Le interviste di #LiberailFuturo alla società civile: parliamo con Ambra Prearo

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Continuano le interviste sociali per il progetto #LiberailFuturo condotte da Stefano Bernardini, responsabile della comunicazione del progetto.
Abbiamo l’onore di discutere oggi di tempi importantissimi quali la povertà educativa, a dispersione scolastica, la necessità di creare una comunità educante e quale futuro attende i ragazzi di oggi con Ambra Prearo.

Clicca qui e scopri l’intervista video.

Chi è Ambra Prearo

Laureata in Lettere con indirizzo Storia del Teatro e dello Spettacolo. Ha lavorato in diversi ambiti: ciò Le ha consentito di acquisire un’esperienza piuttosto vasta, che Le è stata molto utile durante gli anni di insegnamento. In particolare, ha lavorato per cinque anni in Arci Solidarietà del Lazio, occupandoti di scolarizzazione degli alunni Rom, e in Arciragazzi di Roma, associazione con la quale collabora tuttora. E’ entrata nella scuola da precaria, circa trent’anni fa, e da 22 anni insegni in modo continuativo, nella scuola secondaria di primo grado.

L’intervista

Stefano Bernardini: “Grazie di essere qui con noi, Ambra, con il progetto #liberailfuturo. In questi giorni stiamo facendo una serie di interviste alle persone che rappresentano la società civile, parlando di contrasto alla povertà educativa soprattutto in questa fase di emergenza sanitaria da covid-19. Insomma, un’azione difficile, in un momento ancora più difficile. Io partirei con un po’ di domande che, in realtà, abbiamo fatto anche ad altre persone che sono state con noi. Abbiamo intervistato scrittrici tra cui Luisa Mattia; è stata con noi Erica Battaglia. Le domande sono un po’ le stesse formulate in un modo differente; ma sono le risposte che sicuramente saranno diverse perché provengono da esperienze diverse. Tu sei un insegnante e sicuramente ci darai delle risposte che ci faranno riflettere, proprio perché vivi in prima persona l’esperienza della scuola.”

Ambra Prearo: “Ormai sì, oltretutto io che sono arrivata, a differenza della maggior parte dei miei colleghi, nella scuola piuttosto tardi, ho ragionato molto, ho riflettuto molto su alcune grosse disparità di atteggiamento e anche di percezione, che ho notato fra il mondo dei ragazzi, visto dalla parte del terzo settore, per brevità dell’associazionismo da cui io provengo, e la realtà che si vede a scuola. Infatti il lavoro che io svolgo da quando sono entrata a scuola, venendo dal terzo settore, è proprio quello di cercare di conciliare, di fare incontrare questi due mondi che dovrebbero essere interscambiabili, quasi interattivi ma proprio per una questione forse culturale, spesso così non sono, però ci stiamo lavorando. Non vorrei avere anticipato una risposta alle domande”.

Stefano Bernardini: “No, non preoccuparti Ambra. L’emergenza sanitaria in atto ha solo ribadito quanto siano ampie le differenze in termini di accesso ai servizi internet per i ragazzi o ha provocato un’ulteriore accelerazione verso il già grave problema della dispersione scolastica e della povertà educativa e, soprattutto, in tutto questo la diversa estrazione sociale dei giovani,quanto influisce?”

Ambra Prearo: “La diversa estrazione sociale influisce tantissimo ma da un punto di vista puramente tecnico. Diciamo che dal momento dello scoppio traumatico della pandemia, perché è stato traumatico, noi siamo usciti da scuola un giorno di marzo del 2020, come qualsiasi altro giorno negli ultimi 100 anni e dopo tre ore eravamo chiusi in casa. Quindi questo è stato indubbiamente un trauma per tutti quanti, per i ragazzi, per noi, per le famiglie. Però qui si ha sicuramente la necessità di cominciare, anche in tempi brevissimi, a fare scuola, a proseguire le proprie attività, con un supporto telematico funzionale e funzionante e indubbiamente che ha facilitato l’accesso ai ragazzi di condizioni sociali più vantaggiose. Questa però non è una verità assoluta secondo me. Lo strumento base che è il telefono cellulare, lo smartphone, lo possiedono praticamente tutti i ragazzi, anche i più svantaggiati, anche i ragazzi in condizioni estreme, i rom stessi. Quindi il problema non è stato tanto dotarsi di strumento, considerando anche che la scuola, oltretutto ha messo a disposizione devices, ha messo a disposizione tablet, a chi ne facesse richiesta, a chi ne avesse bisogno. Lo svantaggio è stato proprio culturale, nel senso prima di tutto logistico. Se un ragazzo ha lo smartphone ma non ha uno spazio dove collegarsi, perché una casa è piccola o perché in casa ci sono magari genitori in smart working e altri fratelli in didattica a distanza, o perché, come in caso dei ragazzi rom, hanno lo smartphone ma nel campo nomadi manca un ripetitore, quindi hanno difficoltà a collegarsi dal campo. Quindi lo svantaggio è stato prima di tutto logistico e poi uno svantaggio culturale, che vuol dire rendersi conto che l’interazione a distanza è molto simile a interazioni di persona non è un processo immediato. Quindi molte famiglie hanno dovuto gestire l’emergenza che voleva dire ad esempio: mando il bambino dai nonni al paese. Il bambino dai nonni al paese si divertirà tantissimo ma, non avrà vicino qualcuno in grado di seguirlo nelle attività a distanza, perché fare un compito non è più fare il compito sul quaderno, è inviare un compito in forma di file, che a noi sembra banale, ma non è banale. Queste sono le due grandi difficoltà che io ho visto dal punto di vista tecnico, poi se vogliamo parlare di tutto il resto, si apre un campo enorme naturalmente”.

Stefano Bernardini: “Proviamo a parlare anche di tutto il resto, attraverso le altre domande, ok? Esperti di neuroscienze indicano essenziale per la comunità scientifica per chi lavora nelle scuole, per le famiglie valutare e analizzare l’impatto psicologico causato dalla pandemia da coronavirus sui bambini e sugli adolescenti. Secondo te, qual è stato, qual è oggi e quale sarà l’impatto emotivo diretto del lockdown e della didattica a distanza sui bambini e ragazzi e, inoltre, rispetto all’esperienza della didattica a distanza, quali pensi che siano per i bambini, per i ragazzi, gli aspetti positivi e quale le criticità. Tu ne hai già parlato un po’ prima, ci hai detto delle cose però qui stiamo parlando anche di un aspetto psicologico, emotivo”

Ambra Prearo: “Soprattutto. L’aspetto psicologico del lockdown esula dalla scuola, prima di tutto, perché significa non solo non venire a scuola ma ha significato e significa non fare nulla di tutto quello che prima si poteva fare. Dal punto di vista dei ragazzi non fare sport, vuol dire, anche per i ragazzi della fascia d’età che io seguo, vuol dire andarsi a prendere il gelato con gli amici, vuol dire fare una partita di calcetto, ogni situazione. Quindi sicuramente una grande solitudine che, qui si aprono due scenari, i ragazzi “tecnologici” in grado di utilizzare la tecnologia, hanno ovviato in una maniera un po’ pericolosa, cioè utilizzando gli strumenti per incontrarsi quindi giocando on-line, diventando, più di prima, dipendenti dallo smartphone, ad esempio dipendenti da WhatsApp, dipendenti da Tik Tok. È una situazione di cui poi abbiamo visto la deriva una volta che siamo rientrati in classe perché noi, almeno nella mia scuola, in molte scuole di Roma, siamo rientrati in classe alle medie il 14 settembre, abbiamo avuto tre settimane di chiusura a marzo ma tranne queste tre settimane, noi da settembre siamo a scuola. Sempre con le limitazioni del caso per tutte le altre attività ma, almeno a scuola ci siamo. Abbiamo notato appunto intanto un grosso disorientamento e smarrimento proprio relazionale. Cioè i ragazzi che già vivono un momento difficile perché l’adolescenza è difficile di per sé; i ragazzi non potendo anche fisicamente essere vicini, non potendosi abbracciare, non potendosi, per assurdo picchiare, soprattutto i maschi che sono maneschi e manuali, ma anche un modo che hanno di esprimere affetto, quando noi magari li rimproveriamo dicendo “togli le mani” loro dicono “ma noi giochiamo”, perché è il loro modo di giocare. Qui ci hanno detto non ci si avvicina, non ci si tocca, non ci si bacia, non ci si abbraccia, per i motivi che sappiamo. Tutto questo li ha indubbiamente disorientati e indubbiamente indeboliti. Li ha resi dipendenti dallo strumento elettronico, che spesso è l’unica in forma di interazione che è concessa, per chi tutti questi strumenti elettronici li padroneggia. Per tutti gli altri è un disastro totale e assoluto, io dico proprio senza remore. Lungi da me ogni negazionismo, per l’amor di Dio. Però proprio sui ragazzi abbiamo assistito ad eventi, che poi ho trovato riportati anche in articoli di quotidiani, in articoli di riviste. Abbiamo assistito a problematiche come l’autolesionismo, perché questo è stato il risultato. Noi insegnanti eravamo soliti, ad esempio, consigliare ai genitori dei ragazzi con qualche difficoltà di rapporto, troppo timidi o troppo irruenti, di fare uno sport di squadra. Lo sport di squadra per esempio non c’è! E ho detto solo spigolature, ci sarebbe da dire molto altro”.

Stefano Bernardini: “Pensi che la scuola sia stato in grado di affrontare questa situazione di emergenza e quali sono state le note positive e quelle negative che hai potuto riscontrare proprio nel sistema scuola. Inoltre, alla luce dell’esperienza che stiamo vivendo, pensi che sia giusto, sia necessario ripensare la scuola. Che cosa e come dovrebbe essere la scuola che verrà?

Ambra Prearo: “La scuola, secondo me, ha fatto fronte molto bene alla situazione considerando gli strumenti a disposizione che sono pochissimi, perché sono veramente pochi e non per colpa della scuola ma anche per una disattenzione che c’è stata in passato. Quindi avendo dovuto lavorare in maniera molto artigianale con quello che c’era, moltissimo è stato fatto. Questo davvero lo dico ma non perché io lavoro nella scuola, lo dico perché è vero. Tutti siamo stati in grado di partire in didattica a distanza dopo una settimana dal lockdown di marzo 2020 che, come ripeto, è stato un trauma, un fulmine a ciel sereno e si è concretizzato nel giro di ore, non di giorni. Quindi molto è stato fatto. Note positive che io ho visto, ma che sono dovute più che alla scuola proprio a questa situazione anche emotiva, psicologica, sono state un ritorno di affezione da parte dei ragazzi per la scuola, perché che ai ragazzi non piaccia andare a scuola, per me anche che ho una certa età è ovvio, è da Pinocchio in poi in poi; è da prima di Pinocchio, un ragazzino normale che è più contento di stare a giocare in strada che a scuola, parliamoci chiaro. Ma la solitudine, la chiusura, l’angoscia di questo periodo ha fatto sì che i ragazzi hanno realizzato, hanno percepito che cosa significa scuola, che scuola nel bene e nel male è un rapporto. A me a volte è venuto in mente, gliel’ho anche detto perché mi piace scherzare, giocare con i ragazzi – certo che se siete contenti di vedere me che vi metto quattro piuttosto che stare a casa, la faccenda è grave – ma è così perché comunque l’insegnante è una figura di riferimento che è mancata. L’insegnante sullo schermo del computer e i compagni sullo schermo del computer non sono la stessa cosa di chi è in classe con loro ogni giorno, tutti i giorni e per parecchie ore. Questo dal punto di vista delle positività. Le negatività sono che l’uso degli strumenti elettronici ha fatto sì che peggiorasse alla deriva, che io personalmente vedevo già da prima del covid-19, in tempi non sospetti, di tecnocratizzazione della scuola, perché l’uso degli strumenti elettronici pone tutta una serie di paletti che vanno dalla privacy alla netiquette, all’interazione con le famiglie che dovrebbe esserci ma che spesso non c’è, perché spesso le famiglie non tutte sono in grado di usare gli strumenti come gli stessi ragazzi. Spesso abbiamo ragazzi di undici anni che sono molto più esperti nell’uso della tecnologia che non i loro genitori, per non parlare dei nonni. Quindi questa cosa da una parte aumenta il rischio di abusi, dall’altra un irrigidimento della scuola, dell’istituzione che fa sì che tutto quello che è il dialogo educativo, secondo me, ne venga completamente stravolto. Io personalmente ripeto, con tanti anni alle spalle, trovo estremamente fastidioso dover correre dietro a moduli, contro moduli, serie di operazioni che mi prendono buona parte del tempo di lavoro, mi tolgono tempo, energie per fare quello che vorrei fare: dialogo educativo, didattica in senso più ampio con i ragazzi. Questo sicuramente non ha aiutato nessuno, ha fatto sì che proprio da parte dell’istituzione venisse in qualche modo sminuito o comunque travisato quello che è il ruolo della scuola secondo me, però è un’opinione personale”.

Stefano Bernardini: “E’ questo che vogliamo, vogliamo ascoltare le opinioni delle persone che lavorano, come te, nella scuola. Quindi, in merito alla domanda che ti facevo prima, pensi sia necessario ripensare la scuola, la scuola come dovrebbe essere la scuola che verrà?”

Ambra Prearo: “Secondo me sì, ovviamente sì ma non so se il mio suggerimento è in linea con quello che poi si sta concretizzando in qualche modo. Secondo me, secondo un’opinione personale, soprattutto alla luce degli ultimi fatti c’è bisogno di presenza e c’è bisogno di concretezza. A me personalmente manca moltissimo, ad esempio, poter fare non i campi scuola come si diceva una volta, ma proprio poter fare didattica sul campo, con i ragazzi. Io insegno italiano, storia e geografia, soprattutto geografia, e sono anni che desidero andare a fare un orienteering, andare al parco che abbiamo sotto la scuola, a guardare come sono fatte le foglie o andare in un museo in un certo modo. Avevamo iniziato, prima del lockdown, a portare fuori i ragazzi a Roma con i mezzi pubblici, perché sono ragazzini che già anche senza lockdown vivono in macchina, portati e riportati dai genitori come un pacchettino. Io quando potevo me li prendevo me li portavo su un trenino, sull’autobus, ad attraversare la strada, entrare in un museo attraversando sulle strisce. Per me la scuola è l’opportunità di dare ai ragazzi l’insegnamento anche attraverso esperienze concrete che spesso non fanno, soprattutto i ragazzi che hanno la condizione di povertà educativa, perché io poi ho ragazzi che hanno visto il mondo, che a 12 anni hanno visto molto più mondo di me e lì è un’altra situazione. Ho anche ragazzi che però non conoscono il quartiere a 500 metri da loro. Ecco per me la scuola dovrebbe essere più concretezza e un ambito molto circoscritto, cioè un uso di tecnologie, utile ma non assoluto”.

Stefano Bernardini: “Senti Ambra, ti faccio una domanda inerente al discorso da te appena fatto: si sentiva l’assenza dell’educazione civica?”

Ambra Prearo: “Perché tu parli dell’introduzione dell’educazione civica come materia. Allora quando io, decenni fa, ho preso l’abilitazione per l’insegnamento, la mia classe di concorso recitava “italiano, storia, educazione civica e geografia”. Educazione civica è appunto per me anche prendere un autobus, lasciare il posto alla signora anziana, scendere e attraversare sulle strisce. Io mi sono posta e non mi sono posta il problema, nel senso che io educazione civica l’ho sempre fatta e non solo io, penso qualsiasi insegnate. A un certo punto come materia di studio con voto non c’era più. Quest’anno è tornata fuori, ho anche ricevuto i libri di testo dalle case editrici, che per carità trattano una serie di articoli su argomenti che noi trattiamo sempre. In questo senso non se ne sentiva la mancanza, è diventata una burocrazia in più. Oltre tutto esisteva, anche giuridicamente, nella classe di abilitazione all’insegnamento, poi è stata tolta, poi è stata rimessa. Allora io immagino, suppongo che l’intento sia stato quello di far capire al corpo insegnante che educazione civica non la fa solo l’insegnante di lettere. Ma non c’era bisogno di mettere un paletto in più e un voto in più, anche perché io onestamente a mettere il voto di educazione civica ho sempre grossi problemi, somiglia molto al voto di “condotta”. Diciamo che l’ho trovato un barocchismo in più”.

Stefano Bernardini: “Ok Ambra, andiamo avanti velocemente. Altra domanda che ti volevo fare, che ho fatto naturalmente, anche agli altri che sono stati qui con noi. La didattica a distanza spinge la comunità educante, chi ricopre ruoli professionali e anche di natura etica, ha e continua a perseguire il compito di fare scuola non a scuola e deve fare appunto comunità. Secondo te quali sono state e quali sono le difficoltà nel mantenere viva la comunità della classe, la comunità della scuola, il senso di appartenenza, anche contro il rischio di isolamento e identificazione? Con quali metodologie, con quali mezzi, con quali strumenti la scuola può riconsegnare ai ragazzi l’opportunità di costruirsi un proprio ruolo, un proprio futuro? “

Ambra Prearo: “Allora la comunità educante è un’idea bellissima che io però onestamente ancora non vedo, ma questo a prescindere sempre dal Covid-19 e dagli isolamenti del caso. Potrei citare esempi anche lì cose molto gravi, molto tristi che sono successe nel quartiere dove insegno prima del Covid-19, quindi lasciamo stare il covid, che hanno dimostrato che la cosiddetta comunità educante non esiste. Anzi c’è un grande mandare alla scuola quello che spesso le famiglie non sono in grado, non possono o non vogliono fare. Quindi la comunità, e questo a prescindere, prova ne sia che una delle grosse criticità del lockdown è stato proprio il rimettere insieme forzatamente famiglie che normalmente non vivono insieme, perché la mattina ognuno verso le proprie destinazioni, i genitori al lavoro, i ragazzi a scuola. Ragazzi che poi sono in genere inseriti in attività non di comunità, in attività private che li occupano per tutto il giorno, perchè c’è appunto lo sport, c’è l’associazione, ci sono gli scout, c’è la danza e altre mille attività e di fatto non vivono con i genitori. Il lockdown ha rimesso insieme forzatamente le micro-comunità cioè le famiglie e con effetti spesso anche deflagranti, soprattutto là dove c’erano già delle problematiche, delle difficoltà. La comunità educante va ricostruita ma a prescindere dal lockdown, secondo me. Diciamo che il lockdown ha scoperchiato una pentola, evidenziato in maniera estrema una serie di criticità che prima venivano un po’ messe sotto il tappeto dei mille impegni di tutti quanti. Andrebbe proprio ripensato prima di tutto il ruolo di educatori in senso ampio, anche perché il futuro dei ragazzi potrebbe addirittura essere, secondo me, paradossalmente in parte favorito da questa situazione perché si è capito che va ricreata un’economia, che va ricreato proprio un modo più ampio di lavorare, di costruire, quindi i ragazzi di oggi potrebbero trovarsi, paradossalmente, ad avere forse più opportunità di quelli di cinque anni fa. Ma per fare questo ci vuole molta chiarezza. Io ripeto, per me è sempre molto importante che si diano ai ragazzi delle opportunità di appassionarsi alla vita e di vedere quanto c’è da fare in positivo. Quello che io noto, con grande dolore, in questi ragazzi, poi molto giovani con i quali vivo, è il senso di vuoto e di angoscia che tutto questo ha causato alle famiglie, ma a loro stessi. Ho sentito ragazzini di 12 anni dire “tanto poi si muore”, a 12 anni dire “tanto poi si muove” per me era raggelante. Quindi aprire opportunità, ricostruire opportunità, far vedere che c’è possibilità di fare, ma per fare questo bisogna anche uscire fuori.”

Stefano Bernardini: “Senti Ambra, proprio parlando di opportunità ti faccio l’ultima domanda: c’è uno studio, ed è stato anche evidenziato dall’associazione Con i bambini, promotrice del progetto #liberailfuturo, che la povertà educativa è strettamente legata anche alla povertà economica, sembrerebbe, e spesso impedisce a bambini e ragazzi di avere accesso alle opportunità che potrebbero garantire una crescita sana, l’istruzione, l’accesso a internet, a percorsi formativi, servizi per l’infanzia, le biblioteche, i campi sportivi, insomma tutto quello che può essere anche educazione artistica, culturale ma anche cura della salute, del proprio benessere fisico. A causa della povertà educativa il potenziale di tanti giovani rischia di rimanere un po’ schiacciato ai margini. Quali sono le azioni che andrebbero poste, che vanno poste in atto per contrastare un po’ questo fenomeno, questo ascensore che non funziona più, che non dà più opportunità di salire e di avere delle opportunità pari a tanti altri ragazzi della loro età con una situazione economica diversa?”

Ambra Prearo: “Io ho seguito con molto interesse un rinnovamento che si sta cercando di portare avanti, questo proprio a livello di scuola, degli istituti tecnici della Formazione Professionale che, lo dico da insegnante, io non sono mai stata patita del liceo classico, non l’ho fatto nemmeno io pur essendo meraviglioso. Però di fatto per decenni siamo andati avanti con l’equazione, quando noi abbiamo un orientamento per la scelta della scuola, del percorso di studi alla fine della terza media, l’orientamento era sempre: per il bravo il Liceo, un po’ meno bravo Istituto Tecnico, 6- istituto professionale. Parliamoci chiaro, quello era un po’ il paradigma. Invece io sono stata sempre convinta, onestamente, che così non fosse ma era vero anche che, fino a tempi molto recenti, c’era una grossa disparità tra le opportunità offerte dai licei e quelle offerte dall’istruzione tecnica. Adesso per fortuna ci si è resi conto che invece il futuro sta proprio nella ricostruzione dei percorsi professionali adeguati ai tempi. In questo senso l’opportunità che ci sta dando anche l’emergenza covid può operare positivamente in questo senso. C’è bisogno, ad esempio, di figure professionali per la sanità che non sono solo il portantino, com’era una volta, ma sono persone che conoscano le lingue straniere per leggere le istruzioni di farmaci, di dispositivi che vengono da tutto il mondo, dico la prima cosa che mi viene in mente, oppure anche l’opportunità di lavorare da casa è una grossa opportunità in termini di ambiente. Proprio oggi in una classe parlavamo del fenomeno del buco dell’ozono che si è ridotto durante la pandemia, con una prima media di 12 anni cercavamo di capire perché potrebbe essere un’idea per lavorare in un modo diverso anche dopo la fine dell’emergenza e serviranno delle competenze specifiche. Quindi è come il dopoguerra, c’è una forte ricostruzione da fare.”

Stefano Bernardini: “Ci sono spazi dove reinventarsi luoghi e professioni, in virtù del fatto che prima del Covid-19 vivevamo al di sopra delle risorse che avevamo a disposizione?”

Ambra Prearo: “Certo. Quindi tutto questo non può prescindere dalla ricostruzione di una prospettiva, questo proprio a livello culturale, a livello inventivo. A me fa molto male vedere quanto i ragazzi di quell’età hanno perduto la fantasia. Quando io do un’esercitazione, un compito come si diceva una volta, dicendo “inventa una storia” si sentono male, “io non so cosa scrivere”. A 12 anni, a 13 anni non sai inventare, vuol dire c’è stato un abuso di tecnologie, di cose pronte che sono state date loro per cui non sanno inventare. Allora dall’inventiva nasce poi, ovviamente andando avanti con l’età, con gli studi, l’opportunità professionale. Bisogna ricostruire a monte l’inventiva e per questo c’è bisogno, paradossalmente, di meno tecnologia e più realtà secondo me.”

Stefano Bernardini: “Ma questa prospettiva di cui tu parli, in realtà chi dovrebbe esserne promotore nei confronti dei ragazzi, da dove dovrebbe arrivare? Dalla scuola, dalla famiglia, dalla comunità educante, da dove dovrebbe arrivare, chi dovrebbe essere, come dire, l’accendino?”

Ambra Prearo: “Ma l’accendino può essere in realtà chiunque, può essere anche il fornaio sotto casa. Io ricordo che i ragazzini che magari vanni in pizzeria e c’è il pizzaiolo che impasta in maniera un po’ acrobatica, ci sono alcuni ragazzini che ci passano le ore, incantati, a vedere come il pizzaiolo da mucchietto di acqua e farina tira fuori la pizza gigante. L’ispiratore può essere chiunque però incanalare l’ispirazione sicuramente la scuola e la famiglia, certo una famiglia con l’esempio, con l’affetto, con un esempio creativo, con un “facciamo da mangiare assieme” o “ripariamo il mobiletto assieme”. Ma per fare questo ci deve essere il famoso ripensamento dei tempi. Le famiglie prima del Covid-19 hanno perduto completamente i tempi morti. Il covid-19 in alcune situazioni ha giovato come dicevo prima, in altre ha deflagrato, quindi un discorso proprio sulla lama del rasoio.”

Stefano Bernardini: “Certo. Bene, Ambra grazie.”

Ambra Prearo: “Grazie a voi.”

Stefano Bernardini: “Le tue note sono fonte di assoluta riflessione. Penso che tutti coloro che operano proprio nel mondo, non solo della scuola, ma proprio del contrasto alla povertà educativa possono far tesoro di quello che ci hai raccontato, di quello che ci hai detto, delle tue opinioni. Quindi grazie davvero, grazie mille. Buon lavoro Ambra.”

Ambra Prearo: “Buon lavoro a voi. Grazie ancora.”

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