L’orientamento come strumento innovativo per lo sviluppo degli obiettivi dell’Agenda 2030

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Riportiamo di seguito un estratto di un interessantissimo articolo a cura di Laura Nota e Salvatore Soresi dell’Università di Padova, che è stato spunto di riflessione nel corso della formazione interna al nostro staff e punto di riferimento nella pianificazione delle prossime attività del FLIC HUB.

Il contributo dell’orientamento all’Agenda 2030

(…)

Come ricercatori e come soci fondatori della Società Italiano per l’orientamento (SIO) siamo molto preoccupati nel costatare che da noi l’orientamento troppo spesso sembra:

  1. essere usato da committenti non sempre interessati al benessere delle persone e al bene comune, ma, soprattutto, al potenziamento della competitività a vantaggio del mercato, dell’economia, della finanza, o del successo della formazione e della ricerca;
  2. essere strumentalizzato per poter ‘mascherare’, di fatto, operazioni di ‘scelta’ delle persone alle quali permettere, suggerire, o vietare accessi e opportunità, come avviene in molti atenei e scuole italiane;
  3. essere praticato da insegnanti e operatori non sufficientemente e specificatamente formati ad aiutare persone e contesti a progettare il loro futuro;
  4. perdere ogni spessore scientifico in favore di approcci marcatamente superficiali e semplicistici a proposito dello sviluppo futuro e dell’impiegabilità delle persone ricorrendo ancora a ‘consigli di orientamento’ e a una serie di slogan e di luoghi comuni che poco hanno a che fare con il dibattito che in materia sta proponendo la comunità scientifica internazionale[2];
  5. schierarsi di fatto dalla parte dei committenti, delle eccellenze, del mito della meritocrazia, dei competenti, del profitto e della produttività, manifestando in tal modo una sorta di irrilevanza sociale a proposito, almeno, della volontà e possibilità di difendere i diritti delle persone più svantaggiate supportandole adeguatamente nei loro progetti di realizzazione ed emancipazione.

L’orientamento, in Italia in particolare, dovrebbe mettere in atto un deciso cambio di passo, una, oseremmo dire, ‘distruttive innovation’; per non ‘cadere così in basso’ e per non ripudiare la sua stessa natura costitutiva (si ricorda che all’orientamento, dal suo fondatore storico Frank Parsons, erano state associate soprattutto finalità di tipo preventivo e obiettivi di emancipazione dei gruppi sociali maggiormente svantaggiati!) dovrebbe chiedere ai suoi professionisti di fare la loro parte in favore di uno sviluppo equo e sostenibile per tutti cogliendo l’appello e l’invito che le Nazioni Unite e, da noi, l’ASviS, hanno lanciato ai governi, alle istituzioni, alle comunità e ai cittadini di tutto il mondo.

Da quest’angolazione un nuovo modo di fare orientamento potrebbe essere quello di incoraggiare le persone, i giovani, soprattutto, a pensare al proprio futuro uscendo da una visione prettamente individualistica e chiedendosi anche quale contributo ognuno e ognuna può fornire al raggiungimento, entro il 2030, di almeno alcuni dei 17 obiettivi che la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite ha indicato con chiarezza al mondo intero.

Tutti i progetti di orientamento, in altri termini, dovrebbero stimolare le persone a riflettere a proposito delle minacce che stanno minando il benessere delle persone e la qualità della vita del nostro pianeta declinando e progettando in questa direzione anche le proprie aspirazioni e progettazioni formative e professionali.

Le cose da farsi per dare vita e praticare un orientamento diverso, effettivamente orientato a uno sviluppo equo e sostenibile sono decisamente molte:

  1. in primo luogo, facendo orientamento, bisogna parlare di futuro e farlo anche alla luce delle sfide sollecitate dall’ONU e di tassonomie di attività professionali e di percorsi formativi effettivamente congruenti con quanto necessario per affrontarle e per contribuire al raggiungimento degli obiettivi a esse associati[3];
  2. in secondo luogo, sempre parlando di futuro, molto spazio deve essere attribuito all’approfondimento delle questioni associate alla partecipazione, alla dimensione sociale del lavoro e alla disamina delle scelte, anche personali, in grado di favorire uno sviluppo effettivamente sostenibile a vantaggio del benessere e dell’inclusione di tutti;
  3. piuttosto che trattare, misurare, valutare, quelle che un tempo venivano considerate le più importanti determinanti del successo accademico e professionale (interessi, attitudini, competenze, motivazioni al successo, alla leadership, all’autoimprenditorialità, ecc.), chi fa orientamento dovrebbe proporre occasioni di approfondimento e di riflessione a proposito di altri costrutti, valori e sensibilità, quali quelli dell’adaptability[4], dell’importanza dell’investimento nello studio e nell’aggiornamento continuo, di come, nonostante tutto, sia possibile progettare in condizioni di incertezza, lavorare dimostrando spirito di collaborazione, ‘saggezza e senso critico’, cosmopolitismo, resilienza, ottimismo, ma anche gentilezza e coraggio di ‘manifestare’ (rendere evidente) le proprie  ‘indignazioni’ e i propri valori.

Un orientamento che dia il suo contributo all’Agenda 2030 dovrà puntare a realizzare azioni di career intervention in grado di stimolare scelte e progettazioni professionali:

  • evitando riflessioni orientate al passato e la tendenza ad assoggettarsi alla tirannia del presente, all’opportunità di essere realistici rimanendo vincolati all’hic et nunc, al limitante valore dato all’eccellenza e alla competizione, all’individuazione delle ‘persone giuste’ da ‘impiegare’ per il perseguimento di obiettivi, di interessi che, il più delle volte, non coincidono con quello che viene chiamato ‘bene comune’;
  • riducendo drasticamente l’abitudine a organizzare attività di orientamento standardizzate, uguali per tutti, siano essi studenti di questa o quella scuola, o utenti di questo o quel centro per l’impego, ma dando spazio alle specificità, alle unicità delle persone, al loro diritto di ricevere attenzioni massicciamente personalizzate, senza che per questo si sia assoggettati a confronti e comparazioni, profili e collocamenti suggeriti di fatto dalla stima di quanto una persona o una prestazione possa essere ritenuta al di sotto o al di sopra di una media o di una soglia di accettabilità;
  • dando spazio alle possibilità, alle opportunità, alle conclusioni originali, imprevedibili, sorprendenti, facendo sì che gli autori delle ‘storie di futuro’ siano stimolati e incoraggiati a costruire, o meglio, in un’ottica inclusiva, a co-costruire sviluppi e conclusioni improbabili, nuovi progetti, nuove traiettorie, nuove storie;
  • stimolando a pensare di meno in modo narcisistico a se stessi e a se stesse e ai propri orticelli passati e presenti e un po’ di più e più spesso a ciò che potrà accadere anche agli altri, alla salvaguardia del nostro pianeta, individuando responsabilità, impegni e, come suggerisce il nostro progetto di orientamento, a quale mission possibile si desidera intraprendere e porre in essere per il proprio futuro (Nota, Soresi, et al.,  2018).

Così facendo l’orientamento potrebbe recuperare il suo spessore scientifico e apparire ancora come socialmente rilevante. E’ evidente che gli orientatori e i servizi per l’impego e il lavoro debbono decidere da che parte stare… in epoche di incertezza e di transizioni importati come quelle che stiamo vivendo non si può essere neutrali, stare in mezzo, ritenere che ci si possa occupare di sviluppo sostenibile ‘un po’, in parte, qualche volta … Abbiamo bisogno di professionisti che invitino a ‘Stay passionate, courageous, inclusive, sustainable, ecc…’ come nell’ambito del Laboratorio Larios e assieme alla Società Italiana Orientamento abbiamo recentemente proposto nel corso di un seminario realizzato alcuni mesi fa presso l’università di Padova presentando una serie di strumenti e di attività per l’organizzazione di moduli di orientamento inclusivo e sostenibile che, esplicitamente, si ispirano all’Agenda 2030. In  quell’occasione, l’orientamento è stato proposto come un’occasione per favorire ‘l’attivarsi di processi cognitivi e non implicati nelle operazioni di rappresentazione dei possibili scenari futuri, proponendosi, al contempo, di contribuire all’incremento delle competenze necessarie alla promozione di un avvenire e di uno sviluppo sostenibile, inclusivo e di qualità per tutti’[5]

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