Inclusione sociale e comunicazione non ostile ai tempi della didattica a distanza
di stemlab
In tempi di didattica a distanza, è necessario continuare a dedicare attenzione all’inclusione e a una comunicazione non ostile. L’accelerazione provocata dalla rivoluzione digitale, a cui stiamo assistendo in tempi d’emergenza, porta con sé un insieme di impressioni difficili da interpretare con chiarezza.
Da un lato, constatiamo una generale rivalutazione della tecnologia e degli strumenti social, apprezzandone finalmente l’utilità e mettendo temporaneamente da parte la narrazione negativa finora ad essi associata. Dall’altro, balzano agli occhi con più urgenza tutte le lacune del sistema scolastico nazionale in questo campo e le difficoltà delle famiglie nell’assicurare un accesso adeguato ai nuovi strumenti educativi per i propri figli.
Una volta superato, con grande buona volontà e in tempi record, il gap formativo degli insegnanti e dei ragazzi rispetto all’utilizzo di piattaforme di meeting, classroom e raccolte multimediali, ascoltando la comunità educante da tutti i punti di vista (insegnanti, educatori, dirigenti scolastici, famiglie), ciò che rimane un nodo ancora difficile da risolvere è la disponibilità fisica dei dispositivi necessari a ogni studente. Se già sembrano avviate alcune iniziative di solidarietà per dotare le scuole della tecnologia necessaria a proseguire con la didattica a distanza, resta completamente aperta la questione dell’aiuto alle famiglie che vivono in condizioni di criticità economica.
L’inclusione sociale è più difficile per alcune famiglie
La rivista online VITA ha pubblicato di recente, in un articolo, i dati raccolti grazie alla collaborazione con Investing in children e Alleanza per l’infanzia: «I bambini in povertà assoluta sono nel nostro Paese oltre un milione e 260 mila; negli ultimi dieci anni sono triplicati passando dal 3,7% del 2008 al 12,5% del 2018». In particolare, si sottolinea la drammatica ricaduta della chiusura delle scuole per quei nuclei familiari in cui il pasto del tempo pieno era di fatto l’unico completo della giornata, senza contare l’improvvisa assenza di attività collaterali di supporto fornite dalle parrocchie, dalle associazioni e dalle cooperative. Il rischio è «di aumentare a dismisura il livello di esclusione sociale di bambini/e e ragazzi/e che, privati dalla possibilità di andare a scuola e di svolgere attività sportive e formative, non hanno così accesso alle più basiche opportunità di inclusione sociale».
Se già nelle famiglie benestanti, diventa complicato gestire più di un figlio per i turni davanti al computer, costringendo l’insegnante a sfiancanti incastri per adattare l’orario delle lezioni a tutte le esigenze specifiche, per gli alunni già svantaggiati spesso l’unica connessione internet proviene del cellulare di uno dei genitori. Si comprende facilmente quanto, in queste condizioni, sia alto il rischio non solo di dispersione scolastica, ma anche di emarginazione sociale e di senso d’isolamento.
Quale metodologia didattica usare nella didattica a distanza
In virtù di queste considerazioni, Daniela Lucangeli, professoressa ordinaria del Dipartimento di Psicologia dello sviluppo e dei processi di socializzazione presso l’Università degli Studi di Padova, ribadisce la crucialità di un cambio di prospettiva, osservando la riconquistata alleanza del bambino con l’adulto più prossimo, che torna ad essere il suo punto di riferimento primario. In una dimensione surreale come questa, la comunicazione autentica, sia per gli insegnanti che per i genitori, non si gioca solo attraverso il sapere cognitivo, ma anche e soprattutto tramite quello emozionale.
Piuttosto che assegnare fredde liste di compiti nelle classroom, l’approccio educativo più apprezzato sembra essere quello per cui viene stimolato il dialogo ponendosi, da insegnante, come figura ponte tra i ragazzi. Risulta più efficace, dunque, condividere disegni, momenti di quotidianità, dubbi e paure, selezionando insieme agli studenti alcuni argomenti su cui riflettere e preferendo la divisione in piccoli gruppi di lavoro o l’agorà virtuale alla lezione frontale di tipo contenutistico.
Tuttavia, al di là della metodologia applicata, diventa sempre più cruciale discutere di linguaggio, che non si esaurisce nella sola parola, ma che ha bisogno di autenticità e di tenere conto di tutte le esigenze, proprio per facilitare dinamiche d’inclusione. Anna Peiretti, ad esempio, scrittrice di diversi libri per l’infanzia e attiva in iniziative di promozione della lettura presso le biblioteche civiche torinesi e la Fondazione Paideia, ha ribadito in questi giorni la relazione indissolubile tra immagine e parola. La Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) è nata per compensare disabilità comunicative sia temporanee che permanenti, soprattutto in ambito cognitivo. Tuttavia, in un momento in cui è più difficile esprimere i propri processi emotivi, un sistema come questo, basato sulla costruzione di mappe mentali attraverso simboli e associazioni, può essere di grande aiuto per tutti gli studenti, permettendo di non lasciare indietro nessuno.
Come favorire una comunicazione non ostile online
Non resta che chiedersi, dunque, in quale modo favorire un’interazione e una conversazione a più voci, che ormai ha come luogo d’elezione il web, abituandosi a nuove regole di comportamento, a partire dalle chat di classe fino alla prenotazione degli interventi durante le video lezioni.
In questo senso, Parole Ostili, organizzazione attiva da diversi anni sul tema della promozione di una comunicazione non ostile fin dalla più tenera età, ha già portato avanti una gran parte del lavoro.
Nei loro webinar, organizzati per i docenti allo scattare della quarantena, Rosy Russo ha ricordato da subito che «per i ragazzi, virtuale e reale sono un’unica dimensione», volendo sottolineare la necessità di non trascurare la definizione di confini per regolare la loro presenza online, sia in termini di tempo che di linguaggio. In questo senso, il lavoro avviato contro il cyberbullismo con il Manifesto per la comunicazione non ostile, in tutte le sue declinazioni, pone già dieci punti fermi su cui sviluppare il discorso.
In particolare, risultano di grande utilità le schede didattiche e i video tutorial offerti come guida per le lezioni o il manuale sul primo telefono, pensato per bambini, genitori e insegnanti che vogliono vivere la Rete con consapevolezza e senza rischi. La parola d’ordine è co-responsabilità, incoraggiata, ad esempio, scrivendo collettivamente le regole alle quali attenersi in chat (grammatica, uso, tono, condivisioni) o girando in chiave positiva tutte le frasi il cui tono viene valutato aggressivo dal resto della classe.
La scuola non si ferma
«Alla base c’è l’idea di fare comunità: docenti, dirigenti, personale della scuola, famiglie e studenti. Insieme per affrontare l’emergenza e andare oltre, con l’auspicio che questo spirito di condivisione non vada perduto e possa portare a una crescita della scuola italiana», come si legge nelle dichiarazioni del Movimento di Avanguardie educative, un gruppo di docenti ed educatori che, insieme al Ministero dell’Istruzione, ha dato vita al Manifesto della scuola che non si ferma, incentrato su sei parole chiave che rinforzano il punto di vista fin qui espresso: crescita, comunità, responsabilità, sistema, rete, innovazione.
Nicoletta Daldanise
Assistente al coordinamento comunicazione progetto STEM*Lab
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