Se non sai farlo è perché non l’hai ancora fatto!
di Fondazione Mondo Digitale
«Possiamo accendere il pc?»
Iniziano così tutti i laboratori di coding con le scuole del progetto OpenSpace. Con impazienza, curiosità e, in alcuni casi, anche poca fiducia. Si sa che l’ora di informatica è come l’ora d’aria in cui si esce dall’aula e ci si sente liberi! Per questo, forse, non riuscivamo a tenere a freno la voglia di accendere quei computer. Sembravano tutti pronti a riversare le loro idee fantastiche e fantascientifiche appena arrivati al laboratorio di coding.
Irene Caretti, la formatrice, è abituata a questo genere di energia e consapevole del poco tempo di attenzione disponibile da parte delle classi, ha scelto la formula magica “poca teoria e tanta pratica”. E invece, con sorpresa, viene riempita di domande già mentre mostra sulla lavagna interattiva le potenzialità di Scratch, il software scelto per i laboratori.
«Ma noi sapremo fare tutte queste cose dopo?»
«Veramente posso creare il mio videogioco?»
«Quindi potrò fare anche un video musicale animato?»
Le idee non mancano e Irene incoraggia tutti dicendo che continuando a usarlo avrebbero potuto fare semplicemente… di tutto. Irene spiffera subito alcuni segreti: dice che ci sono dei “trucchi” per poter imparare con facilità a fare cose più complesse. Sulla piattaforma Computer Science First di Google (CS First), infatti, si possono trovare decine e decine di tutorial per realizzare tutto quello che si riesce a immaginare. Anche i docenti si incuriosiscono e ricevono anche loro del materiale per le classi con la possibilità di usare strumenti diversi per le loro lezioni, oltre che per se stessi!
Siamo a Milano. Le classi sono tutte prime della scuola Madre Teresa di Calcutta, fatta eccezione per una prima che viene dall’Istituto De Andreis e un gruppo di grado misto dal Liceo Donatelli-Pascal. Ma tra grandi e piccoli, molti non conoscono lo strumento e pensano subito di essere di fronte a un’impresa impossibile: imparare Scratch in quattro ore di lezione e riuscire a raccontare una storia – inventata da loro, per altro. Per ogni classe, però, ce n’è almeno uno, al massimo due, di quelli che si considerano geni dell’informatica, piccoli programmatori nati con gli strumenti digitali “embedded” nel DNA. C’è da dire che, oltre a seguire in prima persona, questi piccoli nerd sono anche bravi a supportare i compagni in difficoltà e soprattutto a coinvolgerli e ispirarli: «Oh, io ho fatto tutto un video di Post Malone con questo programma! Domani lo porto in classe!»
Tra le ragazze, invece, notiamo che alcune escogitano tattiche di fuga per posizionarsi all’estremo opposto della scrivania. «Ma io non sono brava con il computer! Lascio fare agli altri!», dice una di loro alla prima ora di laboratorio.
«Non sei brava o non l’hai mai fatto?» chiediamo.
«… Non l’ho mai usato, quindi non so farlo! E poi non ho idee!»
«Perché non inizi subito a usarlo, poi dentro puoi farci quello che vuoi!»
Una settimana davvero intensa, tutte le classi hanno a disposizione due sessioni di laboratorio. Pensavamo fossero poche per vedere qualcosa di realizzato e invece i ragazzi decidono di usare anche il tempo degli intervalli e della ricreazione per mostrarci tutti i progetti creati in quelle poche ore.
«Noooooooooo!!!»
Le urla collettive, a fine laboratorio, coprono il suono della campanella. Non vogliono più andarsene, non vogliono lasciare la postazione. Più di ogni progetto realizzato, per noi è questo il risultato più bello. Vederli entrare con un pizzico di sfiducia e uscire con la voglia di continuare, con il desiderio di fare di più e di continuare a creare. Le idee le hanno e sono davvero tante. Chi l’avrebbe detto che uno strumento digitale avrebbe permesso loro di esprimere così tanta creatività?
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