Sostenibilità: la chiave del professor Marani

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Sostenibilità di Arteteca e futuro esempio di buona pratica. “Il progetto è molto valido E avrà successo se si riuscirà a tessere rapporti continuativi con i Comuni, e più in particolare con le istituzioni, con le famiglie e con le scuole. Ma per riuscire con tutte e tre è necessario che il progetto venga utilizzato per intero, adesso”. E’ questa la chiave per la sostenibilità di Arteteca, sviluppata dal professor Ugo Marani. Insegna Economia e finanza internazionale ed Economia internazionale presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale. È stato professore Ordinario di Politica Economica presso l’Università di Napoli Federico II. Scrive per Repubblica, Social Europe e Micromega. Inoltre è consulente di Arteteca sul tema della sostenibilità.

Professore, quali sono gli elementi di Arteteca che possono aiutare a garantire la sostenibilità futura del progetto?

“Il lavoro che stiamo facendo per Arteteca è di questo tipo. In primo luogo, dobbiamo riuscire a dimostrare che è una situazione di rilievo sociale, e perché ciò avvenga deve essere accettata dalle istituzioni. In questo caso dall’assessorato del comuna di Napoli alla Scuola. Secondo, quest’ultimo deve sensibilizzare i dirigenti scolastici affinché certifichino con le famiglie che si tratta di attività reputate e serie. Una volta che le famiglie avranno capito questo, e che ci sono solo dei vantaggi per i bambini, nella fase in cui il progetto Arteteca è finanziato, sarà raggiunto l’obiettivo. In questo caso sarà possibile dimostrare che la sostenibilità è un percorso fattibile”.

C’è bisogno quindi mantenere i rapporti con il tessuto sociale e amministrativo delle città?

“Affinché il progetto sia sostenibile, è necessario che, finita la fase “sociale”, ci sia una domanda per questo tipo di attività, che ne consentano la continuità nel tempo. Non si può essere finanziati a vita. Passato quel periodo, in cui hai rapporti con le istituzioni e con l’Impresa sociale Con i Bambini, bisogna essere in grado di strutturare un percorso diverso, dove un po’ ci si autofinanzia, e un po’ le istituzioni, private o pubbliche, siano in grado di investire in questo progetto. La condizione necessaria perché la seconda parta, è che la prima sia completamente utilizzata. Ovvero, immaginiamo che presso i due poli museali – quello di Napoli e quello di Santa Maria Capua Vetere – si raggiunga l’intero numero di ragazzi che sono stati programmati, allora hai una chance.  La condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché il progetto continui nel tempo è che la fase sociale sia nel pieno utilizzo della sua capacità”.

Quindi ci sono due strade:

“Esatto. La prima quella in cui tu devi convincere la famiglia del minore non indigente a fargli seguire questo tipo di percorso educativo, non per guadagnarci, ma per coprirti i costi. Secondo, se riesci a dimostrare che sei una buona pratica, allora le istituzioni pubbliche e le strutture museali possono lavorare con te. Bisogna fare in modo che tra due anni ci siano 90 bambini che si pagano la retta, in modo tale da consentire a questa attività di andare avanti. Un altro elemento che può far continuare il progetto, è il maggiore co-interessamento del Comune”.

Perché in una città come Napoli, dove c’è tanta povertà educativa, è importante il progetto Arteteca?

“Se vengono fatte delle indagini sull’offerta sociale per i bambini a Napoli, e la misuri in termini di aule e disponibilità, tu perdi, perché Napoli perde completamente su tutto quello che riguarda la disponibilità finanziaria degli Enti locali verso i minori. Ad esempio, misuri attività gratuite per bambini, non ce ne sono. Allora bisogna inventare qualcosa che a costo zero consenta erogazioni qualitative. Cioè devi eccellere in tutto quello che non è il dare i soldi. Devi erogare dei servizi, strutturati da altri. Ad esempio, a Napoli qual è il rapporto tra musei e bambini? E’ straordinariamente più elevato di Genova e Torino. Perché se lo misuri soltanto in termini di erogazioni di servizio all’infanzia, tu perdi”.

Un elemento che è strettamente correlato alla sostenibilità.

“La sostenibilità è sostanzialmente tre cose: avere una visibilità e quindi una platea di bambini non indigenti che è disposta a pagare il minimo che poi diventa l’investimento sul futuro della famiglia; secondo, fai una buona pratica e le strutture museali si mettono anche a tua disposizione per fare crescere questa cosa; terzo, convinci i Comuni che questo tipo di servizio, fa eccellere politicamente anche loro. Ma se nel primo triennio non raggiungi per intero il pieno utilizzo, non va bene. Il primo presupposto della sostenibilità futura è la questione che nel breve periodo si riescano a convincere 90 famiglie, che è un bene per i loro figli partecipare a queste attività. Questo conviene anche ai musei, perché quanti più minori hanno frequentazioni con essi, tanto più a vent’anni saranno spettatori paganti delle attività museali. Questa è la logica: devo investire oggi a far entrare nel museo i bambini. La famiglia indigente ha difficoltà ad andare al museo, se io invece riesco a prendere i figli di queste famiglie e riesco a farli andare al museo, anche il disagio della famiglia si riduce”.

Bisogna coinvolgere due tipi di famiglie: quelle indigenti, per dare una rilevanza sociale al progetto e reperire finanziamenti pubblici e privati; quelle socialmente stabili, per attivare una contribuzione di mercato.

“Con le famiglie indigenti hai un primo problema che è l’assenteismo scolastico. Se riesci a arginare questo problema, è un inizio. Poi Napoli su questo tema ha tradizione: ha avuto i maestri di strada, ha sperimentato attività innovative nei confronti dei bambini poveri. Quindi il problema grosso è coinvolgere in relazioni sociali questo tipo di famiglie”.

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