Coronavirus, l’avventura educativa non si può fermare

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Non so quante versioni ha attraversato questo scritto; ogni giorno lo rileggo, e scopro che è tutto da rifare, che niente è come era ieri, e ieri non è stato come due giorni fa.
le parole non saranno mai sufficienti per raccontare.
Quando all’inizio tutto ha iniziato a diventare paura reale, è iniziato anche tutto un movimento che aveva a che fare con la poesia: rallentiamo, fermiamoci, impariamo a guardarci dentro, recuperiamo le relazioni vere… Ma di quell’inizio non sapevamo molto, anzi, gli studenti a casa già premevano per non stare fermi, e si programmavano piccoli laboratori itineranti, in piazza, musica “a distanza di sicurezza” ma comunque musica, e insieme.

Poi tutto è iniziato a precipitare, così… da un giorno all’altro, e l’istinto per la poesia ha iniziato a lasciare il posto ad una specie di bruciore interiore. Mentre si moltiplicavano le filosofie delle distanze, e apparivano immagini di famiglie felici intorno al Monopoli, lezioni scolastiche online, incontri didattici virtuali, interrogazioni a distanza, noi ci siamo chiesti angosciati dov’erano finiti molti dei nostri “fuoriserie”, quelli che probabilmente non sanno nemmeno cos’è una lezione online. Quelli che a scuola un po’ studiano, solo un po’, ma per il resto parlano, si arrabbiano, giocano, si innamorano, ci mostrano i pugni quando insistiamo sugli impegni, ci fanno notare le scarpe nuove, ci chiedono una merenda in più perché hanno sempre fame.

Abbiamo lasciato l’aula così, all’improvviso, disordinata come sempre, penne, fogli, disegni, pennarelli senza tappo, impronte di colore anche sul soffitto, la mappa sull’Illuminismo firmata “Pietrino il boss” e lo scheletro di carta con scritto: “ullna, craino e vran braccio”.

Poi la sensazione di impotenza piano piano ha iniziato ad acquisire volti e linguaggi nuovi, si è fatta strada una nuova consapevolezza. I ragazzi andavano cercati, raggiunti, “scovati” là dove si erano nascosti, nel buio delle loro camere prive di dimensioni e piene di rabbia e di paura. Le leggi sulla privacy ci hanno ostacolato, dei più piccoli non avevamo contatti diretti, e così li abbiamo cercati sui canali da loro usati abitualmente. Ma a noi adulti, amanti dei libri di carta e degli evidenziatori colorati si sta aprendo un mondo fino ad ora solo sfiorato. E dobbiamo imparare, e stiamo ore e ore a capire come si fa una video chiamata in gruppo e alla fine sono loro, i ragazzi, ad insegnarci come si fa.

E’ cosi che stiamo cercando di inventarci, di essere creativi a distanza, anche solo per sapere se studiano e se hanno almeno Skype, per poi leggere che “un classe mia nell’usa nessun prof”. Bisogna saperli interpretare! Oppure si lamentano che hanno una marea di compiti, e non capiscono perché: sono chiusi nelle loro case anguste ma devono sapere a chi toccarono le terre col secondo triumvirato, e forse a loro, cosa occorre sapere in questo momento, è ben altro.

Uno ad uno e con molta pazienza -anche se non tutti- li stiamo ritrovando, ma proprio a partire da questa formula: uno ad uno. Avevano bisogno del buongiorno al mattino, di una comunicazione che sapesse di relazione ritrovata, e non ci sono più orari, e ci sono mille sfumature perché mille sono i bisogni e le possibilità di incontro: i laboratori su skype, la musica suonata e condivisa, la web radio, i concorsi fotografici, il gruppo WhatsApp dove i ragazzi si scambiano e copiano gli esercizi di matematica e poi litigano e si insultano e abbandonano il gruppo e poi lo ritrovano di notte dopo un’infinità di messaggi, la buona notte sconclusionata alle due del mattino, ubriaca di noia, la lezione di storia in video chiamata dove ogni tanto appare il muso di un gatto, la ricerca di un nuovo codice per ricreare l’atmosfera del piccolo gruppo in cui guardarsi negli occhi.

Ieri un ragazzo ha scritto Oggi muoio un po’. Questo è il grande dolore di sapere che molti sono rimasti soli a combattere un virus che non sanno nemmeno cos’è.

Lo riconosciamo: abbiamo tutti nostalgia di una normalità che spesso ci è pesata, di un disordine violento e doloroso a cui in certi momenti avremmo voluto sottrarci. E la frase ripetuta ad ogni venerdì sera di ogni settimana “anche stavolta siamo sopravvissuti” si è trasformata nel conto alla rovescia per quando finalmente il caos, cioè la “stella danzante” come la chiamava Nietzsche tornerà a far parte delle nostre vite.

Ma l’avventura educativa non si ferma, ora più che mai. And to be continued..

Barbara, Educatrice Exodus Progetto “Donmilani2: Ragazzi Fuoriserie” – Polo Assisi

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