PERCHÈ DOBBIAMO RIVENDICARE UN RUOLO POLITICO

di

I progetti “Radici di Comunità” e “Tutti a scuola” volgono al termine, ed è dunque arrivato quel momento in cui ci si chiedere che cosa è rimasto del lavoro fatto. In questo caso, l’occasione per dirselo è stato l’evento su “I Patti per il contrasto alla povertà educativa” che si è tenuto il 12 maggio, a Roma,  durante il quale è stato fatto il punto non tanto sulle attività svolte, quanto sulle prospettive che questi progetti hanno aperto, in particolare attraverso le esperienze dei Comitati locali integrati e la costruzione dei Patti Educativi di Territorio.

I Comitati locali integrati (CIL) sono stati concepiti come nuclei progettuali, nei quali gli attori del territorio potessero incontrarsi, analizzare i bisogni emergenti, elaborare proposte. Sono quindi «spazi di costruzione e crescita della comunità educante», come ha ricordato Sarah Parisi del Cemea.

I Patti educativi, firmati ai castelli Romani e a Latina, coinvolgono Terzo settore, istituti scolastici e Amministrazioni Locali.  Sono luoghi di confronto, di condivisione e di elaborazione di strategie per il contrasto alla povertà educativa, e si avvalgono di tre strumenti: una cabina di regia, un tavolo permanente intercomunale, uno spazio dedicato alla comunicazione che sarà anche una banca dati di buone pratiche.

Insieme per il contrasto alla povertà educativa

Al fondo, c’è un’idea comune: che il cerchio della povertà educativa si spezza solo coinvolgendo – o costruendo – la comunità educante, e all’interno di essa chi ha responsabilità di governo sul territorio perché affronti il problema anche sul piano politico.

Per cominciare, questi due progetti confermano, come ha detto Paola Capoleva, presidente di CSV Lazio, un insegnamento, e cioé «che nella comunità abbiamo bisogno di integrare soggetti diversi attorno a obiettivi comuni: in questo caso le scuole, i Comuni, le associazioni. E questo ci colloca nella prospettiva dell’amministrazione condivisa».

Perché questo avvenga, però, è necessario un forte impegno partecipativo, che non è scontato.  «A volte crediamo di avere la partecipazione nel DNA», ha spiegato Cristina Brugnano, presidente di Cemea del Mezzogiorno, «ma il fare assieme è qualche cosa che si costruisce facendo. Per questo occorre conoscersi e condividere buone pratiche». E in fondo, arrivando a conclusione di progetti che sono stati portati avanti da reti di associazioni e che hanno coinvolto molti soggetti diversi, possiamo dire che «ammettere e superare la frammentazione del nostro mondo associativo è già importante».

Come abbiamo detto, uno degli obiettivi principali dei progetti era certamente quello di costruire comunità educanti, pensate come attori di quella «trasformazione partecipata dei territori» che è necessaria, secondo Eleonora di Maggio, per affrontare il tema della povertà educativa e quelli connessi. Per questo i Patti Educativi di Territorio non sono un fatto stato statico, perché devono continuamente confrontarsi con i processi che avvengono sul territorio stesso. Anzi, «il patto è un momento di questi processi».

Sono intervenute anche le rappresentanti di alcune delle Amministrazioni locali che hanno firmato i patti: Alessandra Zeppieri, assessora alla Pubblica istruzione di Albano; Giulia Ciafrei, vicesindaca e assessora alle Politiche Sociali di Velletri e Francesca Picarretta, vicesindaca e assessora alle Politiche Sociali di Genzano di  Roma. Hanno ribadito l’impegno dei rispettivi Comuni all’interno dei patti e avanzato diverse proposte: la necessità di “dare gambe” ai patti stessi, investendo risorse economiche e umane; l’istituzione di un servizio di coordinamento all’interno del Comune e la collaborazione tra Comuni diversi, perché i ragazzi “sconfinano”; la progettazione a lungo termine, per arricchire l’offerta formativa della scuola; l’opportunità di tenere aperte le scuole al pomeriggio.

Dall’esperienza alla politica

L’azione sui territori, però, ha bisogno di essere sostenuta e valorizzata da politiche educative adeguate.

In un contesto che vede 1/3 dei minori in condizione di povertà materiale e/o educativa, il Terzo settore rappresenta «il legame tra questa parte fragile e chi ha la responsabilità di tenere insieme la società, a partire dall’Amministrazione pubblica», ha detto Marco Rossi Doria, presidente di Con i Bambini. Ora, dopo anni di vacche magre e «decenni di tagli al welfare educativo che hanno inaridito il terreno», grazie al PNRR arrivano fondi, «ma non c’è un tavolo di confronto, che permetta di definire insieme le linee di questi interventi».

L’impresa sociale Con i bambini e il Terzo settore in questi anni da una parte hanno lavorato e «investito in dispositivi che, tra mille difetti, funzionano», dall’altro «sanno cosa non funziona». Per questo, sostiene Rossi Doria, «dobbiamo rivendicare un ruolo politico, perché questi dispositivi non siano solo sperimentazioni, ma diventino politica pubblica. Proprio perché la parte sperimentale sta andando bene, ci dobbiamo assumere il rischio politico».

(La foto in alto è di Carlalberto Mattaroli)

Regioni

Ti potrebbe interessare

L’importanza di confrontarsi con chi ha progetti simili

di

di Alessandra Raineri   L’associazione Ce.R.F. offre ai partner del progetto Radici di Comunità, che operano in territori diversi del Lazio, l’occasione...

“…E adesso la racconto io”: in mostra i disegni dei bambini

di

Appuntamento venerdì 31 luglio, al Casale Falchetti a Roma (in via della Primavera, 319/B): per tutto il giorno si potrà vedere la...

Un Comitato Locale Integrato per costruire comunità educante

di

  Si chiamano Nuova Latina e Nascosa, ma sono meglio conosciuti come Q4 e Q5. Sono due quartieri di Latina, popolati di...