Pillola #7: Disabilità al tempo del Covid 19
di pattidimpatto
“Pillole di psicologia per genitori in quarantena”:
Pillola #7: Disabilità al tempo del Covid 19
“L’educazione dei nostri ragazzi è il bene più prezioso della nazione
e dunque il futuro della scuola è
una questione primaria per la Repubblica”.
La scuola è da poco terminata, ma tante sono state le questioni emerse e le riflessioni in questo lungo periodo di Pandemia. Fiumi d’inchiostro sono stati versati, per sensibilizzare sulle problematiche della scuola e di tutte le sue componenti: alunni, insegnanti e genitori.
La mia riflessione vuole porre alcune questioni sulla disabilità e sulla gestione da parte della scuola in questo lungo e complesso periodo.
Sappiamo che con la legge n. 517/77 si determina il diritto all’inclusione nella scuola di tutti, nessuno escluso. La cultura dell’inclusione garantisce il diritto alla presenza nella scuola delle persone con disabilità; è con questa legge che l’insegnante di sostegno, specificamente dedicato all’inserimento degli alunni disabili, viene introdotto nella scuola dell’obbligo italiana. È contitolare della classe insieme agli altri insegnanti e gli assistenti sono dedicati a singoli assistititi.
La parola “inclusione” si sostituisce alla parola “integrazione” già nella prima metà degli anni Novanta, perché s’intendeva l’integrazione come l’adattarsi a contesti fondati sulle esigenze dei normali; l’inclusione invece doveva essere la partecipazione di tutti, nelle loro singolarità, alla scuola. Si raccomandavano, pertanto, percorsi rispondenti ai bisogni di ogni alunno. Tali indirizzi si inseriscono in Italia, che era all’avanguardia nell’integrare le diversità nella scuola dagli anni Settanta.
La scuola è l’unico servizio non sanitario presente in modo importante nella vita dei disabili e delle loro famiglie, il solo con finalità di socializzazione, ma anche con la possibilità d’inclusione del disabile in un contesto sociale più ampio di quello della famiglia e si conclude con la fine della scuola stessa.
Dunque la scuola rappresenta il luogo dove le diseguaglianze vengono abolite, le opportunità rese accessibili a tutti, la diversità è inclusione, la disabilità una risorsa. Invece in questo periodo di Covid.19 sembra che i principi fondamentali siano stati stravolti e si siano amplificate le differenze e le disuguaglianze da nord a sud dell’Italia con problemi che hanno escluso quasi un milione di studenti, in particolare tanti bambini con disabilità.
Sulla base di quanto ho appena scritto mi sono chiesta come si inserisce la didattica a distanza (DAD) in questo quadro normativo e di principio. Sappiamo che la didattica a distanza (DAD) è stata messa in campo nell’urgenza di un lockdown, ma nello scorrere del tempo si sono evidenziati i limiti, ma credo anche, almeno per quanto mi riguarda, elementi di risorsa. I dati riportati dal MIUR riferiscono che i bambini con disabilità abbandonati dal sistema sono stati circa 284 mila, per incompetenza di una classe docente, ma anche dovuto alle difficoltà delle famiglie che nella maggior parte dei casi non erano in possesso della tecnologia adeguata. Il 70% non ha partecipato nemmeno alla didattica a distanza, più della metà di bambini e ragazzi portatori di disabilità sono rimasti isolati, privi di ogni connessione, spesso mettendo in gravi difficoltà le famiglie. Sono stati dunque particolarmente penalizzati, perché privati dell’incontro quotidiano con i compagni ed esclusi da ogni stimolo culturale e didattico. A questo aggiungiamo che sono state tuttavia attivate numerose e molteplici azioni virtuose in cui gli insegnanti, talvolta in collaborazione con operatori sociali o servizi presenti nel territorio, hanno individuato modalità efficaci non solo per assicurare il loro diritto allo studio, ma anche per mantenere contatti vitali e significativi con il gruppo classe e l’insieme dei docenti. Inoltre sono tanti i bambini che riferiscono siano regrediti nel periodo trascorso a casa, questo perché si sono trovati ad un certo punto, senza la scuola ma anche senza tutte le terapie per loro fondamentali e importanti, costretti dentro le mura domestiche con genitori che si sostituivano ogni volta tra l’essere insegnante e terapeuta, con grande fatica e difficoltà da parte della famiglia. Per comprendere gli effetti di limite e di risorsa della didattica a distanza condivido con voi un’esperienza svolta con un bambino disabile in una scuola primaria.
Ci troviamo in una scuola di periferia, il bambino di cui scrivo ha una diagnosi di DHDA con comportamento oppositivo/provocatorio (DOP), a scuola è affiancato dall’insegnante di sostegno, e OEPA (Operatore Educativo per l’Autonomia e la Comunicazione). La scuola, attraverso le sue insegnanti, si è immediatamente messa a disposizione, concependo attività didattiche per lui e organizzando gli operatori così che potessero lavorarci (nonostante fossero sospesi in un primo momento i servizi scolastici di supporto, oltre tutti i contesti terapeutici e ricreativi).
Il risultato è stato sorprendente, inaspettato perché si sono raggiunti obiettivi che non ci si aspettava. Certamente merito delle insegnanti che per competenza, professionalità e passione sono state in grado in tempi brevissimi di organizzare e non lasciare solo il bambino e la famiglia, ma la didattica a distanza (DAD) ha avuto in questo caso risultati importanti. Certamente per questo bambino, ma non solo per lui, la scuola è importante e fondamentale, ma molto spesso è anche il luogo di tanti stimoli, distrazioni che non aiutano per chi ha problemi d’attenzione importanti, per cui il processo di apprendimento e comprensione diventa tanto complesso. Con la didattica a distanza (DAD), nel caso specifico, sarà perché c’era un tempo prestabilito, attività organizzate, una struttura spazio – temporale vincolante, rapporto uno a uno con poche distrazioni attorno si sono raggiunti obiettivi che sarebbe stato difficile conseguire in un contesto scolastico. Intendo dire la scuola è un luogo fatto di tanti stimoli diversi, di tante persone, attività, interruzioni, interventi, che molto spesso per questo bambino può diventare difficile da gestire. Certamente gli sono mancati i momenti di socializzazione, ricreativi che hanno impedito una crescita emozionale e di confronto con i suoi pari, ma allo stesso tempo ha dovuto sviluppare competenze nel luogo familiare, come rapportarsi con i fratelli e genitori, condividere spazi e strumenti comuni.
Ho raccontato questa breve esperienza per mettere in luce come la disabilità ha bisogno di essere inclusa, condivisa ma per far questo ha anche bisogno di tante risorse e metodologie in grado di individuare progetti che siano calati nella realtà di ogni singolo bambino. La disabilità nella scuola necessita di essere messa in rapporto al contesto così che si possa guardare all’inclusione non come una mera azione valoriale, ma come la possibilità di pensare interventi su come includere la scuola nella vita di questi bambini e non come il modo d’inclusione dei bambini nella scuola. In altri termini è la scuola che deve inventarsi, innovarsi nel sentirsi inclusa e inclusiva e non il bambino ad essere incluso: è come capovolgere la questione e guardarla da un’altra angolazione.
Mi sono chiesta in questo periodo se la didattica a distanza (DAD) può essere pensata come supportiva alla presenza a scuola, perché mi vengono in mente tanti bambini che sono occupati da terapie, così come molti di loro sono sottoposti a terapia farmacologica e l’alternanza presenza a scuola e didattica a distanza (DAD) potrebbe venire incontro a tanti momenti di fatica e di difficoltà per questi bambini. Certamente la mia riflessione guarda alla disabilità e non può fare a meno di pensarla calata ad ogni singola realtà e per ogni singolo alunno. Questo significa indicare linee e modelli d’intervento condivisi, implica la possibilità di strutturare un progetto che tenga insieme la scuola e la famiglia, perché immagino una scuola che accoglie, che partecipa e si rende partecipe nella vita di questi bambini andando incontro alla loro fatica di convivere con la propria disabilità e dove molto spesso diventa a carico esclusivo della famiglia. Nell’attuale momento storico, come pensare la didattica a distanza (DAD) come un’utile alternativa? intesa come supporto allo stare a scuola? E come può determinare in questo caso una risorsa in più, che si può mettere a disposizione?
Abbiamo spesso sentito dire che l’apprendimento passa dalla relazione, ma anche nella didattica a distanza (DAD) non manca la relazione, se la intendiamo come veicolata sì da uno strumento, un monitor, che certamente non è la stessa cosa della presenza, ma si può anche nella didattica a distanza (DAD) far passare la ricerca, l’accortezza, la competenza nel reperire il materiale didattico, si può condividere il momento di confronto, di condivisione di un successo e verificare il lavoro svolto con la classe. Pensavo a questo proposito ai tanti bambini che per ragioni di salute si assentano per lungo tempo dalla scuola, oppure bambini che devono fare terapia durante l’orario scolastico, e che si vedono catapultati da un setting a un altro senza soluzione di contiguità. Allora la didattica a distanza (DAD) può essere pensata come occasione per mantenere sì una continuità con i lavori della propria classe, ma tenendo conto del tempo che si ha bisogno di recuperare, in modo da partecipare senza per questo sentirsi di rimanere indietro avendo la fantasia di recuperare? Perché, mi chiedo, si recupera il tempo? Di quella spiegazione dell’insegnante, degli interventi dei propri compagni! Probabilmente no, ma certamente si recupera il materiale, che poi deve essere svolto scisso dallo spazio tempo che lo fonda, che lo determina nel hic et nunc e che è determinante per qualsiasi apprendimento.
Concludo con una riflessione di Franco Lorenzoni “Stiamo vivendo il peggior momento politico dal dopoguerra. Quella capacità di osare l’impensabile, quel volo, quella visione, è ciò di cui abbiamo bisogno nel nostro lavoro educativo quotidiano, assumendoci in prima persona le nostre responsabilità.”
I suggerimenti di oggi sono a cura di:
Dott.ssa Simona Nicoletti – Psicologa dello Sportello d’ascolto, IC Casalotti 259– Roma | Progetto Patti d’Impatto
Questo è l’ultimo articolo della rubrica “Pillole di psicologia per genitori in quarantena”.
Auguriamo buone vacanze e vi diamo appuntamento a settembre, perché no, con una nuova rubrica…. Che sia di buon auspicio!
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PILLOLE DI PSICOLOGIA PER GENITORI IN QUARANTENA, a cura delle psicologhe coinvolte nel Progetto “Patti di Impatto”, vuole essere un invito alla riflessione per genitori e insegnanti sul momento che stiamo vivendo. Uno spazio dove è possibile ritrovare la descrizione di stati d’animo vissuti in questo momento faticoso e qualche suggerimento su come organizzare al meglio il tempo in casa.
Ti sei perso le precedenti pillole? Clicca di seguito per leggerle:
Pillola #4: https://percorsiconibambini.it/pattidimpatto/2020/05/27/pillola-4-storie-di-famiglia-e-giochi-di-narrazione/
Pillola #6: https://percorsiconibambini.it/pattidimpatto/2020/06/18/pillola-6-la-sindrome-della-capanna/
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