La parola agli educatori ai tempi della DAD / 3

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È ora il turno di Alessandra, una degli educatori attivi nelle scuole medie di Rivoli. Insieme ai suoi colleghi conduce laboratori in cui gli studenti e le studentesse elaborano proposte di miglioramento della comunità scolastica o cittadina in cui vivono seguendo il metodo del Service Learning. Un lavoro che richiede grande capacità di ascolto e di facilitazione, costanza e pazienza. Che piega ha preso tutto ciò sul web?

Come è cambiato il tuo ruolo di educatrice nelle scuole da quando è iniziato il lockdown?

Che domanda difficile! Le prime settimane sono state frenetiche ma per certi versi “energizzanti”, sentivo di avere mille idee ma non ero sicura di riuscire a realizzarle. Non mi sono sentita tanto educatrice, in quelle prime settimane, ma più “consulente” per tutti i prof: abbiamo passato tante ore a capire come muoverci, cosa proporre ai ragazzi, con quali strumenti, su quali piattaforme, di quali autorizzazioni avremmo avuto bisogno. Era come vivere in una lavatrice che centrifuga, era tutto in movimento e dovevo capire di nuovo come inserirmi, in quel movimento. Ma poi, lentamente, è come se tutto avesse di nuovo un po’ rallentato ed io ho davvero ricominciato a vestire i panni da educatrice ed ho ritrovato il contatto con i ragazzi che alla fine è ciò che ci spinge ad andare avanti e a superare tutte le difficoltà. Certo, un ruolo da educatrice 2.0. È stata una grande emozione rivederli tutti lì, dietro lo schermo, ma questo mi ha messo davanti a tante nuove sfide. Prima di tutto riuscire a coinvolgerli e a rendere i nostri discorsi e le nostre attività interattive nonostante la diversa modalità. In secondo luogo riuscire a realizzare qualcosa di concreto a distanza, quindi facendo tanto affidamento sulla loro responsabilità. È stato difficile modificare i tempi, ero abituata ad avere due ore ed ora a stento ne ho una. Sono stata messa davanti alla gestione dell’imprevisto ancora più che in classe e non tanto per gli imprevisti “tecnici” in cui tutti in questi mesi ci siamo imbattuti (la fotocamera spenta, il microfono che non si sente…), ma imprevisti “emotivi” (il ragazzino che quasi in lacrime mi ha detto “io sto male perché non vedo mio padre da più di un mese”). E ho capito che questo non poteva essere ignorato, anzi era proprio da lì che dovevamo partire; non potevo più parlare con loro solo delle proposte di cambiamento per la scuola e il territorio. Bisognava per certi versi ripartire dall’inizio, chiedersi “cosa mi fa stare male ora e cosa mi farebbe stare bene?”. L’abbiamo fatto ed è venuta fuori un’esperienza unica che mi ha sicuramente reso un’educatrice diversa, più capace di rispettare i tempi stretti, più flessibile e adattiva, ma soprattutto che mi ha fatto riscoprire con sorpresa un entusiasmo da parte dei ragazzi che non mi sarei aspettata.

Service Learning e formazione a distanza: una coppia che funziona?

Una coppia che funziona splendidamente, direi! In entrambe le scuole dove lavoro abbiamo realizzato molto più Service Learning in questa modalità che lavorando a scuola in presenza. Ho la sensazione che i ragazzi in questo periodo abbiano avuto bisogno più che mai di sentirsi connessi e parte di una comunità ed hanno messo le loro competenze e le loro risorse al servizio della comunità. Fondamentale è stato il contributo degli insegnanti: per questo direi che la coppia che funziona è in realtà un triangolo, Service Learning + DAD + insegnanti!

Essere “educatori digitali” significa (anche) entrare con le webcam nelle case e nelle famiglie: che cosa hai visto? E come questa novità ha influito sul modo di condurre e organizzare le attività?

Ho visto molte cose che non volevo vedere, ad esempio un giardino con piscina esterna riscaldata! A parte le battute (ma questo e molto altro è successo davvero) è stato particolare vedere i ragazzi e le ragazze che seguivano le video-lezioni da vari ambienti della casa o del giardino. È stato bello, ha reso il tutto meno formale ma non meno serio. Non direi che i luoghi hanno avuto un peso particolare nei nostri incontri, ma ho ad esempio chiesto ai ragazzi di condividere con tutti quanti un oggetto che stava caratterizzando la loro quarantena e ovviamente molti erano oggetti “personali”. Abbiamo conosciuto gatti, cani, sorelle, fratelli… È stato un modo per ricostruire in un certo senso la relazione. Devo dire che tutto questo ha avuto un peso maggiore nelle prime video-lezioni ed è sempre più scemato fino a diventare quasi “invisibile” nelle ultime.

Come hai rimodulato, insieme a studenti e insegnanti, le attività dei cantieri?

In entrambe le scuole i ragazzi stanno producendo dei video che poi condividono con i compagni, per raccontarsi questo periodo ed anche gli insegnanti fanno la loro parte! C’è una grande interazione.

Qual è stata la risposta dei ragazzi alle tue proposte?

Sono stati sorprendenti, entusiasti e ricchi di idee. Hanno accolto le mie proposte (che erano un po’ la rimodulazione delle proposte su cui stavamo lavorando a febbraio) e ne hanno aggiunte di nuove. Ed hanno partecipato davvero tanto.

Qual è la cosa più difficile del tuo lavoro, oggi?

Di sicuro riuscire a raggiungere i ragazzi ed avere delle risposte in tempi rapidi in assenza di contatto video ma passando attraverso le varie piattaforme. E poi le infinite questioni burocratiche (ma quelle in realtà ci sono sempre). Ed anche poterli vedere poco in video-lezione.

E quella più bella?

La partecipazione e l’entusiasmo dei ragazzi, tutto il supporto che abbiamo ricevuto dalle famiglie e gli insegnanti che alla fine di un incontro in video-lezione mi dicono che sono felici perché “è la prima volta che li vedo così attivi e partecipativi durante una video-lezione”! Questa emergenza ci ha messo davanti a tante difficoltà e a tante sfide, ma guardandomi indietro e vedendo ciò che abbiamo realizzato penso che non cambierei questi mesi di lavoro con nient’altro.

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