Il protagonismo di bambini/e e ragazzi/e nei Laboratori di Advocacy Partecipata

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Circa un anno fa vi abbiamo presentato i Laboratori di Advocacy Partecipata del progetto S.C.AT.T.I., evidenziando il processo partecipativo che avremmo messo in atto per fare in modo che la voce dei ragazzi e delle ragazze coinvolti, in ogni territorio, trovasse un modo per esprimersi e fosse ascoltata.

L’impresa è stata più ardua del previsto perché a causa dell’emergenza Covid-19, esplosa a pochi mesi dall’avvio dei laboratori, è stato necessario ripensarli, utilizzando modalità e tecniche di comunicazione e di collaborazione a distanza.

Anche gli approcci alle tematiche individuate all’inizio del percorso (Spazi di quartiere a Milano, Territorio e giustizia a Roma e Palermo, Ambiente a Scalea) hanno subito una trasformazione e una diversa maturazione, collegate ad un nuovo punto di vista e a nuove riflessioni, stimolate dal lockdown nazionale.

A Milano, nel quartiere Giambellino, la riflessione sugli spazi esterni, abbandonati e non accessibili ai ragazzi e alla ragazze si è spostata all’interno della propria casa, uno spazio che da rifugio ha corso il rischio di diventare una prigione.

Con il cambio drastico di location e di prospettiva sulla propria vita e sulle proprie possibilità, il laboratorio è diventato un appuntamento online in cui i ragazzi hanno parlato di spazio e di “casa” da un punto di vista interno, intimo. Come ci racconta Giammarco Cugusi che ha tenuto il laboratorio per Dynamoscopio: “Chiusi in piccoli appartamenti da 1 o 2 stanze, condivise con almeno altre 3 persone della propria famiglia, piene di rumori, suoni e odori diversi ambiente per ambiente, i ragazzi e le ragazze del laboratorio hanno raccontato se stessi e la propria (nuova) quotidianità attraverso un video animato.”

Un’esperienza simile è quella vissuta a Roma, nel territorio di Ponte di Nona. Il laboratorio sul tema della giustizia sociale legata al territorio, inizialmente fatto di discussioni in gruppo, workshop di recitazione ed esercizi di ripresa e scrittura, è stato reinventato con interviste, self-tape e video-diari per realizzare un videoracconto. I temi trattati sono rimasti gli stessi: maschilismo, razzismo, degrado, solidarietà, ambiente, ma anche, ovviamente, le tematiche legate alla quarantena. Poi, con il ritorno a una nuova normalità, c’è stato anche il “ritorno nel quartiere”. “Quel che non volevo ritrovare, titolo del cortometraggio finale, rappresenta a pieno il lavoro svolto: chiedere ai ragazzi cosa non gli è mancato durante il lockdown e perché”: dice Stefano Cipressi che ha seguito i ragazzi nel percorso.

Singolare l’esperienza di Palermo,  che ha coinvolto ragazze e ragazzi nel progetto fotografico ZEN-B per raccontare il quartiere Zen2: dalle passeggiate durante le quali i giovani sceglievano gli angoli in cui fare gli scatti, si è passati alla visione di video che mostravano le immagini di fotografi contemporanei e di grandi maestri che hanno raccontato il quotidiano, un’idea avuta da Maria Rosaria Gullo che ha curato il percorso, per dare ispirazione, ma soprattutto sostegno in quei momenti difficili. La visione di questi materiali ha permesso poi ai ragazzi e alle ragazze di produrre fotografie all’interno delle loro abitazioni.

A Scalea e Praia a Mare, in provincia di Cosenza, i ragazzi e le ragazze non hanno avuto dubbi sul tema da trattare: l’ambiente e l’impegno per la sua tutela, da parte di tutti. Così dopo i primi incontri in presenza hanno continuato le riflessioni online, fino a quando hanno registrato i loro messaggi, a fine lockdown, circondati dalla natura, ciò che più gli era mancato nei mesi in casa. Messaggi riuniti poi in unico video. “Nella giornata di shooting i ragazzi si sono dimostrati maturi ed interessati ad esprimere le loro opinioni, ognuno seguendo la propria natura e l’esperienza dei lunghi e complicati mesi che abbiamo affrontato insieme, aiutandoli a concentrarsi sul mondo che cambia e la natura che chiede aiuto” racconta Francesca Chiappetta, che ha guidato il laboratorio.

Il principio guida di ogni laboratorio è stata la partecipazione, arricchita dal riconoscimento del talento dei ragazzi e delle ragazze. I prodotti comunicativi diventano così mezzo espressivo dei loro desideri e delle loro richieste, attraverso un immaginario che si nutre di bellezza, nonostante tutto, perché, come dicono i ragazzi di Palermo dove c’è ombra, c’è sempre anche luce.

Articolo a cura di Alessia Romeo, esperta nazionale S.C.AT.T.I. per Save the Children Italia

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