“Tutte le ore del mondo”: la preghiera

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Io e mio marito siamo culturalmente molto lontani, siamo come marziani, ma non ho mai pensato che la sua cultura si è sbagliata è la mia giusta. Bouchaib all’inizio era più osservante, pregava anche a casa e non beveva mai. Per pregare deve devi essere puro. Antonio ripeteva gli stessi gesti che faceva il padre, oppure andava con lui a pregare nella moschea, anche se è battezzato. Anche adesso gli dico che suo padre prega in modo diverso perché parla in ar bo e viene da un altro posto, ma che non c’è problema. Mio figlio può pregare sia come faccio io, sia come fa lui. L’importante è che preghi Dio. Con il cuore. Dio parla tutte le lingue. Se dovesse diventare musulmano andrebbe bene, lo accetterei.
 Dio è in tutto. Mia nonna mi diceva sempre: “Se non fai male, non ricevi male. Se fai bene, Dio ti aiuta. Tu comportati sempre bene e le cose passeranno”. 
Questo non toglie niente alla mia religione o al mio modo di credere. L’importante è pregare e ringraziare Dio per le cose belle che ci ha dato.

Con il racconto di Marisa – napoletana, mamma di due bambini e sposata oggi, dopo il primo matrimonio e una maternità, con Bouchaib di origine marocchina –  ritratta in questa fotografia con la sua famiglia da Gerald Bruneau, prosegue il percorso della mostra Tutte le ore del mondo, parte del progetto “Kiriku – A scuola di inclusione” realizzata da Fondazione Bracco e l’Associazione La Rotonda, un ideale viaggio lungo un giorno nella quotidianità di dodici famiglie italiane e multietniche di Baranzate, raccontando i concetti universali di relazione e cura.

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