Il desiderio di ricostruire la socialità

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Partendo da una domanda ormai ricorrente nei nostri discorsi quotidiani: cosa ti è mancato di più in questo tempo di isolamento al quale la pandemia ci ha costretto? si è svolto il laboratorio di autoanalisi su bisogni e desideri nella modalità online con i partner della città di Salerno.
La domanda dalla quale abbiamo deciso di partire poteva apparire banale. Perché banale è l’idea sottesa alla domanda: la mancanza è sicuramente un’emozione, una sensazione, un sentimento, uno stato d’animo con il quale tutti noi, chiusi in casa e privati della nostra quotidianità, abbiamo fatto i conti.
Il punto è non tanto avere coscienza di questo stato d’animo ma piuttosto provare ad analizzare più in profondità di chi o di cosa abbiamo avvertito la mancanza. E, nel farlo, interrogarci su come a questa mancanza abbiamo supplito o su come vorremmo nel futuro ricalibrare la nostra relazione con questo qualcosa o qualcuno.

La preoccupazione della distanza
Ci preoccupava l’idea di sperimentare questa riflessione condivisa attraverso una videochat, perché questi momenti presuppongono la capacità di stabilire un’empatia ed uno stato emotivo che difficilmente appaiono conciliabili con la distanza. Abbiamo scoperto invece la forza di un’esperienza che ci ha consentito di contenere quella distanza esclusivamente alla dimensione fisica e non a quella sociale od emotiva. Il risultato è stata una riflessione di grande profondità, non solo affidata ai contributi di docenti ed operatori sociali ma anche arricchita dai pensieri, a volte spiazzanti, di una nutrita rappresentanza di studenti. Come sempre, restituire valore alle parole orienta la discussione. E così, da quel ricondurre l’etimologia del verbo “mancare” alla parola latina mancus (monco, imperfetto), abbiamo compreso che la mancanza ci rende monchi di qualcosa, ci rende addirittura imperfetti. Il lavoro, la scuola, gli amici, le relazioni, l’incontro con l’altro, le proprie abitudini: sentire la mancanza di tutto questo ha rischiato e può ancora rischiare di renderci imperfetti. Ma esiste un modo per limitare i danni ed è quello di avere coscienza di questa imperfezione, di focalizzarla, di elaborarla e di canalizzarla.

Nascono così nuove domande (e non certezze):
se è dell’incontro con l’altro che sento la mancanza, val la pena riconsiderare il valore dell’altro, il peso che ha nella mia vita?
se è della scuola che ho sentito la mancanza, val la pena riflettere su quanto il tempo e lo spazio della scuola siano fondamentali nella mia vita?
se è del lavoro che avverto la mancanza, val la pensa ripensarlo come strumento di dignità e non solo come un’abitudine?
Sono orizzonti di approfondimento con i quali confrontarsi, a partire dalla consapevolezza, ampiamente emersa dalla discussione, che i momenti di crisi arrivano per non essere sprecati, per essere trasformati in opportunità, per ripartire avendo imparato a ricalibrare il nostro rapporto con le cose o le persone che contano, la cui mancanza ci rende imperfetti e dalla cui mancanza possiamo ripartire.

Il ritorno alla normalità
La speranza è insomma che tutto quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, a partire proprio dalle mancanze che hanno accompagnato questo tempo, non sia passato invano e che anche il mondo della scuola, nel concepire e interpretare la propria missione educativa, eviti il rischio di concedere troppo alla burocrazia, indietreggiando di fronte alla sete di umanità e di relazioni di ragazze e ragazzi. A loro, al loro smarrimento, occorre provare a indicare una direzione che, a partire dalla riscoperta della fragilità come elemento connaturato alla condizione umana, li conduca a confrontarsi con le loro mancanze e a riconsiderare il rapporto con esse. Una direzione in grado di accompagnarli verso il ritorno alla normalità al quale aspirano ma anche in grado di far riflettere tutti su quale sia stata la normalità vissuta fino a pochi mesi fa e su cosa vogliamo sia la normalità di domani.

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