Pediatria, valore aggiunto di Arteteca
di lenuvole
Il professor Alfredo Guarino è il direttore della Scuola di specializzazione in Pediatria dell’Università di Napoli Federico II, tra i partner del progetto Arteteca ludoteche museali contro la povertà educativa, che tra l’altro prevede un’azione di screening pediatrico a vantaggio dei bambini che frequenteranno le strutture, a Napoli come a Santa Maria Capua Vetere.
Professor Guarino, di cosa si occupa la Scuola di Pediatria?
In sostanza prepara quelli che saranno i pediatri di domani. L’Italia ha un sistema pediatrico molto avanzato, forse uno dei migliori sistemi al mondo: esistono quelli di famiglia e quelli che lavorano negli ospedali. I pediatri di famiglia rappresentano un servizio unico nei Paesi occidentali e garantisce un’assistenza specifica, per età, a tutti i bambini e, essendo a carico dello Stato, ha grande importanza sociale e sanitaria: anche per questo l’Italia è considerato uno dei paesi a standard sanitario più avanzati al mondo.
Quali sono le principali connessioni tra salute e povertà educativa?
Ci sono molti dati a sostegno di questa tesi. I dati che derivano, in parte, dai Paesi in via di sviluppo, ma anche dall’Italia visto il fenomeno immigrazione e la crisi economica. Esistono delle sacche crescenti di persone che sono in condizioni di indigenza e questo si riflette sulla salute. Ad esempio, nel reparto di malattie infettive abbiamo ricoveri di bambini con patologie molto serie e con condizioni nutrizionali piuttosto pesanti e questo ci fa capire che ci vorranno diversi anni per portare la situazione alla normalità, cioè a qualche anno fa, quando gli standard di salute della popolazione erano migliori. Oggi siamo in crisi sotto questo aspetto: ho visto casi di tubercolosi e malattie infettive che non vedevamo da decenni.
Come parteciperà la Scuola all’interno del progetto Arteteca?
Avremo due obiettivi in questo progetto. Il primo sarà quello di monitorare l’impatto dell’intervento educativo sulla salute del bambino. Questo avverrà attraverso un’intera classe di specializzandi. Apro una parentesi: Napoli, con Padova, è la più grande Scuola di specializzazione d’Italia. Io ho 102 specializzandi nei 5 anni, circa 20 l’anno. Sostanzialmente il progetto accompagnerà gli specializzandi per tutto il loro corso di studi. Misureranno il livello di salute, monitorando parametri importanti come: obesità, asma, vaccinazioni, uso di antibiotici, patologie in genere, cercando di capire se il percorso educativo delle ludoteche museali avrà impatto su questi parametri. L’altro obiettivo è quello di formare giovani pediatri alle Medical humanities. Oggi in medicina si cerca un connubio tra un approccio metodologico rigoroso e allo stesso tempo umano, che introduce una dimensione psico-sociale nella concezione medica del modello di salute. Questo modello prende il nome di modello bio-psico-sociale.
Altri progetti analoghi a cui partecipa la Scuola di Pediatria?
Noi ci occupiamo di una serie di progetti come Dipartimento di Pediatria: ad esempio quello sulla prevenzione all’obesità e sull’implementazione delle vaccinazioni. Sostanzialmente facciamo progetti che si occupano di malattie complesse: la fibrosi cistica, il diabete, l’Aids; abbiamo una particolare attenzione verso le malattie genetiche, forti di un legame strettissimo con il Tigem. Oltre a queste ci occupiamo di malattie ad alto impatto sociale. Nell’ambito delle medical humanities, ora stiamo seguendo anche un progetto di medicina narrativa insieme ai nostri psicologi, come la dottoressa Continisio, – impegnata anche su Arteteca: in questo caso gli specializzandi raccolgono narrazioni di storie cliniche, per capire appunto l’impatto psicosociale delle malattie.
Come avviene il processo di iscrizione alla Scuola di Pediatria?
Il concorso alla Scuola di specializzazione è nazionale, ciò significa che i laureati in medicina interessati alla pediatria affrontano un’unica selezione; chi ha i punteggi più alti, può scegliere la sede. La nostra Scuola, ad esempio, ha un terzo di specializzandi che viene da fuori Napoli.
Nel suo intervento al convegno di apertura di Arteteca, lei ha parlato di formazione empatica degli studenti: cosa significa?
L’empatia è uno degli elementi su cui noi lavoriamo molto. Oggi esiste una medicina difensiva. Ad esempio, a me è capitato che durante un intervento medico, dei genitori volessero filmare quello che stavamo facendo al proprio figlio. Questo crea un rapporto difficile e di non fiducia dove noi ci sentiamo scrutati e ispezionati. E per come si può intuire è un tipo di rapporto che può avere ripercussioni pesanti sul piano delle scelte terapeutiche che a quel punto diventano di tipo difensivo, facendo cadere così quello che dovrebbe essere un rapporto fiduciario tra medico e paziente. La risposta a questa degenerazione della medicina, tipica dei paesi sviluppati, è proprio l’empatia e cioè stabilire in qualche modo un rapporto di tipo emozionale tra medico e paziente. Per questo motivo contiamo di formare i nostri specializzandi all’empatia, per provare così a superare queste visioni diffidenti e non costruttive.
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