M’affaccio alla finestra: due anni di pandemia, di esperienze educative e interventi sociali a Roma.

di

Ph Francesca Lucidi

Il 25 settembre, il Centro interculturale di ASINITAS di Torpignattara ha ospitato l’iniziativa “M’affaccio alla finestra”, momento di restituzione di un progetto finanziato da Regione Lazio che è diventato subito occasione di riflessione allargata su cosa significhi scommettere e investire su un certo tipo di esperienze educative e di intervento sociale alla vigilia delle elezioni amministrative di Roma.

I: Concretamente, cosa ha rappresentato l’esperienza M’affaccio alla finestra? Quali punti di incontro tra operatori ha generato?
ASINITAS: Il desiderio è stato quello di interrogarci su cosa è successo al nostro lavoro negli ultimi due anni allargando lo sguardo anche ai percorsi e alle persone che intrecciano il nostro fare e il nostro pensare nell’area di Torpignattara (e quartieri limitrofi). Insegnanti, educatrici, operatrici dei centri anti-violenza, formatrici, operatrici sociali, studenti, figlie, mamme, attiviste, consigliere regionali o comunali, queste le tante donne che abbiamo invitato a rispondere ad una semplice domanda: dopo mesi di restrizioni e isolamento, se ci “affacciamo alla finestra”, cosa vediamo? Del senso di fare scuola, intercultura, lavoro educativo e di cura in questa città: cosa pensiamo dopo la gravosa gestione dell’emergenza sanitaria?

La pandemia ha messo a nudo la fragilità della struttura sociale ed economica del nostro Paese e ha acuito preesistenti disuguaglianze sociali e di genere, limitando ulteriormente i già non facili e non ampi spazi di vita e di lavoro femminile in città. Negli ultimi due anni, insieme all’operosità generosa (seppur vessata) del mondo sanitario, sono emerse altre forme di aiuto e di risposta alla crisi: esperienze che hanno contribuito a contrastare gli effetti sociali ed economici della pandemia, attivando forme insolite e ibride di collaborazione e dialogo tra ambiti e competenze diverse per garantire la tenuta del tessuto sociale cittadino.

I: Si può affermare che durante la pandemia abbiate contribuito alla nascita di una vera e propria rete di solidarietà? Cosa ha generato a livello educativo la rete?
ASINITAS: Sono tanti a Roma i gruppi formali e informali, i comitati, le reti del mondo educativo, culturale, associativo (e anche produttivo) che in piena crisi sanitaria hanno saputo parlare tra loro e garantire l’effettiva copertura dei diritti sociali di tutti, anche dei piu’ fragili. Vere e proprie forme di welfare comunitario che, oltre ad offrire risposte concrete ai bisogni primari delle persone, hanno creato o fatto affiorare nuove mappe urbane caratterizzate da comunità educanti e di cura mutualistiche, creative e capaci. È tempo che l’amministrazione cittadina scommetta e instauri un rapporto di fiducia paritario con queste esperienze mature, competenti e avanzate e ne faccia tesoro, sistema, modello.

Oggi più che mai sappiamo che il lavoro educativo e di cura sono portatori di un punto di vista poliedrico, ricco e interdipendente che puo’ restituire una competenza di lettura del territorio e dei fenomeni sociali maggiorata e diventare paradigma innovativo e vitalizzante per la costruzione e il governo della città. Bisogna progettare l’emersione di questa intelligenza diffusa (maturata ben prima della crisi ma adesso ancor piu’ necessaria) in grado di tenere insieme risposte comunitarie ai bisogni sociali e forme di democrazia attiva e partecipata, senza rinunciare al “diritto a desiderare”, a coltivare spazi ed esperienze dove poter attivare processi di crescita, di bellezza e di futuro anche – e soprattutto – per le persone che vivono i quartieri piu’ marginali e poveri della città.

I: In che modo questa esperienza di solidarietà in periferia può proporsi come modello di empowerment che sia esempio per tutta la città o altri luoghi?
ASINITAS: In molte e molti stiamo gia’ costruendo da tempo la Roma del futuro, questa Roma è gia’ qui: nelle scuole aperte, nei doposcuola, nei centri interculturali, nelle strade pedonalizzate, nei giardini ritrovati, nei centri giovanili, negli spazi sociali, nelle reti informali, nei circoli ricreativi, nelle palestre popolari, nei comitati di quartiere delle nostre periferie, ma deve essere messa a valore, diventare sistema, modello replicabile, sostenibile e generativo e perché ciò accada c’è bisogno di un’amministrazione attenta e capace di scommettere su una diversa idea di città e di cittadinanza. Affinchè questo patrimonio, così generoso e consapevole, non si disperda deve nascere un ampio dibattito pubblico cittadino in cui la cura diventi paradigma politico trasversale ai generi e alle culture, capace di articolare un profondo ripensamento dello sviluppo della città. E non è un caso che molti sono stati gli spunti e le testimonianze di chi ha preso parola durante l’incontro in questa prospettiva di empowerment sociale diffuso e innovativo.

L’invito e la promessa sono quelli di rivederci in primavera per continuare a parlare e confrontarci su questi temi e stimolare la nascita di questo dibattito pubblico sulla cura perche’ siamo convinte che, proprio a partire dall’esperienza educativa e di cura, sia possibile dire una parola autorevole sulla città e affrontare le sfide del futuro con un bagaglio di saperi ed esperienze innovativi e uno sguardo critico e creativo.

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