutto interrogandosi sul tempo di cui il genitore biologico avrà bisogno per divenire idoneo ad occuparsi del proprio figlio ed in particolare se tali tempi siano definibili e coincidenti con il bisogno di crescita del minore. Non deve essere dimenticato il diritto del minore di avere un significativo legame genitoriale che accompagni la sua crescita.

Gli operatori incaricati della tutela come possono aiutare un minore che si trovi in una simile situazione?

È importante superare una prospettiva adultocentrica, ponendosi in ascolto dei minori e divenendo portavoce dei loro bisogni affettivi e relazionali. Se i genitori biologici del minore si trovano nell’impossibilità di recuperare le proprie competenze genitoriali, è importante accompagnare il minore, con modalità e strumenti adeguati, alla conoscenza della propria situazione familiare; trovo dannoso alimentare aspettative irrealistiche di cambiamenti, mentre è doveroso favorire l’accettazione della propria storia, legittimando anche la costruzione di nuove affiliazioni e appartenenze, come quella con la famiglia affidataria.

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