La scuola come laboratorio per costruire la comunità: intuizioni dal terzo seminario DAPPERTUTTO

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Si è svolto venerdì 26 Marzo il terzo incontro per il ciclo di seminari  Bambini, sviluppo, comunità proposti dal progetto DAPPERTUTTO, dal nome Nessuno nasce straniero, crescere e costruire una comunità interculturale.

L’incontro, che ha visto una numerosissima partecipazione, è avvenuto per mezzo della piattaforma online Zoom ed è stato condiviso anche tramite la pagina Facebook DAPPERTUTTO.

La relatrice che ci ha accompagnato in questo percorso è stata la Dottoressa Cecilia Bartoli, psicologa e psicoterapeuta, che dopo aver lavorato per moltissimi anni come psicologa scolastica presso una scuola d’infanzia in un quartiere ad alta intensità di famiglie straniere, ha fondato la Asinitas Onlus: uno spazio volto alla cura, all’educazione-formazione, all’accoglienza e alla testimonianza di persone minori e adulte, italiane e straniere.

Attraverso le sue esperienze lavorative e formative Cecilia Bartoli ci ha condotto nella sua realtà abitata da tutte le persone che attraversano la scuola, ognuno con un proprio corpo e una propria storia e che la rendono quella che è: una piazza in cui più culture si incontrano e si scontrano per poi imparare a conoscersi nei loro punti in comune e nelle loro diversità.

Tramite la sua testimonianza ci ha permesso di vedere la scuola come una vera e propria società in cui una comunità, più o meno eterogenea, vive degli spazi comuni e si relaziona.

Anzi, abbiamo visto come molto spesso la scuola stessa diventi uno dei pochissimi luoghi, se non l’unico, in cui le famiglie straniere riescono ad interagire con persone diverse dalla propria famiglia e/o appartenenti ad un’altra cultura; è come se l’appartenenza alla comunità scolastica rappresentasse per loro una delle poche espressioni di una cittadinanza che ancora ad oggi stenta ad essere riconosciuta.

È giusto quindi, in un momento storico come quello attuale in cui il tema del riconoscimento della cittadinanza dei bambini stranieri è ancora al centro del dibattito politico, che la scuola si faccia pioniera delle trasformazioni sociali in atto, offrendo ai bambini e alle famiglie la possibilità di rafforzare un senso di appartenenza a quella comunità che vivono giornalmente.

Obiettivo principale del seminario era dunque quello di offrire all’intera e variegata comunità educante nuovi input e nuove metodologie per superare quelle difficoltà che una società interculturale può presentare, tra tutte:

  • le barriere linguistiche
  • lo spaesamento del ragazzo straniero
  • la convivenza con abitudini, culturali e religiose differenti

Spronando un cambio di passo nell’approccio all’alterità, si vuole valorizzare l’unicità di ognuno che risiede appunto nella diversità dall’altro; l’educazione interculturale è, infatti, un approccio aperto a tutte le differenze e non si configura come un particolare tipo di educazione speciale per stranieri ma è rivolta a tutti ed è soprattutto tesa a non fare sentire nessuno straniero rispetto a qualcun altro.

La scuola, nella sua interezza e complessità, risulta essere un vero e proprio laboratorio per la costruzione di una società più coesa che miri, più che ad una coesistenza, ad una convivenza di culture diverse; alla creazione, dunque, di una comunità trasversale alle comunità che sappia tracciare, grazie ad elementi identitari comuni a più culture, il perimetro di un’unica collettività che si riconosca come tale.

La scuola ha la possibilità, argomenta la nostra relatrice parafrasando l’intellettuale Alexander Langer, di porsi consapevolmente al confine tra comunità conviventi e di coltivare la conoscenza, il dialogo e la cooperazione attraverso una tenace e delicata opera di sensibilizzazione, di mediazione e di familiarizzazione, da sviluppare con cura e credibilità.

Dopo aver analizzato le potenzialità che la scuola ha per essere a tutti gli effetti strumento di coesione sociale, la Dottoressa Bartoli ci porta a conoscere i veri protagonisti del cambiamento sociale: i bambini.

Come la stessa sottolinea, i bambini sono portatori di desiderio e strategie comunicative che tendono a sorpassare le barriere linguistiche e le differenze culturali in maniera del tutto naturale e che, anche quando sono stati educati alla discriminazione o alla diffidenza nei confronti degli altri, difficilmente tendono ad escludere un compagno per ragioni linguistiche o di pelle.

Il loro pregiudizio acquisito, di fatto, non comporta un cambiamento nei loro atteggiamenti e nei loro comportamenti ed è per questo che sono considerati gli attori principali del cambiamento di passo.

È però indubbio che nel bambino si innescano delle dinamiche emotive importanti dovute all’incontro e/o scontro tra la cultura del paese di origine e la cultura del paese in cui vive ed è giusto prestare a questo aspetto la giusta attenzione. Lo spaesamento e il disorientamento dei bambini si manifesta, infatti, indipendentemente dalla doverosa distinzione tra chi è arrivato in Italia dal proprio paese dopo un viaggio e chi è nato in Italia da una famiglia che è migrata dal proprio paese di origine (ma che a causa di importanti ritardi politici non ne è ancora cittadino).

Ciò che persiste in entrambe le situazioni è la contestuale appartenenza a due mondi linguistici e culturali a volte nettamente distinti, che se non incanalata nella giusta maniera potrebbe tradursi in quella che il sociologo Sayad definisce “doppia assenza”; condizione che genererebbe confusione nei bambini e andrebbe ad aumentare la percezione di non appartenere né alla comunità di origine né a quella i cui si arriva o si nasce.

Ciò che la scuola è in potere di fare con la sua funzione mediatrice è di trasformare questa doppia assenza in doppia presenza, ci spiega Cecilia Bartoli, e di farlo sin dalla prima infanzia.

Infatti, non esiste spazio più adatto per costruire una comunità se non quello che si crea intorno al bambino, un ambiente fecondo di moltissime possibilità di interazione e integrazione, un ambiente da cui poter delineare un minimo comune multiplo fondamentale.

 Cosa può, dunque, fare la scuola e la comunità tutta per sostenere questo tipo di processo?

  • Costruire dei contesti di partecipazione, condivisione e scambio sia per i bambini che per le famiglie e le comunità cui appartengono;
  • Favorire l’apprendimento della lingua italiana valorizzando il plurilinguismo e accettando l’interlingua: entrare quindi in una mentalità di ascolto che accetti linguaggi semplici, meticci;
  • Valorizzare la cultura e la lingua d’origine delle comunità presenti sul territorio;
  • Stimolare il concetto di alterità e “non aver paura di entrare dentro le differenze, ma abitarle”

Per spiegarci invece come farlo la relatrice Bartoli ha utilizzato le immagini e le attività che da anni porta avanti grazie alla collaborazione di donne, uomini, bambini e adulti, con l’obiettivo di creare costantemente dei ponti che attraversino terre e vite e che costruiscano un modello di società che non abbia paura di aprirsi al nuovo e al diverso.

Con i suoi racconti siamo effettivamente entrati nel vivo delle attività attraverso i laboratori manuali ed espressivi che hanno visto coinvolti sia adulti, genitori ed educatori, che i bambini; laboratori che hanno facilitato, ci racconta la Bartoli, l’espressione e la narrazione di sé a prescindere dalla parola. Utilizzando la loro creatività, il disegno, rappresentazioni artistiche, il canto, le fiabe, il teatro come strumenti di narrazione e come metodo per incontrarsi e relazionarsi, i partecipanti sono riusciti a rendere questi momenti di condivisione stimolanti e costruttivi nonostante un reale ma non invalidante gap linguistico.

Sono stati in grado di generare un clima di cooperazione che ha permesso loro di raccontarsi partendo da temi chiari che appartengono alle esperienze di tutti (come la casa, la famiglia, le emozioni, la nascita, la morte…) e che possono essere espressi attraverso una pluralità di linguaggi espressivi che permettono, appunto, di superare la barriera linguistica.

Abbiamo visto una scuola in grado di aprire le porte ai genitori dei bambini che la vivono, a quel territorio che non deve essere lasciato indietro, a un quartiere che ha bisogno di comunicare e a tutti quegli insegnanti, volontari e operatori che vogliono investire in una dimensione comunitaria.

Proprio a testimonianza del grande impatto che questi laboratori hanno, che Cecilia Bartoli ha voluto condividere con noi, infine, alcune parole utilizzate da uno dei partecipanti alla fine di un laboratorio artistico:

“La prima cosa che mi ha colpito è stato il sorriso e poi i suoi occhi scuri e il volto aperto alla comunicazione.

A conferma di quanto l’intuito mi aveva dettato, il suo nome è Rakhi che in bengali significa amicizia o bracciale dell’amicizia.

All’inizio avevo ordinato per bene i fogli colorati sul mio tavolo di lavoro.

Poi i fogli si sono mischiati.

Questo è quanto io auspico avvenga, a livello umano, nel quartiere di Tor Pignattara.”

Ed è con l’augurio di mischiare e rimischiare i fogli che compongono la nostra società, che vogliamo guardare prima al presente e poi al futuro del nostro paese, cercando di essere avanguardia laddove le macchine burocratiche amministrative non arrivano.

Mischiamoci per trovare o affermare la nostra identità che, tra le tante cose che la compongono, ha nell’incontro e scontro con altre culture la sua più bella e rigenerante linfa.

Ricordiamo che il prossimo appuntamento del ciclo di seminari DAPPERTUTTO : I linguaggi espressivi nella formazione dei bambini, degli adulti, dei formatori si terrà sempre online giovedì 22 Aprile a partire dalle 16:45.

Per ulteriori informazioni si prossimi incontri o iscriverti al quarto appuntamento, visita la pagina percorsiconibambini.it/dappertutto/2021/04/13/linguaggi-espressivi-quarto-seminario-dappertutto/.

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