I nostri ragazzi pensano in grande
di Cisv Solidarietà S.C.S.
di Daniele Angius, educatore nelle scuole di La Loggia
Primo incontro in classe. Iniziamo leggendo l’articolo 12 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: “Hai diritto a esprimere la tua opinione su tutte le questioni che ti riguardano. La tua opinione deve essere ascoltata e presa in seria considerazione”.
Partendo da questa solenne affermazione, gli studenti scrivono su un grande cartellone appeso alla lavagna il proprio elenco di cose che non vanno e che vorrebbero vedere migliorare nella scuola. Questa serie di elenchi che rimarranno appesi fino alla fine del percorso (post-it permettendo!), costituiscono la base della nostra ricerca in classe. Cercheremo di mettere a punto la nostra idea di scuola e indagheremo su cosa ci fa stare bene, a partire dall’esperienza concreta di ciascuno. Non si tratta quindi solo di affrontare un tema di discussione, ma di aprirsi agli altri e di rivelare con sincerità ciò che ci rende unici.
Il primo suggerimento lo devo a Francesca (i nomi sono di fantasia), una ragazza ripetente con la quale ho avuto una relazione educativa a dir poco complicata: “Io vorrei che nella nostra scuola ci fossero più ore di laboratorio, perché mi piace usare le mani e non solo le orecchie. Le cose si capiscono meglio quando si fanno. Io me le ricordo meglio e neanche mi accorgo che le sto imparando”. Sapere usare le mani e non solo le orecchie. La questione del corpo, dunque. Nel suo avanzare a singhiozzo, Francesca è riuscita a sorprendermi.
Che cosa vuol dire imparare?
Se ci pensiamo con attenzione, come abbiamo fatto noi educatori durante le ore di formazione previste dal progetto, ci rendiamo subito conto che l’apprendimento non è un procedimento passivo, ma ha bisogno del coinvolgimento attivo degli studenti. Per questo credo che nelle parole di Francesca ci sia tutta l’essenza di un’idea coraggiosa di didattica. Non contano i numeri, lo studio della terra o il pensiero di un poeta, ma il desiderio di entrare dentro le questioni, di capire ciascuno a modo suo. E infine di poter condividere attraverso il dialogo.
Mentre ci rifletto chiedo agli altri che cosa ne pensano. Le parole sono tutte di incoraggiamento. Martina ama disegnare e vorrebbe un’aula tutta dedicata all’Arte. Il pensiero di Matteo invece ci fa subito fare un balzo in avanti nella discussione: “Nella nostra scuola ci sono tante aule vuote che non servono a niente. Si potrebbero usare quegli spazi per inventare dei nuovi laboratori”.
Dialogo. Approfondimento. Ricerca. Ma anche tanta voglia di fare.
Durante i dieci minuti di ricreazione, mentre i ragazzi si scatenano nelle aule, rileggo gli spunti annotati sui post-it e mi accorgo dell’importanza che molti danno alla questione del tempo: il tempo delle lezioni, dell’apprendimento, ma anche quello vuoto, della noia e dell’incontro con l’altro. Mattia ad esempio scrive: “Secondo me l’intervallo dovrebbe durare di più. L’intervallo è importante per mangiare e andare in bagno, ma anche per chiacchierare con i compagni.” Secondo Valeria invece il problema sono i compiti a casa: “Spesso non riesco a finirli tutti e devo saltare l’allenamento.” Il bello di questo lavoro è che ciascuno, nella sua proposta di cambiamento, può scegliere o meno di portare un pezzetto di se stesso. È impressionante notare quanti tratti del loro carattere rivelano queste prime riflessioni.
Mai, prima di quel momento in classe, l’articolo 12 mi era sembrato tanto fondamentale. Ora so che i ragazzi devono essere ascoltati, non solo perché sono naturalmente abili nel centrare il nocciolo delle questioni, ma perché di fronte al bello, alle difficoltà e alle tragedie inevitabili della vita, sono capaci di autenticità rare. Pensano e sognano in grande. Non sarebbe bello saper cogliere tanta sensibilità, per essere all’altezza dei loro desideri?
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