Dai Centri Famiglia, un’intervista doppia
di crescereinsieme
Simona Alessio e Debora Lazzarini sono le coordinatrici dei due Centri Famiglia della Valle Imagna.
Abbiamo chiesto loro di aiutarci a mettere a fuoco come i bisogni educativi siano cambiati dopo più di un anno di pandemia.
Eccole qui.
°°°
Com’è cambiato il concetto di ‘povertà educativa’ durante la pandemia?
Quali nuovi bisogni educativi percepite?
Simona, Il Gelso – Almenno S.S.
Quando penso alla povertà educativa penso alla famiglia fragile, che per vari motivi fatica a stare bene e a trovare soluzioni e strategie, che vive spesso emergenze economiche ma non solo, che ha pochi aiuti o non ne sa chiedere, che ha poche relazioni, che non è inserita socialmente. Con la pandemia si allarga enormemente la fascia di “poveri” perché tutte le famiglie sono alla ricerca di nuovi equilibri, si destreggiano in un cambiamento continuo. I bisogni educativi riguardano la convivenza forzata in casa, avere accudimento assicurato dei figli mentre si lavora, perché i nonni sono da tutelare. Bisogno di sicurezza, di aiuto e appoggio, che aumenta enormemente per chi ha abitualmente pochi rapporti sociali.Bisogno di spazi personali e tempi personali, perché tra dad e smarth working è caduto il concetto di casa come ambiente protetto e privato e ne soffrono sia adulti che bambini. Anche il bisogno di affetto/contatto è molto forte. Ci sono poi i bisogni legati al fuori: bisogno di libertà, di confronto, anche di leggerezza, di movimento, di bellezza.
Debora, Il Carpino – Corna Imagna
Fermarsi un attimo per rimettere in fila i pensieri, per ricostruire un filo rosso che attraversa il tempo di quest’anno vissuto con le famiglie, dentro le storie di vita delle famiglie con i bimbi 0-6 anni. E da questo atto educativo del fermarsi, affiorano alla mente immagini …la prima immagine che condivido e che spesso portiamo dentro alle nostre equipe è che i bimbi che stiamo incontrando oggi sono bambini e bambine che non hanno avuto la possibilità di sperimentare il volto degli adulti, se non quello dei familiari più prossimi, perché coperto in parte.
E credo che tale immagine si possa estendere anche agli adulti in generale, ai genitori e ai caregiver per narrare di una povertà educativa: il venir meno della possibilità di fare esperienza con il corpo e le sue infinite possibilità. Il toccare, l’annusare, il gustare insieme, l’attraversare con i piedi e con le mani come primo linguaggio per stare nelle relazioni, con il mondo e con gli altri da noi e con la possibilità di vivere relazioni altre dai contesti familiare.
Come risponde il centro famiglia?
Simona, Il Gelso – Almenno S.S.
Motivando le scelte legate alla chiusura nel modo più chiaro possibile, preparando il centro per la riapertura facendo sentire pensati e desiderati gli utenti, cercando di tenere un filo (sottile) per quanto è possibile attraverso messaggi.
Debora, Il Carpino – Corna Imagna
Dentro questo tempo e dentro questi bisogni, il Centro Famiglia Il Carpino ha provato a reinterpretare in modo creativo il suo significato; è stato importante fermarsi per rileggere i bisogni e tornare a guardare le famiglie, i bambini e le bambini che abitano i territori, per provare a costruire spazi, anche virtuali, dove ritrovarsi con gli occhi, con la voce e con il corpo(sempre attenti e puntuali nel rispettare tutti i protocolli di sicurezza). Con questo pensiero si è continuato a lavorare con i neogenitori, con le visite ostetriche a domicilio, con l’appuntamento di gruppo, laddove possibile in presenza o da remoto quando le restrizioni non hanno più permesso l’incontro al Centro Famiglia (e qui leggiamo una grande stanchezza delle famiglie rispetto a questo strumento), avendo in mente lo sguardo attento a costruire spazi di parola e di condivisione durante un tempo molto delicato rappresentato dal dopo-parto.
Dentro questo pensiero ri-creativo inoltre è nata la necessità di continuare a volgere allo sguardo al bisogno di socialità dei bambini e delle bambine. Non potendo riaprire da normativa i servizi di spazio gioco e ludoteca, nasce lo Spazio Autonomia, uno spazio per i bimbi dai 24 ai 36 mesi all’interno del quale vivere prime esperienze sociali dentro contesti nuovi, senza la figura di riferimento adulta presente, provando a continuare ad essere vicino ai genitori con spazi di parola, con colloqui, scambiandosi materiali educativi…
Sicuramente queste sono alcune possibilità che siamo riusciti a mettere in pista; crediamo importante continuare a tenere alto lo sguardo per accogliere i cambiamenti di questo tempo e per rispondere ai bisogni delle famiglie…perché in fondo crediamo che è possibile continuare a sostenere le relazioni.
Come sono cambiate le relazioni genitori/figli durante questo anno?
Simona, Il Gelso – Almenno S.S.
Dipende molto dalle età dei bambini: da un lato è una grandissima opportunità di avere del tempo insieme ai propri figli (il bene più prezioso), ma i tempi lunghi in spazi ristretti diventano difficili per tutti,soprattutto per i piccoli. Si fanno più cose insieme, si esce di più coi figli. Per l’età scolare la dad è una grande sfida per i genitori, che condiziona la giornata in un senso o nell’altro.
Debora, Il Carpino – Corna Imagna
Dal racconto delle famiglie raccogli che questa mancanza genera nella quotidianità piccole o grandi solitudini che chiudono, che non aprono orizzonti. Credo che il tema della solitudine della famiglia stia attraversando questo tempo, un tempo costituito da poche relazioni e che dentro nella quotidianità è alla ricerca di equilibri nuovi all’interno dei quali convivono cura e accudimento, lavoro e smartworking, dad e benessere.
Un motto per genitori?
Simona, Il Gelso – Almenno S.S.
“Tu non li vedi, ma anche durante l’inverno i semi maturano sotto la terra”perché non serve attendere la fine della pandemia per fare progetti, noi ci prendiamo la vita anche adesso
Debora, Il Carpino – Corna Imagna
“Forse è solo una questione di sguardi”, uno sguardo capace di aprire possibilità.
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