ESPERIENZE DI CITTADINANZA: “AIUTAMI QUANDO LO MERITO MENO. E’ PROPRIO IN QUESTI MOMENTI CHE NE HO PIU’ BISOGNO”

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Thomas (nome inventato) è il quarto studente che accompagno con Esperienze di Cittadinanza. E’ uno studente che deve “scontare” 15 giorni di sospensione.

Quando la dirigente mi ha telefonato e mi ha esposto il desiderio di pensare per lui un percorso educativo ad hoc, non nascondo che il mio primo pensiero è stato: “Ma cosa può aver mai combinato per meritare 15 giorni di sospensione???” Nel provvedimento a suo carico c’è scritto “Comportamenti aggressivi verso i compagni, insulti volgari verso le compagne di classe con l’aggravante della recidiva”.

Dopo la prima telefonata incontro la Dirigente e discutiamo sul possibile percorso partendo dai bisogni di Thomas. E’ l’obiettivo di tutto il progetto Scarpe Diem: leggere il bisogno dei ragazzi in situazione di povertà educativa per progettare percorsi specifici, in grado di mettere in sinergia scuola, educatori, servizi sociali e famiglia. Chiedo quindi di incontrare tutti gli attori: un docente, la psicopedagogista della scuola, la mamma e poi Thomas.

Thomas ha 15 anni: sguardo basso, poche parole, tanta tristezza. Vive con la mamma e la sorellina, non sa bene dire se ha o no il papà: lui c’è, nel senso che è vivo ma non si prende più cura della famiglia; ha deciso di vivere in un’altra nazione. La mamma ci racconta le sue fatiche: è sola, con due figli (Thomas e la sorellina più piccola), lavora i pomeriggi per poter pagare l’affitto del monolocale in cui vivono, cerca di non far mancare nulla a Thomas e alla sorellina ma, di certo, una cosa non riesce a dare loro: la sua presenza al pomeriggio quando loro sono a casa da scuola e maggiormente avrebbero bisogno di lei.

Thomas bada alla sorella nei giorni in cui la scuola elementare non ha i pomeriggi; negli altri, gira per la sua città. Vorrebbe fare calcio, ma nessuno lo può accompagnare (gli altri genitori non si prendono la responsabilità di portare in macchina altri ragazzi). Thomas desidera tanto avere il papà. L’estate scorsa è andato da lui 15 giorni: gli ha promesso di passare del tempo con lui e invece… lo lascia dalla nonna tutto il tempo.

Torna a casa arrabbiato con il mondo intero e porta la sua rabbia ovunque: nella relazione con la mamma, nella scuola, in biblioteca, in strada.

Decidiamo (io, la mamma e la dirigente) di costruire un’esperienza che possa essere per Thomas un’occasione di crescita, un’esperienza non punitiva ma preventiva. Lo accompagno in una comunità diurna per minori in cui andrà il mattino (momento in cui non ci sono i ragazzi accolti) per ritinteggiare le stanze dove i ragazzi fanno i compiti e fanno insieme le attività del pomeriggio. L’educatrice del progetto lo affianca in tutte le attività. Il lavoro manuale diventa momento di apprendimento, di gratificazione e soprattutto di relazione. Finalmente Thomas può avere a fianco una persona che gli dedica del tempo. Thomas lavora, si attiva, si rende disponibile in tutto quello che gli si chiede di fare. Però parla poco, non racconta nulla di sé, sempre con un velo di tristezza in viso.

L’ultima mattinata con Thomas inizia così: un the caldo, un pezzo di torta e gli dico una frase che lo spiazza: “Visto che tu hai dedicato tanto tempo per gli altri, questa mattina niente lavoro! Il nostro tempo oggi è solo per te”. Gli si riempiono gli occhi di lacrime. Sembra urlare: “Ma ci voleva tanto? Dovevo farmi sospendere 15 giorni perché qualcuno mi dedicasse un po’ del suo tempo?”
Parliamo insieme di come sta, di quali emozioni ha dentro di sé e visto che Thomas non riesce a dare loro un nome gli chiedo di metterle in un disegno.
Ha disegnato il gruppo di supporter della sua squadra del cuore. “I supporter” dice “sostengono la squadra non solo quando vince, ma soprattutto quando perde”. Nel disegno aggiunge la frase che racconta come si sente: “Questi simboli rappresentano come mi sento. Rappresentano la rabbia e la tristezza quando mi sento sconfitto. Ma dopo viene la possibilità di ripartire da zero”. Esprime l’azione del “sostenere” con 4 braccia sotto i simboli.
Alla domanda: “Ma chi sostiene te nei momenti difficili? Nei momenti in cui ti capita di “perdere” proprio come la tua squadra?” risponde “nessuno”.

Thomas torna a casa con il suo disegno. Io torno a casa “ferita” dalle sue ferite. Mi vengono in mente le bellissime parole di Marco Dotti (Elogio del ripetente) quando riflette sui ragazzi “difficili”, spesso vittime di un crescente divario di possibilità: “Generalizzata è l’idea che si parta tutti dallo stesso punto, che in una società democratica e ricca tutti abbiano accesso agli stessi strumenti. Non è così! Non tutti partono dalla stessa posizione, eppure tutti fingiamo che si parta da una linea comune. C’è chi nasce baciato dalla sorte e chi no, chi durante il suo percorso cade, inciampa, si rialza e chi invece prosegue senza intoppi”.
Ecco Thomas è uno di questi ragazzi “difficili”. Penso a noi educatori, al senso del nostro lavoro, allo sguardo che usiamo per guardare a questi “ragazzi difficili”, a quanto un educatore non può che non ferirsi. Marco Dotti ci insegna che “L’educatore nel lavoro con i ragazzi deve mettersi in gioco. Molti di questi ragazzi non hanno mai incontrato qualcuno nella loro vita che si mettesse in gioco per loro. Un adulto che cercasse di cogliere le ragioni profonde della loro intemperanza, della loro rabbia e della loro indisciplina. Nel lavoro con loro, se questo riesce, ottieni grandi soddisfazioni. Ci sono anche le sconfitte e le difficoltà, ma questa è la bellezza dell’insegnamento di frontiera. L’educatore è uno che si ferisce. D’altronde, se ti metti in gioco e ti coinvolgi non puoi che ferirti!”

Ora Thomas lo incontriamo spesso durante le attività di Educazione Nomade e quando lo incontro penso: “Vorrei che Thomas potesse scrivere in un braccio che per lui è simbolo di “sostegno” la parola S_CARPE DIEM”!

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