I Poli della Comunità Educante Evoluta Zisa Danisinni. Pilastri per la coesione territoriale e lo sviluppo educativo anche nel tempo del Coronavirus
di Inventare Insieme Onlus
Ci siamo allontanati,
ma mai come oggi siamo vicini.
L’emergenza ci ha mostrato ancora una volta
che siamo una comunità,
che l’azione di uno si riflette sull’altro.
Le parrocchie, il Centro Tau, le scuole si sono attivate per garantire ai bambini una continuità educativa e una risposta ai bisogni esistenziali. Allunghiamo lo sguardo,
ci solleviamo sulle punte per vedere un po’ più in là, oltre i confini, oltre le mura, dentro le case.
Come il coro della comunità educante,
con le sue tante voci diverse,
con parole che arrivano da lontano,
aprono le porte e si incontrano in un’unica melodia.
Abbiamo immaginato sul nostro territorio i Poli per l’infanzia e l’adolescenza come luoghi mentali e fisici in cui moltiplicare le opportunità educative e formative per i nostri bambini. Luoghi “nuovi” da adeguare e rendere fruibili alle nuove generazioni. Li abbiamo attivati nei mesi scorsi grazie al progetto Comunità Educante Evoluta Zisa Danisinni, finanziato dall’Impresa Sociale Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile. Abbiamo così raccordato i Poli all’esperienza del Centro Tau, presente nel quartiere da oltre trent’anni e da sette anni anche Punto Luce di Save the Children. Insieme ai quattordici enti partner iniziali (ampliati in questi mesi) – scuole, accademie, università, parrocchie, privato sociale – abbiamo deciso di incrociare le nostre professionalità per contrastare la povertà educativa e fare del territorio Zisa Danisinni un ambiente educativo aperto e sicuro.
Stiamo costruendo e sviluppando i Poli grazie a un processo di formazione cooperativa che coinvolge tutte le agenzie sociali ed educative presenti sul territorio. Un percorso accompagnato da Marco Rossi Doria e Salvatore Pirozzi, maestri di strada di Napoli con grande esperienza nella promozione e nello sviluppo di sistemi educativi nelle periferie urbane.
Abbiamo lavorato nella convinzione che il contrasto alla povertà educativa deve avere visioni e prospettive finalizzate alla crescita sociale ed economica dei territori. La comunità educante deve essere una “comunità a tempo pieno e tutti inclusi” che non veda separate nell’azione scuola e famiglia, scuola e terzo settore e che includa le istituzioni locali con i loro servizi per un progetto comune.
L’educare appartiene a tutti e ci vede impegnati in continuità ventiquattro ore su ventiquattro, in tutte le stagioni e in tutti i tempi e quindi anche nel tempo del coronavirus.
Stiamo infrastrutturando i Poli a partire da un territorio e pensando a un tempo di comunità che si sviluppa nel continuum orizzontale (dalla nascita al lavoro) e verticale (durante tutto l’arco della giornata e della settimana).
Abbiamo lavorato allo sviluppo di cinque Poli: due Poli Infanzia (nei plessi scolastici Pascoli-Gabelli e Scipione Di Castro), due Poli Adolescenza (nel plesso scolastico Bonfiglio e al Centro Tau) e il Polo Fattoria Sociale a Danisinni. Nei mesi scorsi ne abbiamo aggiunto altri due: il Polo Musicale presso il Convento dei Cappuccini dove si formeranno i bambini della comunità istruiti dagli allievi del Conservatorio e il nostro Polo Zero, il gradino mancante da oltre dodici anni nel processo educativo comunitario, l’asilo nido Galante, meglio noto a Danisinni come A’ Maternità. Pensiamo che i luoghi non siano mai spazi neutri, ma la somma delle relazioni tra persone, sono ciò che lì si costruisce partendo dal desiderio.
Prima dell’emergenza Covid-19 eravamo sul punto di entrare a pieno regime con tutte le azioni progettuali. Nove percorsi di formazione per insegnanti e educatori con oltre 300 partecipanti stavano aprendo nuovi scenari di intervento in una visione condivisa dei processi. L’Arpi, associazione di psicologi relazionali, aveva avviato le azioni a sostegno delle famiglie attraverso il counseling individuale e l’attività di gruppo. Avevamo selezionato trentadue Maestri Junior (giovani allievi) di Accademia delle Belle Arti e del Conservatorio per la conduzione dei laboratori artistici e musicali. Erano state programmate e avviate tante attività laboratoriali nei diversi Poli, i percorsi STEM, i percorsi di lingua inglese, l’esperienza di Allenamente, la scrittura creativa, le arti circensi, i laboratori ambientali, il teatro, l’educativa territoriale e l’attività di orientamento.
La Comunità educante evoluta Zisa Danisinni durante l’emergenza: la reazione e la relazione
L’epidemia Covid-19 ci ha sorpresi in piena attività. Nei primi giorni abbiamo cercato di resistere, andare avanti, continuare a programmare. Il periodo di carnevale ci aveva visti impegnati in un programma di due settimane con diverse manifestazioni che hanno coinvolto tutti i Poli e centinaia di bambini e genitori. Un grande entusiasmo.
Poi le scuole sono state chiuse e siamo entrati nel tempo dell’attesa e dell’incertezza. Che fare? Come esserci? Come continuare?
Ci siamo avvicinati piano, con cautela, per paura che le fondamenta dei nostri Poli potessero crollare da un momento all’altro. E invece quelle fondamenta non solo reggevano ma si svelavano giorno per giorno nel loro ruolo di pilastri. Scuole, Centro Tau, parrocchie, tutti gli altri partner sono ripartiti attivando iniziative, cercando soluzioni, ma soprattutto relazionandosi, cercando sinergie per evitare il crollo dell’intero assetto territoriale del quartiere.
Guardare il qui e ora, accogliere i bisogni, le esigenze, colmare i vuoti, riorganizzare i sistemi a distanza, ma nello stesso tempo proiettarsi in avanti, provare a fare “di necessità virtù”, mettere in campo le visioni su cui stavamo costruendo la Comunità Educante per attivare e praticare i processi sui quali ci eravamo confrontati e che avevamo condiviso. Primo fra tutti la “comunità educante a tempo pieno” oggi espressione significativa che ha visto nella sussidiarietà collaborativa l’attivazione di processi comunitari importanti di cui tener conto nei mesi che verranno.
Allora ciò che era laterale è diventato centrale: le famiglie, la relazione con loro e con i loro bisogni. Si è rafforzata la consapevolezza che una rinascita sociale ed economica deve partire dal contrasto alla povertà educativa dei più giovani e deve necessariamente coinvolgere le loro famiglie. Famiglie che in quartieri come la Zisa – una periferia del mezzogiorno con altissimi livelli di povertà educativa – si sono sempre avvertite come escluse e per reazione hanno maturato estraneità e diffidenza verso ogni forma di istituzione, compresa la scuola.
Non perdiamo i pezzi è stato lo slogan delle iniziative di comunicazione del Centro Tau: non lasciamo indietro nessun bambino, nessuna famiglia, trasformiamo la nostra comunità in una cornice capace stringersi salda attorno ai bisogni di tutti, anzi a partire dai bisogni di tutti.
«È stato un tempo faticoso, ma nello stesso tempo fertile» – dice Francesco Di Giovanni, coordinatore di Inventare Insieme (onlus) e del Centro Tau «dopo un primo momento dedicato all’ascolto, alla lettura sociale, al confronto all’interno e all’esterno della comunità ci siamo concentrati sulle modalità attraverso le quali il sistema operativo, relazionale, emotivo e fiduciario che avevamo costruito negli anni potesse organizzarsi per rispondere in tempo reale ai vecchi e ai nuovi bisogni. La cultura aperta all’innovazione e alla generatività che ci ha sempre caratterizzato poteva essere uno dei punti di forza significativi e così è stato. Ho visto in azione una grande orchestra con strumentisti che agivano in luoghi diversi ma che trasmetteva ai bambini una armonia solidale, ricca di attenzione, di empatia, capace di dare e ricevere fiducia e impegno».
Già dall’indomani del lockdown gli educatori, gli insegnanti, gli operatori erano tutti a lavoro. Il filo comune è stato ripartire dall’ascolto, con qualunque mezzo, in qualunque modo. Chiedere a ciascuno dei ragazzi e dei bambini della comunità cosa mancava, di cosa aveva bisogno, ascoltare le famiglie e cercare nella comunità le risorse e le risposte da dare.
Tanti i bisogni che giorno per giorno emergevano. I mezzi per poter fare didattica a distanza – la grande maggioranza dei bambini non aveva a casa nessun supporto tecnico né connessione a internet – i bisogni familiari, l’alimentazione, gli affitti le bollette da pagare, le bombole di gas finite. La difficoltà di rimanere in casa per i tanti che non avevano spazi adeguati, come racconta Pippo Morello – Associazione Insieme per Danisinni: «Le famiglie di Danisinni vivono in case che spesso si riducono a una o due stanze. Danisinni la casa viene concepita nei suoi spazi interni ma anche esterni, il fuori è spesso una continuazione dello spazio interno. Eppure sono riuscite a rispettare le regole, per me questa è già una piccola conquista».
Si scopriva che giorno dopo giorno quegli stessi bambini non avevano da mangiare o avevano un fratello neonato a cui mancava il latte. Telefonate, messaggi, gruppi whatsapp, videochat hanno invaso le vite degli operatori della comunità educante. Nessuno si è tirato indietro.
Inizialmente in maniera spontanea e poi in forme sempre più coordinate e organizzate si è attivata una rete che a oggi ha cercato, in tutti i modi, di non lasciare indietro nessuno.
I Poli pur se fisicamente chiusi sono diventati uno straordinario motore di azioni, aiuti, solidarietà, desideri, prospettive.
La pandemia che ci ha costretto al distanziamento fisico, ha realizzato un’incredibile vicinanza sociale permettendo di arrivare lì dove non eravamo mai arrivati, ma da cui eravamo partiti: le famiglie, cuore del progetto eppure a volte così distanti e diffidenti, così quanto collaborative e partecipative.
«Stiamo vivendo un trauma collettivo senza precedenti, e bisogna narrarlo» riflette Angelo Scuderi, psicologo dell’Arpi che per la Comunità Educante segue il sostegno psicologico per famiglie e ragazzi. «Narrare questo trauma collettivo per far sì che non diventi un momento isolato, sia per le famiglie, che per i bambini e gli adolescenti. La parola può salvare, permette di comprendere cosa è stato e cosa sta succedendo, generando così una trasformazione e una rilettura della propria esperienza che può risignificarsi e può essere condivisa».
Un disegno, tanti messaggi
Come sempre avviene sono le piccole storie, i particolari capaci di svelare in maniera più efficace i concetti generali. Nel raccontare dunque il processo autopoietico che ha generato la nostra comunità educante all’indomani dell’epidemia, dobbiamo partire da un disegno.
All’indomani del lockdown i balconi italiani si sono riempiti di arcobaleni disegnati dai più piccoli con l’augurio Andrà tutto bene. Molti bambini del territorio Zisa Danisinni non avevano la possibilità di dirsi che sarebbe andato tutto bene perché in casa non c’era spazio, non c’erano opportunità, non c’erano né fogli, né colori, né penne. Le famiglie, soprattutto in quel momento, non potevano permettersi di acquistarle. Allora si limitavano a guardare fuori e vedere che per alcuni andava tutto bene, se le case offrivano loro la possibilità di trascorrere il tempo usufruendo della didattica a distanza e di spazi individuali. Per alcuni, ma non per loro. Loro non avevano computer, in casa non c’era la connessione a internet, in più giorno dopo giorno le famiglie piombavano in uno stato di povertà assoluta.
Quel disegno ha generato un potente disvelamento delle diseguaglianze sociali che conoscevamo bene ma, come il contraccolpo generato dall’ennesimo proiettile sparato, ci ha costrutti a fare un balzo non indietro ma in avanti, generando una forte collaborazione tra persone ed enti. La relazione si è rivelata ancora il metodo fondamentale per creare comunità e fronteggiare i problemi che l’epidemia
aveva generato. Dopo poche settimane diverse centinaia di famiglie del quartiere avevano grandi difficoltà a trovare le risorse economiche anche per mangiare. E ciò, come Comunità Educante, ci riguardava.
Giorno dopo giorno si aggiungevano centinaia di storie, di immagini, di messaggi che non potevano lasciare indifferenti. Come le tante richieste di chi fino al mese prima aveva una situazione familiare stabile: piccoli commercianti, ristoratori ma anche i moltissimi lavoratori in nero che si trovavano senza nulla e costretti a chiedere aiuti per poter sopravvivere. Il dolore del sentirsi umiliati e la felicità nel ricevere il “pacco spesa”, era questo che si leggeva negli occhi di tante famiglie che ritiravano gli aiuti. Solo occhi, tanti occhi sopra mascherine di ogni tipo, improvvisate, colorate, già logore. Occhi negli occhi tra chi consegnava e chi riceveva gli aiuti, occhi che a volte non si conoscevano ma che si guardavano per un istante in una relazione subito profonda. Occhi che narravano incertezza, angoscia anche nelle persone più forti socialmente e economicamente che oggi invece si ritrovavano a richiedere aiuto.
«Come ambulante guadagnavo circa 15 euro al giorno, ma andava bene» ha raccontato Felice, un papà del quartiere, al TGR Sicilia. «Adesso non si può più uscire, bisogna rispettare le regole. Noi ci adeguiamo ma per i bambini piccoli servono pannolini, latte, cibo. Poi abbiamo l’affitto, le bollette. Non abbiamo nessun sussidio, non abbiamo aiuto. Ho 4 bambine una nata venti giorni fa, una di sette, una di undici e una di 16 anni. Come faccio? Non lavoro da dicembre. Un giorno vado da mia madre, un giorno da mia suocera. Come posso fare? Io non sono mai andato a rubare non voglio farlo».
Il fatto che l’epidemia corresse velocissima così come il fatto che chiudesse le porte di case, scuole, centri di aggregazione, parrocchie, generando un’emergenza sociale oltre che sanitaria, ci ha imposto di intervenire rapidamente e trovare nuove chiavi per aprire nuove serrature.
In una sorta di passaparola spontaneo, si è creata una rete tra il Centro Tau, le Parrocchia di Sant’Agnese e della Madonna di Lourdes e gli istituti scolastici Gabelli e Colozza Bonfiglio.
Un gradissimo lavoro di sostegno è stato fatto proprio dalle Caritas delle Parrocchie Sant’Agnese ai Dainisinni e Madonna di Lourdes. Fra Mauro Billetta e Padre Massimo Merlino, all’inizio di questa esperienza non si conoscevano, ma fin dai primi giorni hanno attivato con il Centro Tau un sistema in rete, anche con le altre Caritas Parrocchiali del territorio, che è riuscito a garantire assistenza e cibo a centinaia, forse anche migliaia, di famiglie. Un impegno quotidiano, di frontiera umanitaria, con tanti volontari disposti a superare le paure e rischiare personalmente per non lasciare nessuno indietro. Nel raccordo sull’assistenza il Centro Tau ha gestito la distribuzione dei beni alimentari e di prima necessità per i bambini da zero a tre anni. Un modo per alleggerire il carico delle parrocchie e nello stesso tempo attivare un contatto di sostegno e di supporto per le famiglie dei bambini. Sono stati accolti oltre 200 bambini e bambine, la maggior parte residenti nel territorio della Comunità Educante. L’incontro con questi bambini e le loro famiglie ci dà la possibilità di guardare al futuro,
di avviare iniziative educative a partire da questo importante periodo della vita per una crescita sana ed equilibrata. Una importante sfida della comunità per i prossimi mesi.
Nelle settimane che hanno preceduto la Pasqua è stato molto complesso far fronte ai bisogni, alle richieste spesso pressanti, alla necessità di accogliere in presenza e a dover garantire il distanziamento sociale. Nei “Poli di assistenza” oltre cinquanta persone si sono donate alla comunità senza sosta effettuando operazioni di carico, scarico, confezionamento e distribuzione di beni alimentari. Pasqua ha spezzato il ritmo anche grazie all’importante “alleggerimento dei bisogni” che è arrivato in quei giorni, dopo un mese di gravissima emergenza, dal Comune di Palermo attraverso l’erogazione dei buoni alimentari della Protezione Civile.
Con l’avvio delle procedure di richiesta dei buoni è emerso anche un nuovo bisogno: l’assistenza alle famiglie per la procedura informatica necessaria per l’attivazione. Oltre 400 famiglie sono state assistite nella compilazione e registrazione dei documenti per la richiesta del buono alimentare, messo a disposizione dal Comune di Palermo, dall’unità operativa della V circoscrizione Agenzia Sociale per la casa che ha operato al Centro Tau.
Le scuole per favorire la didattica a distanza hanno cercato di inventare soluzioni di tutti i tipi. Hanno distribuito tutti i computer disponibili e quelli che nel frattempo sono riusciti ad acquistare con il buono ministeriale. Chiaramente le disponibilità sono ancora insufficienti in considerazione dello stato di povertà di molte famiglie del territorio. Sono state avviate anche delle iniziative per ricevere donazioni e ulteriori finanziamenti per l’acquisto dei device che purtroppo arriveranno nelle prossime settimane e non saranno sicuramente sufficienti a coprire il bisogno. In raccordo con le scuole il Centro Tau ha attivato la distribuzione di kit scuola, contenenti materiali didattici da utilizzare per la didattica a distanza, ma anche nel tempo libero dei bambini. Sono stati distribuiti oltre 500 kit ai bambini e ragazzi da 4 anni in su. Gli stessi genitori hanno attivato un passaparola efficientissimo, avvertendo delle opportunità offerte nei diversi Poli. Lentamente, sono entrati nella prospettiva della Comunità Educante tanti genitori che non se ne riconoscevano come parte attiva.
E così, in questo tempo difficile, i Poli si sono trasformati lentamente in qualcosa di più grande, rafforzando l’immagine da cui eravamo partiti nella loro progettazione: un nuovo modo di concepire l’educazione, la scuola, la crescita e la valorizzazione dei ragazzi a partire dai loro veri bisogni e dalle loro famiglie.
«Tutto passa da una presa in carico integrata in cui ci attiviamo ciascuno dal nostro angolo di visuale» riflette Massimo Merlino, referente regionale sulla povertà educativa di Save the Children Italia ente fortemente impegnato da anni anche nel nostro territorio (il Centro Tau è uno dei Punti Luce). «A un’emergenza già pregressa che era quella della povertà e della crisi economica si è aggiunta quella sanitaria. È venuta a mancare tutta quella rete informale che permetteva alle famiglie di andare avanti. Si è dimostrata per il futuro l’importanza di fare rete e di dare risposte attivando la comunità dal bisogno: dal Comune a Save the Children, dagli operatori alle scuole».
Persone, Reti e Fiducia
«L’essenziale è fare bene il proprio lavoro» riflette Maria Alvich, insegnante del Gabelli «e farlo oggi significa essere veramente vicini ai bambini accertandosi che non manchi niente. Moltissime famiglie anche quelle che il giorno prima stavano bene si sono ritrovate senza nulla. Non dimenticherò mai la grande dignità di alcune mamme che abituate a una normale autonomia economica si sono ritrovate da un giorno all’altro a chiedere aiuto per il sostegno alimentare. La scuola non si è tirata indietro e ha assunto anche il compito di cercare soluzioni e raccordarsi per segnalare alunni e famiglie in situazione di difficoltà. Questo lavoro è stato possibile proprio perché eravamo già una comunità educante e avevamo già realizzato un’alleanza fra scuola, parrocchie e terzo settore. Sapevo già a chi rivolgermi, a seconda del tipo di bisogno del mio alunno. Anche l’aiuto dato dagli operatori del centro Tau per contrastare la dispersione scolastica è stato straordinario».
«Con la scuola» aggiunge Pina Lipari, responsabile della fascia giovani del Centro Tau «il confronto e lo scambio è costante e attraverso la capacità degli educatori di esser più vicini alla strada, si sono riusciti ad avvicinare ragazzi che per motivi diversi non avevano cominciato la didattica on line o rimanevano esclusi dalle relazioni. In questo periodo abbiamo guardato alla comunità territoriale e ai suoi bisogni, li abbiamo raccolti e abbiamo provato a rispondere. Abbiamo continuato a realizzare a distanza i processi educativi, l’accompagnamento allo studio, le attività di gruppo, abbiamo promosso laboratori on line; abbiamo realizzato attività di orientamento, abbiamo fatto supporto psicologico alle famiglie e ai ragazzi, abbiamo sostenuto le capacità genitoriali delle famiglie. Gli operatori dei poli educativi del territorio Zisa Danisinni, hanno trasformato l’evento straordinario della pandemia in una preziosa occasione per fare comunità nel senso pieno del termine facendo sì che nessuno rimanesse escluso e rafforzando i legami costruiti nel tempo».
Il contrasto alla dispersione scolastica, cruciale con la didattica a distanza, è stato realizzato in forte sinergia tra scuola ed educatori del Centro Tau, proprio perché ognuno capace di guardare e conoscere il ragazzo sotto aspetti diversi: abbiamo moltiplicato gli sguardi provando a non lasciare indietro nessuno. La sfida, soprattutto in vista delle prospettive future, è aperta.
Le dirigenti scolastiche della Comunità Educante hanno subito rilevato come il lavoro di rete è stato fondamentale per fronteggiare la dispersione scolastica e per la gestione di tutte le necessità: dalle problematiche psicologiche a quelle pratiche.
La necessità di azioni collettive si è rivelata indispensabile per far fronte alle conseguenze disastrose che le diseguaglianze esistenti già prima del coronavirus stavano generando.
Così, usando un’immagine che ha condiviso con noi Valeria Catalano, dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo Colozza Bonfiglio: «Ognuno è diventato l’anello di una catena che ha unito ciò che era distante».
Come riflette Gianna Cappello, del Dipartimento Culture e Società dell’Università di Palermo che si occupa della valutazione di impatto del progetto Comunità Educante Evoluta Zisa Danisinni «il grande valore in questa emergenza è l’aver costruito un tessuto di fiducia, i Poli sono diventati luoghi di fiducia».
«In questo territorio la scuola a volte è stata vista come qualcosa di esterno, di inavvicinabile. Ma quando siamo entrati in casa, con la didattica a distanza, le famiglie ci hanno visto per quelli che siamo: esseri umani, con le nostre incertezze. Ed è così cambiato il rapporto. Si è creata un’alleanza. Molta della dispersione che credevamo di avere non c’è stata. Ritornare a guardarsi negli occhi, vedere i panni stesi e le stesse incombenze familiari in casa della maestra come nella propria è stato utile» riflette Valeria Catalano.
I Poli si sono rivelati mondi più accessibili, familiari. In un’epoca di solitudini di massa data dall’iper- connessione in cui crediamo di essere vicini a latitudini impensabili, la chiave è stata la relazione, la dimostrazione dell’interesse verso l’altro, del farsi prossimo all’altro, dell’avvertirsi come comunità. Trasformare i propri pensieri in parole e condividerle, facendoli uscire virtualmente dalle stanze per unirli a quelli degli altri è quello che è stato realizzato con il coro della Comunità Educante. Grazie a Pia Tramontana che con il Conservatorio di Palermo segue l’azione la Comunità diventa Conservatorio e al sostegno di Rai Ragazzi, le singole voci dei bimbi sono uscite dalle loro camere e si sono unite in un videoclip per augurare una Buona Pasqua a tutta la città. «Siamo pronti a ripartire con il coro» afferma Pia Tramontana «un’attività capace di realizzare competenze trasversali importantissime, come l’abitudine all’ascolto e all’attenzione».
La comunità educante di domani
«C’è ancora un pensiero verticistico che si sta sempre più ripensando in prospettiva circolare» ricorda Fra Mauro «L’intervento deve partire da un ascolto delle realtà che lavorano nei territori. Il capitalizzare l’esperienza della nostra comunità educante significa ripensare noi del terzo settore insieme al pubblico in una chiave circolare e interistituzionale».
Rigenerare il territorio tramite il suo tessuto sociale, che abbiamo mappato e messo a sistema. Se oggi ciò è avvenuto per far fronte all’emergenza, domani deve avvenire in termini di inclusione sociale e lavorativa. L’epidemia ha svelato uno degli ingredienti principali per costruire le fondamenta di un Polo ancora più ampio, quello dell’intera citta: l’inclusione intelligente, reale a partire dai bambini per arrivare ai genitori, un’inclusione di vicinanza che solo il terzo settore e le comunità educanti oggi possono realizzare.
«Bisogna realizzare un sistema educativo territoriale in cui le famiglie delle periferie sono messe al centro. Il nostro sistema territoriale si può evolvere in un’ottica autopoietica perché oggi ciascuno sa che attraverso l’altro può generare processi» afferma Francesco di Giovanni.
«La scuola oggi si deve aprire a 360 gradi» aggiunge Valentina Chinnici, Presidente del Cidi Palermo, uno dei partner del progetto Comunità Educante Evoluta Zisa Danisinni e Consigliere Comunale «da soli non si può fronteggiare la crisi che ci ritroveremo ad affrontare. Gli insegnanti hanno dimostrato tenacia e bravura con la didattica a distanza ma questo non basta. La scuola deve farsi costruttrice di comunità, la collaborazione con il terzo settore è stata fondamentale, ma bisogna fare ancora di più. Bisogna costruire comunità educanti fuori e dentro le mura della scuola; la scuola deve essere nelle strade, nei parchi e deve comprendere le fragilità delle famiglie, rilanciare il tessuto sociale. La comunità educante deve farsi tessuto per ricucire la società».
«Bisogna tuttavia mantenere la disponibilità dello spazio scuola» osserva Francesca Lo Nigro, dirigente della Direzione Didattica Aristide Gabelli «anche per evitare la dispersione scolastica dobbiamo pianificare per i genitori situazioni certe. Ben vengano gli spazi esterni e i musei, ma oltre lo spazio scolastico».
Valeria Catalano immagina un ritorno in cui non siano più le mura di un’aula il paesaggio quotidiano ma «spazi senza confini da rendere fruibili e utilizzabili come aule, spazi all’aperto come il parco della Zisa, luoghi simbolo di confine tra quartiere e scuola come i tanti cortili da trasformare con la cultura: rendere il quartiere un luogo educante e di riflesso renderlo bello, insegnare la sostenibilità, trasformare gli spazi in luoghi di crescita».
Come ha scritto Marco Rossi Doria (Servono nuove politiche urbane per le periferie, per farle dobbiamo partire dalle scuole su www.chefare.it): «È davvero tempo di una grande politica nazionale capace di dare forza a chi opera, alle tante comunità educanti dedite a una scuola accogliente e rigorosa, a una formazione professionale seria, a progetti di sviluppo locale che producono lavoro, impresa, cooperazione diffusa, mercato regolare, cura delle persone in crescita».
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