Ai nativi digitali serve una lezione Intervista alla psicologa Giulia Spoldi

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Bambini e ragazzi di oggi vengono definiti nativi digitali, ma spesso non sanno davvero usare in modo consapevole le reti social e gli strumenti elettronici. Ecco come mai risulta importante il ruolo dei genitori, che devono seguire i figli nel rapporto con gli strumenti digitali e anche educarli. Un po’ come quando insegnano loro ad andare in bicicletta, a giocare a carte, a far funzionare il microonde. A spiegare pericoli e vantaggi del web pensa Giulia Spoldi, psicologa e psicoterapeuta del Centro Comete di Lodi, che ha organizzato dei corsi di formazione gratuiti per i genitori sostenuti dal progetto Im-Patto Digitale, di cui la Fondazione Comunitaria di Lodi è capofila.

Dottoressa Spoldi, secondo le quali sono i rischi reali da cui i ragazzi lodigiani devono guardarsi?

“I dati dicono che sempre più adulti tendono lasciare gli smartphone in mano a adolescenti e bambini e fanno capire manca consapevolezza da parte del mondo adulti sui rischi che ci possono essere. Il primo è quello di fornire dei dati sensibili che poi non si sa come vengono utilizzati. A fini di marketing è l’utilizzo migliore, ma poi ci sono pericoli come il furto dell’identità o l’utilizzo di video e foto che finiscono nel mondo della pedopornografia. Un altro rischio poco percepito è quello degli incontri virtuali che possono fare bambini e ragazzi, attraverso l’utilizzo di chat magari nei videogiochi o con i social network: iniziano a chattare con persone che non conoscono e che si nascondono dietro false identità. Ancora, i ragazzi possono essere coinvolti in situazioni che portano a reato, se magari ricevono foto illecite in una chat e le inoltrano. Infine, ci sono aspetti importanti che forse molti genitori non hanno presente, come il discorso dei videogiochi. Spesso fanno usare ai bambini giochi non adatti alla loro età, perché tutti lo fanno, ma possono contenere immagini che generano ansia o scatenano azioni pericolose”.

Ma i genitori non percepiscono questi rischi?

“A livello locale si sta lavorando molto rispetto a queste tematiche, anche nelle scuole, con corsi come quelli che proponiamo noi adesso e che aiutano i genitori ad ottenere maggiore consapevolezza rispetto a quelli che sono i pericoli. Alle volte, però, ho l’impressione che i genitori si fidino troppo. Lasciano in mano i cellulari ai figli, salvo poi scoprire per caso che hanno pubblicato dati sensibili o intrattenuto chat rischiose”.

Nella vostra esperienza, quali sono i problemi maggiormente diffusi tra i ragazzi del Lodigiano?

Rispecchiano quelli generali, di cui abbiamo parlato. Abbiamo notato che nel Lodigiano si verifica un utilizzo maggiore di Internet e dei device digitali nella fascia benestante e colta, mentre la povertà digitale riguarda soprattutto i figli di famiglie fragili, che vivono anche in condizioni di povertà economica o socioculturale”.

Perché a suo parere è importante che i genitori imparino a gestire Internet e la rete?

Per aiutare i loro figli ad affrontare la nuova sfida. Come in ogni altro ambito, i genitori devono essere i primi a conoscere e sapere per passare consapevolezza ai propri figli. In generale, poi, l’educazione passa attraverso l’imitazione. Se un genitore vive attaccato allo smartphone e lo usa anche mentre mangia, suo figlio finirà per fare lo stesso. Per passare delle regole nell’utilizzo, il genitore deve essere il primo ad esser consapevole e a darsi limiti”.

Quali sono tre regole chiave da dare ai figli quando si affacciano al mondo del virtuale?

“In realtà vorrei dare tre regole per i genitori, che desiderano aiutare i loro figli a gestire il mondo virtuale in modo consapevole. Le prendo in prestito da Serge Tisseron, psicoanalista e psichiatra, che ha coniato la regola delle tre A. Affiancamento. Che significa non lasciare mai i figli soli con i telefonini, specie inizialmente, ma stare con loro, parlare di quello che stanno facendo, partecipare, controllare cosa vedono e fanno. Alternanza. Nel senso di far capire ai ragazzi che ci sono anche altre opzioni oltre a video e mondo virtuale, come sport, giochi in scatola o in esterni, incontri con i compagni reali. Autoregolazione. Ovvero insegnare loro il limite, fino a quando non saranno ragazzi e bambini a darsi un limite in modo autonomo”.

Secondo lei Internet è solo un pericolo o ci sono anche lati positivi?

“Il mondo virtuale non è solo un pericolo. Esistono app e giochi che sono utili e vengono usati anche nelle scuole, per aiutare i bambini ad imparare a scrivere e a leggere. Vale lo stesso per i videogiochi, con limite di tempo e giusta fascia di età. Certi programmi possono aiutare a sviluppare capacità cognitive e di problem solving. Ma in fondo è lo stesso anche per i social. È un errore demonizzare l’utilizzo di Internet e dei social, serve invece un uso consapevole. Nel 2020, gli adolescenti che hanno usato questi strumenti consapevolmente, per rimanere i contatti con i coetanei, sono riusciti a portare avanti una certa socialità e poi a rientrare con più facilità nella socialità dopo la fine della pandemia”.

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