Blue whale, bullismo e le trappole del web
di Con i Bambini
Mi chiamo Vincenzo Vetere ho 22 anni e sono stato vittima di bullismo.
La mia storia inizia dall’età di 6 anni, in prima elementare. Abito a Magnago, in provincia di Milano. Quando ero piccolo, ero molto magro, minuto, indifeso e vedendo che i miei compagni non mi volevano nel loro gruppo, passavo le mie giornate scolastiche da solo.
Stavo sempre in disparte. Una domenica pomeriggio andai all’oratorio con mio fratello maggiore Giuseppe, sembrava una giornata tranquilla fino a quando delle compagne di classe di mio fratello lo afferrarono per le mani e piedi e immobilizzarono.
Io ero impaurito e non sapevo che cosa fare, non avevo mai conosciuto la parte violenta dell’uomo. Ad un certo punto una sua compagna si avvicinò a me e con fare molto minaccioso
Mi obbligò a mangiare i sassi, se lo avessi fatto mio fratello era salvo. Per disperazione lo feci e tutti quanti si misero a ridere, quello fu l’inizio di tutto.
Alle scuole medie, pensavo che la situazione migliorasse, ma non fu cosi, anzi peggiorò. Gli insulti che ricevevo alle elementari migrarono alle medie. In questi tre anni ricevetti botte, schiaffi e pugni, fuori da scuola, solo perché non avevo le sigarette in tasca, oppure perché rifiutavo la loro richiesta di fumare.
Un giorno, un ragazzo ripetente mi spintonò contro un calorifero. Ho avuto un piccolo trauma cranico, dopo essere svenuto. Sono andato in ospedale, ma fortunatamente non ci fu niente di grave. Il giorno dopo a scuola chiesi ai compagni di classe spiegazione su quello che mi era successo, perché non mi ricordavo chi fosse stato, e la loro risposta fu che avevo pianto come una “femminuccia”.
Alle superiori scelsi una scuola di un altro paese, a Legnano, e devo dire che non me la sono passata bene neanche là.
Oltre agli insulti e alle offese, ero vittima principalmente di cyberbullismo, venivo bersagliato sui social network.
e su un sito dove è concessa la funzione dell’anonimato. Mi sentivo malissimo e non avevo l’appoggio di nessuno, tutti mi evitavano, nessuno si sedeva accanto a me e nessuno mi invitava ad uscire, ero solo e non compreso da nessuno, era un infermo.
Questa brutta esperienza mi ha permesso di trasformare il dolore che ho subito nella mia infanzia, in azioni concrete di sostegno ai ragazzi vittime di bullismo. Infatti, oggi sono presidente di ACBS- Associazione Contro il Bullismo Scolastico, siamo un’associazione giovane e dinamica che mette in atto azioni di contrasto contro il bullismo nelle scuole.
Da quello che ho vissuto ai casi che seguiamo, si verificano nuove dinamiche caratterizzanti del fenomeno. Uno di quelli che sta scuotendo la comunità è il “blue whale challenge”. Si tratta di un fenomeno nato in Russia forse nel 2015 che consiste in 50 regole (una al giorno) e si conclude con quella più assurda:
“Riprenditi la tua vita, salta giù dal palazzo più alto”: il suicidio.
In Italia si è iniziato a parlarne da poco, anche se alcune associazioni seguivano l’evolversi della storia tempo prima, devo dire che personalmente mi preoccupa un po’, poiché i giovani d’oggi passano molto tempo in balia dei social, forse perché questo strumento li rende liberi di fare e dire ciò che vogliono, e magari inventarsi e dare un’altra immagine di sé che non sia quella della quotidianità.
Difficile individuare cosa spinge davvero i ragazzi ad avvicinarsi al Blue Whale, ma la cosa certa è che sicuramente è una delle tante armi che hanno i giovani per fare atti di autolesionismo. Questo è un fenomeno ormai consolidato, già partito con il cutting. Questa forma di autolesionismo porta il soggetto a ferire ripetutamente e in modo violento il proprio corpo.
Le ferite auto-inflitte dal soggetto non sono quasi mai troppo profonde, vengono circoscritte solo al gioco, anche se in molti casi la spinta è arrivata da una pericolosa curiosità.
In Italia si parla spesso di emulazione, è una realtà difficile da accettare, ma vera. Collaboriamo spesso con altre realtà associative, ma soprattutto con la polizia postale, che ci appoggia nel parlarne e mettere al corrente in maniera corretta i genitori e ragazzi.
La nostra fonte principale e sicura sono loro, anche grazie alla pagina Facebook “Una vita da social” oppure “Agente Lisa” a cui consigliamo di aggiornarsi. Queste sono un vero e proprio punto di riferimento per chi ha bisogno di aiuto e non sa come dirlo.
Un giorno, ad esempio, ci è stata segnalata la vicenda di Stefano un ragazzo di 14 anni di Milano, un caso di furto di identità.
Stefano minacciava di suicidarsi, era disperato.
La segnalazione mi era stata fatta dall’associazione “Trentino Vivo associazione contro il bullismo”. Io cercavo di tenere il ragazzo occupato, mentre l’associazione faceva partire la segnalazione alla polizia postale. Stefano continuava a dire che ormai era troppo tardi e che doveva farla finita.
Difficile continuare in quel modo, così ci viene in mente di cercare sulla sua pagina, un qualcosa che potesse ricondurci alla sua posizione, e notiamo che aveva una sorella, cerchiamo di contattarla ma tutto invano, allora cerchiamo di fare leva sugli affetti. “Ma non pensi a tua sorella, non pensi che lei starà male?”, ci diceva di lasciarlo in pace, e non mettere in mezzo la sorella.
L’unica cosa da fare rimaneva spulciare le sue foto, ne ho presa una ed ho eseguito una ricerca su Google ed è emerso che
Stefano aveva rubato il profilo ad un certo Sean O’Donnell, musicista americano. In poche parole, aveva creato profili falsi, “troll” (che avevano da 500 a 1500 amicizie), che in realtà erano la stessa persona: Stefano. Lui faceva i post, lui con altri profili si rispondeva ai commenti, per rendere più veritieri i post.
Era sicuramente un ragazzo molto solo, che aveva bisogno di essere accettato e dare un’immagine di sé dinamica, interessante. Il furto di identità è un fenomeno molto frequente, con questo non voglio dire che i tutti i profili sono falsi, bisogna sempre stare attenti però, un consiglio che posso dare con certezza per capire se questi profili siano veritieri è quella di vedere la data di creazione, i fake sono profili creati poche ore prima al massimo il giorno prima.
Per rispondere alla mia domanda e capire cosa spinge i ragazzi a modificare la propria identità, ho fatto osservazione partecipante. Mi sono messo nei panni di un adolescente. Partivo già dal fatto che essere contattati da qualcuno che non conosci, magari con la foto profilo di un ragazzo\a stupenda\o ti mette un minimo di curiosità, ho iniziato a ragionare e pensare, perché gli adolescenti cadrebbero in questa trappola?
Ho realizzato che, dietro, oltre le condizioni psicologiche perverse di chi “vuol fare giocare”, anche la situazione psicologica delle vittime è davvero fragile.
L’ autolesionismo esiste da sempre, il blue whale ne è solo una delle tante sfaccettature. Immagino in che stato mentale possano vivere i ragazzi gli ultimi 50 giorni, ascoltando la musica deprimente, vittime di pensieri negativi.
Ho provato questa esperienza, in maniera scientifica, da osservatore, ma sinceramente stavo male. Anche se era pieno giorno e stavo in compagnia, ero portato a stare in disparte, con le cuffiette nello smartphone e senza parlare con nessuno. Ero solo anche in mezzo ad altre mille persone. Un senso di solitudine che chiamava isolamento.
Alla fine della giornata avevo un’ansia assurda, nervosismo a fior di pelle, e volevo stare da solo.
Riesco solo minimamente a capire come si possano sentire questi ragazzi, perennemente angosciati magari da vari problemi in famiglia, o a scuola, ripeto che purtroppo c’è anche l’alto rischio di emulazione, ormai la vita è diventata “social” e per avere qualche mi piace in più si mette a rischio la propria vita e si gioca con quella degli altri.
Questo post è stato scritto da Vincenzo Vetere – Presidente di Acbs (Associazione contro il bullismo scolastico)