Cosa ho appreso: fatiche e scoperte, consapevolezza.

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Cosa ho appreso
durante questo periodo di lontananza forzata dalla scuola, dagli insegnanti, dai ragazzi e dai loro genitori? Rispondono a questo interrogativo gli educatori dell’equipe del progetto Kepler 5-14, promosso da La Esse e selezionato dall’impresa sociale Con i Bambini.

 

«Ciao, come stai oggi?»
«Beh, sto bene nel fisico, ma male perché… inizia a mancarmi la scuola»

Così è cominciata una delle ultime videochiamate con un ragazzo di prima media che sento settimanalmente.
Una frase che, con ogni probabilità, difficilmente avrei sentito il lunedì pomeriggio con i ragazzi che frequentano il Centro Pomeridiano. Quando si parlava del più e del meno, di com’era andata la loro giornata di scuola, di quello che era successo nel quartiere, dei nuovi gossip e di come vanno le amicizie…

«Mi mancano i miei compagni… Non posso restare per sempre chiuso qui!».
Un pensiero che tutti noi abbiamo avuto in questi giorni di chiusura e di permanenza in casa, ne sono certa. E come dargli torto? Chi di noi vorrebbe starsene dentro casa, lontano dai propri amici, e con queste giornate primaverili poi. Anche se poi, dimostrando grande maturità, riescono a dire: «è perché tutti noi possiamo stare bene».

Ecco, in questo periodo per certi versi mi sento più che mai vicina a questi ragazzi e a quelli che possono essere i loro stati d’animo e le loro preoccupazioni. Dalle videochiamate con cui cerco di dare loro un supporto scolastico a distanza, emerge lo stesso desiderio di tornare ad avere relazioni reali e non virtuali. Per quanto infatti la tecnologia che abbiamo ci aiuti a mantenere i contatti, manca sempre quel qualcosa in più che solo la presenza fisica, corporea, riesce a dare.
L’uomo non è fatto per stare solo e il suo bisogno di contatto è naturale, cantava Gaber.
E credo che questa situazione ci stia dimostrando quanto ciò sia vero.
In modo particolare, lo sento vero per il mio lavoro di educatrice.

Condividere con loro queste sensazioni diventa un modo per sentirci comunque vicini. E crea una connessione diversa da quella che esisteva prima, all’interno del contesto scuola: una sorta di legame di complicità dato dal fatto che ci troviamo tutti nella stessa barca e dal desiderio comune di tornare a vederci di nuovo, a scuola, al parco, per strada.

Il mio impegno come educatrice in queste settimane è questo: una volta liberi di uscire e di tornare alla propria vita “normale”, questi ragazzi non devono dimenticare quello che hanno imparato ad apprezzare in questo periodo. Riprendendo Gaber, è una cosa strana irrazionale e commovente che può chiamarsi addirittura amore per la gente.

Sara Zanatta, educatore, La Esse
Equipe del progetto Kepler 5-14, nuovi sistemi educativi per generazioni competenti

 

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