NEST Napoli: storie dal campo.
di Comunicazione NEST
Francesca ed il piccolo Mario (nomi di fantasia) arrivano all’hub Nest di Napoli in un caldissimo pomeriggio di metà giugno dello scorso anno. Sono state le maestre della scuola a parlare di noi a Francesca, che è interessata alle attività pomeridiane dell’hub. La ascoltiamo, per circa due ore buone, raccontare e raccontarsi.
Ha alle spalle una storia terribile segnata da abbandoni, case famiglia, povertà, dolore ma la parola che ripete più di frequente, quella che sembra carica più di tutte le altre, è solitudine. Fortunatamente dieci anni fa, Francesca ha incontrato Antonio, il suo attuale marito e da allora, insieme, mandano avanti con le unghie e con i denti la loro numerosa e rumorosa famiglia. Francesca e Antonio hanno quattro figli: Gennaro di 6 anni, Ciro di 4 e mezzo, Vincenzo di 2 e mezzo e Mario, il più piccolo, soltanto un anno. Francesca è stanca e provata ma le si illuminano gli occhi quando parla dei bambini “la nostra squadra di pallone”. Aggiunge, scherzosamente che il marito vorrebbe tanto una femminuccia ma “non esiste proprio”, Francesca è convinta di riuscire a mettere al mondo solo maschi. Antonio lavora 12 ore al giorno senza un regolare contratto riuscendo a portare a casa solo lo stretto necessario. Il nucleo usufruisce di una serie di sussidi che, comunque, a stento bastano a soddisfare le esigenze di tutti. Francesca ci racconta dei problemi dei suoi figli: il maggiore ha una diagnosi neuropsichiatrica da almeno 2 anni e da 2 anni è in lista di attesa per iniziare un percorso di riabilitazione (logopedia e psicomotricità) presso un centro convenzionato; Ciro è un bambino estremamente vivace e spesso aggressivo, sembra che a scuola “nessuno lo riesca a mantenere”, gira per la classe, mette tutti i giochi “in mezzo”, è sfrenato. Vincenzo frequenta il nido comunale ma anche lui sta iniziando a manifestare una serie di difficoltà: è aggressivo con i suoi compagni di classe, morde gli altri bambini, vuole attirare su di sé l’attenzione di tutti. Mario, a detta della mamma, è l’unico tranquillo ma Francesca non vuole dirlo ad alta voce “anche gli altri erano così quando erano piccoli”.
Veniamo a conoscenza del fatto che il nucleo familiare abita nel quartiere Materdei, a pochi passi dall’hub Nest, in un piccolissimo appartamento soppalcato di 40 mq. I bambini stanno sempre tutti insieme in cucina dove lo spazio vitale è pochissimo. Probabilmente non è un caso che a scuola, quando c’è possibilità di movimento, i bambini “esplodano” e risultino per gli adulti presenti incontenibili. Fin dal primo incontro Francesca parla liberamente, “butta sul tavolo” tutta la sua vita ed in qualche modo ce la affida, chiede aiuto, “qualsiasi cosa va bene”.
Iniziamo per gradi. Le spieghiamo la nostra modalità di lavoro, le diciamo del patto di reciprocità, della necessità che anche i genitori partecipino alle attività dell’hub. Francesca ne è contenta, dice di non essere abituata a parlare in gruppo ma la cosa non la spaventa, anzi, chiede di poter avere dei consigli sulla gestione dei bambini. Francesca inizia a frequentare i gruppi di parola e altre attività dell’Associazione Pianoterra. Il suo unico interesse è che i suoi figli stiano bene, che non vivano quello che ha dovuto vivere lei, “non devono restare soli”. Gennaro deve iniziare velocemente il suo percorso di riabilitazione. Ci mettiamo in contatto con la scuola del bambino ed insieme sollecitiamo il centro individuato. Intanto il bambino inizia a frequentare il nostro centro educativo alla Sanità, viene seguito nei compiti e partecipa alle attività ludiche pomeridiane. Fortunatamente passeranno sole poche settimane per l’inserimento nei percorsi riabilitativi. Ciro viene inserito sin da subito nelle attività pomeridiane di Nest. Partecipa agli incontri di lettura, a quelli di musica e di coding. All’inizio è molto difficile coinvolgerlo: corre da un angolo all’altro del salone, rompe i giocattoli, strappa i libri, non riesce a stare in silenzio come richiesto dall’insegnante di musica. Ascoltiamo i bisogni del bambino, osserviamo i suoi comportamenti, riflettiamo. Il suo caso ci fa rendere conto che forse stiamo sbagliando qualcosa: i piccoli arrivano da noi dopo una lunga giornata a scuola; non possiamo pretendere da loro che si concentrino subito in un’altra attività. I bambini hanno bisogno di spazio, di tempo, di gioco. Invertiamo le cose: prima ci si diverte e dopo si “lavora”. Gradualmente va meglio, Ciro è contento delle attività proposte e le segue con attenzione e interesse. Vincenzo desta qualche preoccupazione in più: a scuola parlano tutti di lui, lo definiscono violento, aggressivo, eccessivamente irruento. Incontriamo tante volte la mamma e qualche volta anche il papà, condividiamo con loro un “piano di lavoro”, cerchiamo di sostenerli con gli strumenti a disposizione.
Ad un anno dalla presa in carico ed in accordo con la famiglia, accompagniamo i genitori ai servizi sociali territoriali dal momento che insieme abbiamo riconosciuto l’esigenza di un aiuto concreto di stampo educativo. Il Comune di Napoli, in accordo con i poli per le famiglie ed i Centri Servizi Sociali Territoriali, può attivare un servizio di educativa domiciliare, un programma individualizzato per il nucleo familiare realizzato da professionisti del settore e in accordo con gli enti del terzo settore, tra cui Nest.
La presa in carico del nucleo familiare è sicuramente complessa. Si tratta, come spesso accade a Nest, di una famiglia multiproblematica per la quale non è stato facile identificare un percorso di sostegno, comprendere quali fossero le priorità da affrontare. Tutto ci sembrava importante allo stesso modo e nello stesso momento. Abbiamo, anche se a fatica, tentato di non rispondere collusivamente alle numerosissime urgenze, lavorato con la famiglia e attivato le risorse sul territorio. Francesca avrebbe voluto che tutto fosse fatto con noi e da noi perché solo di noi si fidava ma, gradualmente, le abbiamo spiegato l’importanza degli altri poli territoriali, ha compreso che da soli non saremmo riusciti a fare un buon lavoro e che era necessario imparare a fidarsi anche degli altri. Nonostante i continui ostacoli e le nuove emergenze Francesca, Antonio ed i loro quattro bambini stanno realmente e fattivamente contribuendo al buon esito del percorso pensato con loro e per loro.
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