Con i ragazzi autori di reato occorre un lavoro di cucitura

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Venerdì 22 marzo, presso il Collegio universitario “Luigi Lucchini”, si è svolto il convegno “Ricucire con la comunità. Coinvolgere il territorio negli interventi educativi con i minori autori di reato”, organizzato dalla cooperativa Il Calabrone nell’ambito del progetto “Tra Zenit e Nadir: rotte educative in mare aperto”. Un convegno molto partecipato su un tema che oggi è centrale nel dibattito pubblico e di grande attualità, il penale minorile. Le relatrici e i relatori hanno offerto un’analisi approfondita e curata del contesto e della società in cui viviamo.

Cristina Maggia, presidente del Tribunale per i minorenni di Brescia, ha sottolineato che gli aspetti sociali soggettivi sono centrali nel penale minorile. “Questi ragazzi che arrivano ad affrontare un processo penale minorile, prima di essere adolescenti arrabbiati e sgradevoli, sono stati bambini di cui ‘il villaggio’ non si è occupato. È necessario intercettare questa situazione critica di solitudine o di vite non viste: la comunità deve intervenire e si deve interrogare ben prima del processo penale. Il processo penale minorile vuole tendere a responsabilizzare il ragazzo rispetto all’agito deviante, al male provocato alla vittima o al contesto in cui vive, restituendo la speranza”.

All’intervento di Maggia è seguito quello di Giuliana Tondina, procuratore della Repubblica del Tribunale dei minorenni di Brescia: “il processo penale minorile è orientato a costruire un percorso in cui l’autore di reato minorenne entra in un modo ed esce in un altro, possibilmente migliore, e se esce in un modo ‘buono’ non è necessario punirlo. Per farlo è necessario conoscere approfonditamente il ragazzo, le sue condizioni personali e psicologiche, ma anche la sua storia familiare e sociale.” Il processo penale non può essere la leva risolutiva: è fondamentale il lavoro di prevenzione, che accompagni le fragilità che si manifestano in tutte le fasce della popolazione.

Roberta Ghidelli, direttrice dell’Ufficio servizio sociale per i minorenni di Brescia, ha richiamato all’importanza di lavorare in interconnessione tra soggetti che si occupano di penale minorile per aumentare la capacità di agire dei territori: “è necessario cambiare il modo di leggere la comunità, che non è fatta solo di persone oggetto dei nostri interventi, ma anche di risorse con cui interagire per costruire insieme delle risposte”.

Ha chiuso la tavola rotonda Sabino Montaruli, responsabile del Servizio sociale territoriale della Zona Nord del Comune di Brescia, che ha illustrato alcune esperienze realizzate e approcci adottati: “bisogna occuparsi anche della vittima, del conflitto, coinvolgendo anche il territorio per ricucire le relazioni che sono state lacerate dal reato”.

Nel pomeriggio gli educatori coinvolti nei progetti hanno raccontato le diverse esperienze educative proposte ai ragazzi e alle ragazze: dalla trekking therapy a Diximus, dai laboratori creativi ed espressivi di Pop à Porter e del laboratorio Polly alle attività di volontariato nelle associazioni territoriali, dai percorsi nell’arte con la Fondazione Brescia Musei fino ai laboratori di teatro. Una ricca varietà di proposte che puntano a intercettare le necessità del singolo. Come ha ricordato Michele Tomasoni, responsabile dei progetti de Il Calabrone per il penale minorile, la cooperativa è impegnata su questo tema dal 2011 e lavora in sinergia con numerose realtà territoriali di Brescia e provincia che se ne occupano. In questi anni è stato svolto un importante lavoro di squadra che ha richiesto una continua rilettura dei fenomeni e dei contesti, a cui ha fatto seguito un’evoluzione degli interventi, delle azioni e delle strategie, perché i ragazzi e le ragazze sono cambiati profondamente nel tempo e pertanto servono approcci e metodi differenti.

Il lavoro nel penale minorile è un lavoro “sartoriale”, perché prende le misure di ogni ragazzo e ragazza e cuce un progetto su misura, a seconda delle esigenze e dei bisogni osservati e condivisi. Mette al centro il minore, che viene visto e riconosciuto per quello che è, che può diventare, e non per quello che ha fatto e per il reato che ha commesso. I progetti rivolti ai minori autori di reato sono pensati per offrire occasioni di apprendimento e di sperimentazione di sé, in cui ragazzi e ragazze imparano a leggersi e riconoscersi, possono vivere esperienze di successo e scoprirsi portatori di competenze, capaci di azioni utili e positive, ma anche di saper scegliere. Essere inseriti in un contesto di bisogno reciproco, riconoscere il valore delle proprie azioni e sentirsi responsabili consente di riallacciare i rapporti con il contesto e con la comunità in cui si vive, provando a giocarsi in un ruolo diverso.

I giovani hanno il diritto di avere un’occasione di essere inclusi nel loro territorio, hanno bisogno di sentire di appartenere a qualcosa, ma hanno anche il dovere di fare delle azioni per ricucire gli strappi causati dai reati commessi. Anche la comunità ha diritti e doveri: i cittadini hanno il diritto di essere “risarciti”, anche simbolicamente, del danno subito, ma come adulti hanno anche il dovere e la responsabilità di prendersi cura e di accompagnare ragazzi e ragazze nel loro percorso di riscatto, facendogli vivere esperienze di valore, per mostrargli un futuro diverso, riflettendo sul passato ma agendo sul presente.

Lavorare con i minori autori di reato, insomma, significa progettare e realizzare lavori di cucitura per contrastare le povertà educative e le disuguaglianze, per far venire meno i presupposti per cui si commettono i reati: cucire con la biografia dei ragazzi e delle ragazze che incontriamo, cucire con le realtà in cui vivono, un lavoro paziente, prezioso e artigianale.

Il progetto “Tra Zenit e Nadir”, frutto della collaborazione tra Istituto Don Calabria e CNCA, è attuato a Brescia da Cooperativa Il Calabrone e Opera Pavoniana, insieme a Comune di Brescia e Ufficio servizi sociali per i minorenni di Brescia.

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