Il lavoro educativo a confronto con la crisi pandemica
di liberidicrescere
Il Centro per lo Sviluppo Creativo Danilo Dolci in quanto coordinatore dell’attività “Laboratori di autoanalisi su bisogni e desideri” del progetto “Liberi di Crescere – rete ad alta intensità educativa” e vista l’emergenza COVID 19 ha riproposto ai partner di svolgere i laboratori nella modalità online anche per il V ciclo di laborarori da aprile a giugno 2021.
Gli incontri hanno garantito un supporto alla comunità educante per la condivisione delle diverse esperienze, delle criticità da affrontare durante la pandemia e delle possibili soluzioni.
Il laboratorio anche da remoto continua a rappresentare, uno spazio di confronto necessario fra il corpo docente, gli studenti e gli operatori, in cui si realizza una dinamica di ascolto e discussione, facendo emergere di fatto i reali bisogni e i possibili interventi in risposta.
Di seguito vi raccontiamo i laboratori da più punti di vista e dalle 5 città coinvolte nel progetto:
Palermo
Durante l’ultimo ciclo del laboratorio di autoanalisi sui bisogni e sui desideri, tenutosi a Palermo, con gli operatori ed educatori delle associazioni Libera Palermo e San Giovanni Apostolo, emergono sostanzialmente gli effetti della crisi pandemica in corso. La distanza fisica, già analizzata in precedenza, è diventata una consuetudine preponderante sia per gli educatori sia per i giovani.
Le regole per prevenire il contagio sono divenute buone abitudini, prassi che per il pubblico giovanile al quale si rivolgono, devono essere semplici e dirette per essere rispettate e condivise in maniera più ampia. Fondamentale è anche l’imposizione di un modus operandi unico e rispettato soprattutto dagli educatori. Difatti, la differenza di età, i problemi di salute personali, fanno sì che si avverta una sensazione di paura, che differisce da persona a persona, rispetto un possibile contagio da Covid-19.
Nonostante ciò, è stata fondamentale l’empatia. Uno strumento essenziale per entrare in contatto sia con le ragazze e i ragazzi, ma soprattutto con le famiglie. Queste ultime, difatti, hanno giocato un ruolo essenziale sia per la prosecuzione degli studi dei propri figli, anche in situazioni di estrema difficoltà, sia nel contact tracking. Infatti, dopo una prima paura, simile alla vergogna, di dichiarare di essere positivi, l’interazione nei gruppi di messaggistica istantanea è stata fondamentale per la comunicazione. D’altro canto, il dialogo famiglia-educatori si è basato soltanto su aspetti più critici della quotidianità. Ciò ha influito negativamente a livello psicologico soprattutto tra gli educatori.
La metà del mese di maggio ha, invece, visto un graduale miglioramento della situazione pandemica che ha fatto sì che si manifestassero dei risvolti positivi nel rapporto educativo. Anche se il distanziamento sociale e l’obbligo di mascherine erano ancora in vigore, le ragazze e i ragazzi hanno avuto la possibilità di reiventare le loro attività fisiche: hanno scoperto che esistono altri giochi oltre il calcio, hanno investito il loro tempo in attività singole, come il disegnare, però in ambiti collettivi, come la classe.
Inoltre, nel periodo più critico della pandemia si sono acuite le differenze di genere tra maschi e femmine. Difatti, se i ragazzi hanno maggiore possibilità di uscire, di incontrarsi e conoscere nuovi ambienti della città, le ragazze sono assoggettate ad una situazione di passività da riscontrare nella cultura patriarcale. Alle giovani è, infatti, limitata l’attività di socialità all’esterno dal focolaio domestico proprio perché ciò implicherebbe incontrare i ragazzi. In tale maniera, viene ancora una volta enfatizzato il ruolo della giovane ragazza il cui destino è sicuro: creare famiglia e prendersene cura.
In conclusione, è bene sottolineare gli ultimi due aspetti rilevanti emersi dal ciclo di laboratori di autoanalisi svolti a Palermo: da una parte, in negativo, vi è la diffusione di episodi di violenza; dall’altro lato, in positivo, il rispetto per il bene comune quando gli stessi giovani sono i protagonisti della cura di tali spazi.
Salerno
Incontrarsi per riflettere insieme in questo periodo non può prescindere da una domanda: “come stai?”.
Una domanda all’apparenza banale ma così profondamente necessaria in un momento nel quale ansie, paure e preoccupazioni hanno occupato la nostra quotidianità. L’idea ambigua di un distanziamento sociale pericolosamente confuso con la necessaria esigenza di un distanziamento fisico ha prodotto il corto circuito di indebolire, se non di totalmente interrompere, quelle relazioni sociali senza le quali viene meno qualsiasi tipo di processo educativo e di crescita.
Ecco perché, in un momento come questo, scambiarsi questa domanda – come stai? – appare quasi un atto rivoluzionario. Ed ecco perché è da questa domanda che abbiamo deciso di partire per questa nuova sessione dei Laboratori di autoanalisi salernitani, caduti proprio nel momento in cui, dopo mesi di chiusure, il Paese ha cominciato ad intravedere la luce in fondo al tunnel.
Le risposte ricevute a questa domanda, soprattutto da parte delle ragazze e dei ragazzi, hanno restituito il senso di incertezza che accompagna questa fase della loro vita. Una fase dolorosa, in cui, privati delle loro abitudini quotidiane – la scuola, i compagni, il tempo libero – questi giovani rischiano di perdere l’orientamento e, soprattutto, faticano a guardare avanti con uno sguardo di fiducia. Ci hanno raccontato di giornate tutte uguali, di una mancanza profonda dell’incontro con l’altro. Lo hanno fatto usando espressioni e immagini forti e spiazzanti, come quella di “sentirsi in trappola”, di non riuscire a intravedere una via d’uscita, di essersi quasi abituati all’idea del distacco, delle pareti di casa che si trasformano in una “gabbia” di protezione dalla quale è difficile uscire.
A questi adolescenti occorre allora ridare un orizzonte, restituire uno sguardo di prospettiva e di speranza. Lo si può fare – ed è quello che abbiamo tentato nel secondo dei due incontri programmati – a partire proprio da una riflessione condivisa sul significato più profondo di questa parola: speranza. Discuterne liberamente, superando diffidenze e pregiudizi, alla pari con gli adulti, è diventata un’occasione unica per provare a ricostruire insieme quell’orizzonte.
“Questo incontro è stato bello e importante per noi – hanno scritto le studentesse e gli studenti dell’Istituto comprensivo Alfano – Quasimodo. Abbiamo parlato dei vari significati della parola “Speranza” e si sono confrontate due realtà profondamente diverse, il mondo dei ragazzi come noi e quello degli adulti. La speranza, soprattutto in questo periodo, per noi ragazzi è difficile da vivere e mettere in pratica perché con la pandemia ci stiamo abituando a restrizioni e divieti che impediscono la socialità e le esperienze della nostra adolescenza. Il desiderio più grande è quello di tornare a vivere quello che abbiamo lasciato più di un anno fa, tornare a fare esperienza della vita”.
A voler andare alla radice della parola, desiderio è assenza, mancanza delle stelle. Dalle stelle gli antichi ricavavano i buoni auspici nella speranza di cogliere i segni di tempi nuovi e migliori. È un processo, fatto anche di nostalgia e talvolta sofferenza, che non può escludere la parte attiva che sta nell’inseguire i desideri, nel dare piedi alla speranza. È in questo orizzonte che entrano in gioco parole come fiducia, responsabilità, impegno, forza, volontà.
Rieducarci alla speranza significa rieducarci a fare la nostra parte per attraversare il buio e tornare a vedere le stelle. In ultima analisi, per liberarci da quella trappola in cui ci sentiamo costretti e tornare a fare esperienza della vita.
Genova
Nell’impossibilità di restituire in dettaglio la ricchezza di quanto emerso, in queste poche righe proverò ad evidenziare alcune questioni significative consegnate dai partecipanti alla riflessione comune.
Partiamo dal passato dunque, o per meglio dire dai “passati”. Se c’è un primo lockdown (quello cominciato nel marzo del 2020) che ha, pur nelle differenze, prodotto effetti simili (a partire dalla chiusura delle scuole) su tutte le scuole, a prescindere dall’ordine e dal grado, c’è una seconda (e poi terza) ondata che ha invece avuto ricadute molto differenti, da territorio a territorio e da scuola a scuola. Inevitabile, quindi, che la percezione ed il racconto dei ragazzi più grandi siano molto diversi da quelli dei “colleghi” appena più giovani.
La DAD ha rappresentato per tutti (docenti compresi) un elemento di grande fatica nella prima fase, fatica proseguita anche nel corso dell’anno scolastico 2020/2021 per i ragazzi della scuola superiore, fatica cui se n’è aggiunta un’altra: la frequenza in presenza al 50%, che ha determinato incomprensioni e conflitti all’interno dello stesso gruppo classe.
Altro tema caldo la mancanza delle relazioni tra studenti e tra studenti e docenti, tema che diventa incandescente per chi ha vissuto situazioni di passaggio (dalla terza media alla prima superiore, o dal biennio al triennio).
Ed infatti, spostando il punto di vista dalla scuola al contesto di vita più allargato, è emersa la paura di perdere i rapporti di amicizia, rapporti che – specie a quell’età – hanno bisogno di contatto, presenza, vicinanza.
Non solo fatiche, ma anche elementi di grande positività hanno caratterizzato questo periodo, e rappresentano in un certo senso quel che ciascuno dei partecipanti intende “portarsi a casa”: dalle nuove competenze (su tutte quelle tecnologiche e di utilizzo dei dispositivi informatici, elemento trasversale alle generazioni) alla riscoperta dei tempi lenti, meno compressi, che si tiene con il maggior tempo da dedicare alla famiglia e agli affetti più prossimi.
I laboratori sono stati anche occasione per ragionare sulle attività progettuali, sulla loro capacità (o meno) di essere risorsa preziosa: anche in questo caso, la situazione tra scuola secondaria di primo grado e scuola secondaria di secondo grado è profondamente diversa.
Per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado le difficoltà generali, già richiamate in precedenza, si sono ripercosse sul progetto: nonostante gli sforzi dell’equipe e dei docenti, molte attività hanno subito un forte ridimensionamento. La scuola secondaria di primo grado invece, ad eccezione della prima fase logicamente faticosa, con l’avvio dell’anno scolastico 2020/2021 ha potuto attivare tutte le azioni progettuali, con addirittura un potenziamento delle ore dedicate allo sportello pedagogico.
Non ci si illude però – e va evidenziata la grande consapevolezza dei ragazzi – che tutto possa magicamente tornare alla normalità: c’è bisogno di scelte individuali responsabili, e di altrettanto responsabili scelte politiche ed economiche.
Torino
Avere l’opportunità di condurre dei laboratori di autoanalisi in un periodo di pandemia, per quanto in una fase in cui le più aspre restrizioni si andavano via via allentando, è stato estremamente utile e interessante. Utile perché ha dato la possibilità a docenti, operatori e studenti di confrontarsi e ascoltarsi gli uni gli altri, discutendo sullo stesso tema ma partendo da presupposti necessariamente particolari e differenti tra loro; è stato anche interessante, perché non sempre quanto si suppone riguardo questa o quest’altra tematica viene poi confermato, nel momento in cui ci si confronta con persone di età, professione e indole diverse dalle nostre.
È quanto è accaduto in occasione del laboratorio di autoanalisi della città di Torino attorno al binomio vivere/sopravvivere. Per quanto sia opportuno precisare che i professori e gli operatori abbiano di fatto preso la parola più spesso rispetto agli studenti, si può riconoscere una prima netta tendenza a non accettare il secondo dei termini, tendenza condivisa da praticamente tutti. La sopravvivenza viene letta come una dimensione negativa, nella quale il proprio benessere viene necessariamente visto come contraltare al malessere di qualcun altro. La tendenza umana ad adattarsi alle nuove condizioni di vita fa sì che la nostra esistenza, in questo periodo di pandemia, non si sia risolta in un tentativo tenace di sopravvivenza, ma in un più generico mutamento delle abitudini. Esso però rappresenta un nuovo vivere, che solo da un certo punto di vista (quello sanitario) può essere ricondotto al sopravvivere. Ciò nondimeno, certamente non manca la nostalgia nei confronti delle libertà, sia fisiche che mentali, cui eravamo abituati prima del Covid-19: poter frequentare la scuola e gli amici, poter socializzare senza paure e soprattutto liberarsi dall’ansia della malattia e della morte.
Il tema del sentirsi dei sopravvissuti è risuonato in molti dei partecipanti come elemento di crescita da cui ripartire insieme. Quest’ultimo punto in particolare ha trovato grande partecipazione, dal momento che non solo si è andati avanti con lo spettro della morte sempre in agguato, ma qualcuno dei partecipanti ha anche vissuto la triste esperienza di contagi e perdite nella propria famiglia. Inoltre, si può notare che la maggior parte dei partecipanti confida autenticamente nella scienza, vedendo nel vaccino un barlume reale di speranza e rinnovato entusiasmo.
Tornando a concentrarci più sul punto di vista degli adulti, piuttosto che su quello dei ragazzi, si può notare come una delle preoccupazioni fondamentali sia stata quella dell’utilità del proprio intervento, del proprio lavoro. Riagganciandosi appunto al binomio vivere/sopravvivere, riconoscendo nel secondo un’accezione negativa di mors tua vita mea, gli insegnanti si sono chiesti se effettivamente il loro impegno sia stato sufficientemente adeguato o se, in questo lungo periodo di pandemia, non si sia in qualche modo ecceduto verso il sopravvivere, piuttosto che verso il vivere, ma in modo diverso.
Il fatto che solo dopo l’esperienza diretta del dolore ci si sia resi conto della gravità della situazione non è tanto il sintomo di uno smisurato egocentrismo, dove l’incapacità di provare empatia col dolore altrui ci rende insensibili; è più che altro un segnale preoccupante di quanto l’enorme ammasso di opinioni, sparso a piene mani sulle home page dei social network dei minori, seguendo algoritmi che precipitano vertiginosamente verso una tendenza piuttosto che un’altra solo in base al numero di click, siano in grado di portare fuori strada anche giovani motivati e brillanti come quelli che hanno partecipato al nostro laboratorio. Giovani che proprio per il fatto di essere ancora nell’età dello sviluppo e dell’identificazione di sé, non hanno gli strumenti per discernere e finiscono per essere influenzati senza saperlo, seguendo l’arbitraggio non controllabile dell’algoritmo di Facebook, Instagram e TikTok.
Infine, un altro aspetto interessante da segnalare è l’intenzione, avanzata dagli operatori ma entusiasticamente accolta dagli studenti, di sfruttare questa ripartenza come un’opportunità per migliorare quanto prima non ci convinceva, condividendo i nuovi progetti di sviluppo e dando il via a una democratica ripianificazionne degli spazi e dei tempi.
Messina
Gli ultimi laboratori di autoanalisi su bisogni e desideri realizzati hanno rappresentato, per il percorso di Liberi di Crescere a Messina, la consueta importante opportunità di crescita che sono sempre stati. In questo anno e mezzo, e già dall’inizio della pandemia, è emerso in maniera importante il bisogno di ciascuno di noi dell’ascolto e “dell’altro” che lo rende davvero possibile. E quanto la mancanza di questo spazio, di questo momento anche fisico, non mediato dalla tecnologia, fosse stata sofferta da molte delle persone che hanno incrociato il cammino del nostro Progetto in questi anni, non soltanto le ragazze e i ragazzi ma anche gli adulti: i docenti, i genitori, gli stessi operatori.
Consapevoli di avere offerto ai ragazzi, nel corso dell’anno, non sempre in presenza purtroppo, diverse occasioni di confronto e di ascolto, abbiamo ritenuto utile dedicare questi ultimi appuntamenti al mondo adulto. L’equipe coordinata da EcoS-Med, gli operatori del Gruppo Abele e quelli del CSC Danilo Dolci hanno incontrato in occasioni diverse i docenti dei due istituti scolastici, mentre il terzo appuntamento abbiamo voluto dedicarlo all’equipe del progetto.
I temi, come sempre condivisi e scelti insieme ai partecipanti, hanno provato a rispondere all’esigenza concreta di confronto sul lavoro educativo, sul ruolo degli insegnanti, sull’attenzione alle relazioni e a quegli aspetti tanto importanti quanto impercettibili e a volte trascurati, sulla possibilità di “rinascere” senza necessariamente “morire” o rimettere tutto in discussione.
In uno dei laboratori la riflessione si è concentrata sui concetti di metamorfosi e adattamento, concretizzandosi in un’analisi accurata del nostro percorso progettuale, in particolare, proprio nella connessione con l’azione dei laboratori. Il confronto, a tratti conflittuale, è stato importante ma ancora più importante è stato il processo di consapevolezza che ci ha portati a poter concludere di non essere insieme per fare una critica dall’alto alle istituzioni, ma per ascoltarci, raccogliere dati, informazioni e far sì che questi possano essere condivisi, con l’obiettivo di sensibilizzarle quelle istituzioni, per far emergere ciò che può essere utile, per verificare ipotesi, fare esperienza del nostro vissuto e dare/darci nuove indicazioni operative.
Il laboratorio con l’equipe, pensato e costruito insieme, ha voluto essere il tentativo di fare un bilancio quasi a metà del percorso. Il nostro gruppo è cresciuto coinvolgendo anche gli operatori dell’USSM, con cui nel tempo abbiamo costruito iniziative e occasioni formative. Abbiamo sentito forte il bisogno di costruire un momento di riflessione con una proiezione futura.
La finalità progettuale, quella di costruire e mantenere viva, insieme agli attori sociali che abitano la scuola, la comunità educante, è strettamente connessa con il lavoro del Presidio di Libera a Messina, un coordinamento vero di associazioni pronto ad attivarsi tutte le volte che i territori in cui siamo presenti lo richiedono. È fondamentale per questo mantenere e garantire spazi di confronto, per poter immaginare il futuro del progetto e quali aggiustamenti sono possibili e praticabili.
Ci siamo interrogati a lungo e continuiamo a farlo su come poter strutturare l’ennesima ripartenza in questo periodo difficile, come poterci dare una mossa in termini di creatività, di energia, come poter essere da stimolo per noi stessi e per gli altri. La consapevolezza da cui è impossibile prescindere è che quando parliamo di territorio è importante trovare e riscoprire connessioni con altri soggetti che ci permettano di allargare la nostra rete di riferimento, per fare sì che lo scambio diventi reciproco, andare oltre la scuola e interconnettersi ancora di più col territorio.
L’esigenza che sentiamo forte, a questo punto del nostro percorso, è certamente quella di consolidare l’analisi del contesto, provando ad adattarci positivamente a questo, non abbassando la proposta ma concentrandoci su quelle occasioni che hanno funzionato, puntando sui rapporti di fiducia, anche operativi, che possono tornare utili in situazione di difficoltà. A questo proposito è emersa l’importanza della scelta dell’interlocutore giusto, quello pratico, oltre quello “formale”, che può contagiare l’istituzione con la propria esperienza. Sentiamo di dover lavorare affinché le cose belle che sono accadute non si disperdano e diventino un patrimonio condiviso da cui ripartire sempre: è per questo che è importante concentrarsi sul dare continuità alle azioni. Ricominciare significa rispettarsi e cercare nuovi assetti, siamo noi a veicolare le relazioni e anche noi dobbiamo mettere del nostro diventando moltiplicatori, con l’obiettivo che ciò che programmiamo e pensiamo possa funzionare.
Certamente quello che da subito abbiamo apprezzato e via via appreso è il metodo che i laboratori di autoanalisi su bisogni e desideri portano con sé. Un metodo che ci permette di aprirci all’ascolto, di sospendere il giudizio, di ricercare i significati più autentici delle parole, scavare nelle nostre emozioni e nelle sensazioni, fare emergere ricordi. Uno spazio di libertà, non fine a se stesso, ma in forte connessione con l’autenticità di ciascuno. Hanno sempre rappresentato l’occasione per far venire fuori tantro, sono stati lo strumento, anche in questi anni strani e difficili, per capire molte cose. Rimane la preoccupazione che al contempo rappresenta la sfida, anche fortemente connessa al momento attuale, di quanto saremo capaci di imparare e mettere a frutto quello che abbiamo scoperto e capito, di noi stessi e degli altri.
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