La “resilienza” dei ragazzi dei laboratori

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Le storie dei ragazzi che frequentano i laboratori del progetto “Dare di più a chi ha avuto di meno” sono diverse, per natura, provenienza, caratteristiche. C’è un elemento che però ne accomuna la maggior parte: è la resilienza, ovvero la capacità di adattarsi a un cambiamento, di riorganizzare la propria vita dopo un evento traumatico con positività.

Eccone alcune.

“Il secondo incontro svolto presso l’istituto G. Mazzini di Locri, vede il gruppo, impegnato in  attività  laboratoriali. I feedback sulle tematiche trattate consentono lo sviluppo di una discussione libera in un clima di accettazione  e di assenza di giudizio.

Tale condizione, consente a Chiara (nome di fantasia), terzo liceo, di esprimere il bisogno di avere un colloquio individuale, in un ambiente protetto e, di prendere consapevolezza  circa situazioni personali che ultimamente le causano una profonda sofferenza che non è in grado di contenere e gestire autonomamente.

Pertanto, al termine dell’attività laboratoriale seguendo l’onda emotiva caratterizzante le ore precedenti, ha richiesto di potersi trattenere ancora un po’.

Durante il colloquio viene fuori il suo mondo: abbandoni, conflitti, adultizzazione e continue richieste di attenzione non sempre accolte. Racchiusa nella sua fragilità e impotenza prova a trattenere la profonda tristezza da cui si sente sopraffatta ma tale controllo dura molto poco e sfocia in un pianto liberatorio.

Racconta, o perlomeno, prova a raccontare un infanzia durata poco, poiché sin da piccola, si prende cura della propria famiglia a causa di un padre continuamente assente e a volte violento e una madre lassista e apatica. Cresciuta in fretta e ormai troppo grande per potersi comportare da bambina continua a vestire ruoli che però poco gli si addicono. Ad aggravare e a far deragliare maggiormente lo stato emotivo si aggiungono la morte della nonna materna alla quale era molto affezionata e l’abbandono da parte del padre che di recente va via di casa.

Rispetto alle figure genitoriali è interessante notare il rapporto ambiguo con il padre da lei condannato per la violenza fisica esercitata (sporadicamente) sulla madre e al contempo visto come una vittima della stessa e, per questo, suo alleato, in quanto  sopraffatti dalla madre, donna pesante, assillante e anaffettiva. Chiara per un anno si abbandona, collezionando fallimenti e insuccessi che minano profondamente  la sua autostima. A risollevarla dal baratro è  il suo fidanzato con il quale vive un «rapporto strano» e altalenante. Appare forte e nitida l’immagine di un adolescente dotata di un carattere fortemente resiliente ma al contempo impaurita e sopraffatta, alla ricerca di una “ base sicura” su cui potersi appoggiare”.

“Due ragazzi della scuola secondaria di primo grado (Riccardo e Mario, nomi di fantasia) hanno espresso il desiderio di fermarsi con la volontaria attrice Daniela Baldassarra e la dott.ssa Presicci oltre l’orario dell’incontro del laboratorio educativo “Io Valgo”, a Bari.

Incuriositi dal mestiere di Daniela, le hanno chiesto di recitargli qualcosa. Così lei gli propone un verso de La Divina Commedia di Dante Alighieri “AMOR C’HA NULLO AMATO AMAR PERDONA”, spiegando loro il senso più profondo dell’amore secondo Dante: l’amore, che non consente a nessuno che sia amato di non ricambiare, significa che quando noi amiamo qualcuno, una parte di quel sentimento ci tornerà indietro, saremo amati anche noi. Non c’è amore sprecato, anche quando ci sembra che non sia così. L’amore chiama altro amore.

I due studenti hanno voluto ripetere svariate volte il verso dantesco per impararlo a memoria. Poi, Riccardo ha chiesto a Daniela di scriverglielo su un foglio che ha accuratamente ripiegato e messo in tasca. Ad entrambe ha confidato di volerlo regalare alla sua mamma che a Natale ha fatto regali a tutti i figli nonostante i problemi economici, senza ricevere nulla in cambio, anzi imponendo ai suoi ragazzi di non spendere soldi per lei. Cos’è l’amore se non questo?”. 

“Vi racconto un breve episodio avvenuto durante il laboratorio di sostegno e supporto al metodo di studio, previsto dalla linea II – educazione non formale- tenutosi presso l’ Oratorio salesiano Redentore di Bari.

La nostra giornata tipo prevede una fase iniziale di accoglienza alla quale viene associato un gioco conoscitivo, pensato per permettere ai ragazzi di legare progressivamente e coltivare rapporti più significativi tra loro. Il momento centrale di ogni appuntamento consiste nello svolgimento di attività volte a promuovere lo sviluppo di un adeguato metodo di studio, durante le quali si alternano momenti formativi e ludici. Al termine di ogni giornata, diamo spazio alle emozioni chiedendo ai ragazzi di mettere su carta ciò che hanno provato e tutti i loro pensieri vengono conservati nella “my emotions” box.

La storia ha per protagonista un ragazzo di 12 anni, che chiameremo Giovanni, che frequenta la scuola secondaria di primo grado “S.G.Bosco”. Giovanni è entrato a far parte del progetto solo dopo che alcuni incontri erano già stati svolti, inserendosi in un gruppo già costituito, inoltre proprio quel giorno, aveva in programma una partita di calcio con i suoi amici a cui non avrebbe voluto rinunciare.

Durante il suo primo giorno, Giovanni è parso nervoso e poco propenso a partecipare nonostante i nostri inviti ai quali, in ultimo, ha reagito scagliando una matita contro il muro. In seguito a questa manifestazione di rabbia, abbiamo  deciso di lasciarlo libero di osservare e ascoltare, oppure uscire dalla stanza. Giovanni non è uscito nemmeno una volta e ,facendosi scudo con il suo smartphone, ha seguito tutto, ridacchiando quando qualche ragazzo scherzava con noi volontarie.

Il giorno seguente, il suo ritorno è stato per noi una sorpresa e, contro ogni previsione, Giovanni ha partecipato alle attività previste di sua spontanea volontà, abbandonando il suo cellulare su un tavolo. Non ha parlato molto, ma ha sorriso e si è  mostrato interessato.

Ma la vera conquista è stato sentirgli dire: “Ci vediamo domani!”.

 

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