“Tutte le ore del mondo”: la sala d’attesa del pediatra
di Fondazione Bracco
Nella sala di attesa dello studio del pediatra arrivano famiglie di tutti i Paesi. Io mi occupo delle mamme che non parlano italiano di origine somala, c’è poi una signora marocchina che assiste le famiglie arabe. Il nostro compito è di accogliere le mamme e i papà e aiutarli a compilare i moduli di accettazione. Gli stranieri hanno una confidenza immediata con un’altra persona non italiana, mi considerano come una sorella. A volte seguo le famiglie all’interno dello studio del medico, altre volte aspetto fuori e accudisco gli altri figli. Abbiamo molti giocattoli, che ci portano le suore. Se ai piccoli piacciono tanto, li possono portare anche a casa. È bello vedere lo scambio tra le mamme. La sala d’attesa diventa un luogo d’incontro dove le donne chiacchierano e a volte allattano. Spesso si fermano qui anche quando hanno finito la visita. Dico sempre alle mamme di guardare meno televisione nella loro lingua e imparare l’italiano perché è importante che diventino autonome. Il mio lavoro mi piace tanto. È una grande responsabilità perché bisogna fare sempre un po’ di più. È la vita che insegna a prendersi cura di tutti. Sono una baranzatese doc: ho appena comprato la casa in cui vivo da nove anni e quindi starò qui per sempre.
Con il racconto di Nuurta Ahmed Sacad, mediatrice culturale somala dell’Associazione La Rotonda – fotografata da Gerald Bruneau nella sala d’attesa del pediatra – prosegue il percorso della mostra “Tutte le ore del mondo”, parte del progetto “Kiriku – A scuola di inclusione” realizzata da Fondazione Bracco e l’Associazione La Rotonda, un ideale viaggio lungo un giorno nella quotidianità di dodici famiglie italiane e multietniche di Baranzate, raccontando i concetti universali di relazione e cura.
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