Elena e Matteo, una vita in fuga. Ma ora sono fermi, e sereni.

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Elena quando andava al liceo faceva “le news”. Nella cittadina dove viveva, in Sri Lanka, fare le “news” in classe significava presentarsi ogni mattina e fare la rassegna stampa. “Mi piaceva, eravamo io e una mia compagna, ci svegliavamo presto e pensavamo a cosa raccontare di quello che stava accadendo nel mondo”.

Finito il liceo Elena provò a entrare all’università ma, dopo il primo test di ingresso andato male, si sposò. “Non conoscevo bene quello che sarebbe diventato mio marito e, a dire il vero, non l’ho mai conosciuto neanche dopo. Lui aveva detto di essere una persona, ma dentro casa ne ho trovata un’altra”.

Dopo due anni, Elena seguì il marito a Roma e, dopo pochi mesi, rimase incinta di Matteo. “Avevo capito che quella relazione non era giusta. Però, ogni giorno mi dicevo ‘ domani cambierà, domani andrà meglio, domani sarà meno aggressivo’.”

Quel domani, nel frattempo, tardava ad arrivare ed Elena passò cinque anni della sua vita e della vita di suo figlio in casa con un uomo che le urlava contro. “Poi, non ho più resistito. Era una domenica quando ho preso Matteo e sono scappata”.

Quando parla di sé Elena si descriva come una giovane donna sensibile. Ma, mentre la si ascolta, si percepisce che dentro quell’aggettivo “sensibile” c’è un pozzo profondo metri, che fa fatica a emergere in tutta la sua complessità a causa di una lingua che non le appartiene dalla nascita e che nel suo primo periodo in Italia le era di ostacolo. “Quando sono scappata tutto mi era estraneo: la lingua, le persone, le strade. Lo spaesamento durava pochi minuti. Il tempo di guardare Matteo e capire che non potevo permettermi il buio, lui era luce, noi eravamo luce”. Elena passò sei mesi in un centro antiviolenza e da lì, sempre insieme al figlio, andarono nella casa-famiglia “Il Tetto madre – bambino”.

“Grazie alle operatrici di queste strutture io ho ricominciato a pensare che un giorno me la sarei cavata da sola, nuovamente. Come fossi stata una pianta a cui per troppo tempo non era stata data l’acqua e poi, passo dopo passo, anno dopo anno, son tornata a germogliare”.

Oggi Elena vive in un appartamento, in semiautonomia, grazie al supporto del progetto MamHabitat.

“Matteo ogni tanto fa delle domande, alle quali io provo a rispondere con sincerità. Sta crescendo, va a scuola, gioca a calcio e da grande vorrebbe fare l’ingegnere. Per ora mi basta sapere che il suo cuore è sereno e che, in fondo, ha capito più di chiunque altro chi è sua madre”.

Elena a breve comincerà un nuovo lavoro e mentre lo racconta la sua voce si fa più intensa. “Io sto tornando a vivere, ma so che molte donne ancora sono intrappolate. Vorrei poterle aiutare e vorrei, soprattutto, dire loro che nessuno di noi, mai, merita quel dolore”.

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