Un passo indietro oggi per accogliersi domani

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Ecco il racconto di Paola, educatrice al Villaggio per Crescere di San Cipriano d’Aversa (CE), che per sostenere le mamme si è messa in ascolto e in discussione.

Il Villaggio per Crescere normalmentecrea delle comunità intorno a sé ma a San Cipriano d’Aversa, no. A San Cipriano il Villaggio si innesta in una comunità già presente, forte, dalle maglie strette: quella delle mamme. E se questa comunità schiva con la sua rete di relazioni di solidarietà fatta di maglie strette e difficilmente penetrabili ha accolto il Villaggio è anche merito di persone come Paola, l’educatrice chiamata dal responsabile della struttura sanciprianese, Nicola Caracciolo, per portare la sua competenza ultradecennale al servizio dei bambini.

L’incontro

«Venivo vista come l’altra», racconta Paola, «quella che veniva da fuori, perché arrivo da Napoli». Forte dei suoi ventidue anni di esperienza in una casa famiglia — «un luogo che ti forma, perché hai a che fare con situazioni molto diverse, alcune veramente difficili»— Paola ha capito che il suo solito modo di approcciare, non avrebbe portato profitto. «Mi sono messa in una condizione di “sospensione del giudizio”». Espressione bellissima per dire che prima di agire ha accolto, osservato e ascoltato. Ritirata. Anche fisicamente.

«Ho fatto un primo incontro con loro e mi sono resa conto che ero arrivata con un’idea che non era adatta a quel territorio. Le volte successive mi sono messa un po’ dietro, in posizione più defilata, e ho iniziato a guardare le mamme e a farmi guardare. Volevano capire come mi muovevo, cosa dicevo ai bambini. Nel frattempo io ascoltavo i loro discorsi, cosa si raccontavano, il tono di voce. Hanno un’altra cadenza, un altro accento rispetto a quello di Napoli, il tono di voce era “da chioccia” molto protettivo, pacato».

Ed è lì che Paola ha iniziato a capire l’attitudine di queste mamme.

San Cipriano

Nonostante non sia un centro proprio piccolissimo e nonostante la sua vicinanza a una capitale europea, Napoli, San Cipriano è un paese che guarda a se stesso piuttosto che al di fuori. Centro dalla grande tradizione agricola, a causa della grande crisi dell’agricoltura dei decenni precedenti, molti uomini dovettero andare a cercare lavoro lontano. Le famiglie, soprattutto le donne e gli anziani, hanno continuato a vivere in paese, creando una rete di solidarietà a maglie strette.

Gli insediamenti abitativi ricalcano la struttura familiare: agglomerati di case che si affacciano in un cortile interno, e in ogni abitazione vive un nucleo familiare a sé stante. E quindi possiamo trovare il capostipite, i suoi figli con le rispettive mogli e in alcuni casi anche i nipoti. Tutti assieme. Unità definite e autonome.

In un contesto del genere lo sviluppo di reti di appoggio e solidarietà a maglie strette è uno sbocco quasi naturale, sia all’interno della famiglia sia in tutta la comunità di paese. Per cui il controllo sociale dei più piccoli non è solo un ricordo remoto dei decenni precedenti ma una realtà viva e vivace. «Utilizzano il termine “zia” per indicare quelle donne che anche se non avevano un legame di parentela da vere zie, si comportavano come se in realtà lo fossero». Perché le bambine e i bambini di San Cipriano sono sì delle famiglie di appartenenza, delle mamme e dei papà, ma sono anche della comunità delle mamme. «Per me — prosegue Paola — il termine zia era la parola che si utilizzava per presentare le nuove compagne dei genitori separati. Nei contesti dove ho operato aveva un’accezione negativa, mentre per loro era un modo carino di stare assieme ai bambini. Tu sei mio, mi appartieni, nel senso buono di cura. Qui ho dovuto re-imparare».

L’inclusione

E Paola ha iniziato a re-imparare da subito, giorno dopo giorno. Non si è persa d’animo. Ha capito che il primo passo era farsi accettare.

«Una delle difficoltà che avevano le mamme era salire sul tatami, il tappeto che usiamo per le attività con i bambini. Può sembrare un aspetto sciocco, invece per loro era importante e bisognava rispettarlo: c’era una loro forma di pudore che andava accolta». E qui Paola ha fatto ricorso alla sua inventiva: «ho chiesto a una mamma di fare una tasca grande con dei calzini bianchi, dove c’era il loro nome. Piano piano hanno iniziato a usarle».

L’insegnamento di questa storia minima è in realtà molto grande. «Se tu accogli queste cose, che sembrano “piccole”, loro poi si sentiranno accolte in altre situazioni, ti permetteranno di entrare nella loro vita». Ed è quello che infatti è successo.

Le attività

Paola ce l’ha fatta con il progressivo coinvolgimento delle mamme nelle attività del Villaggio e nella contestuale conquista della loro fiducia. «Facevamo colorare, poi unire i puntini e in ogni attività che compivano le bambine e i bambini erano coinvolte le mamme. Poi facevamo laboratori, la merenda e il “pascolo”: i bambini sceglievano i libri, tutti in cerchio, e poi si facevano le letture.

In tutto questo l’iniziale attività di “ascolto” non è mai terminata. «Ci ritagliavamo degli spazi per ascoltare le loro storie. Le loro situazioni familiari. Da questo poi partivamo». Ed è così che Paola ha potuto fare interventi molto più profondi con alcune mamme. «Con alcune abbiamo fatto degli interventi “forti”, nel senso che siamo andati a toccare i sentimenti».

Il post Covid

Con l’arrivo della pandemia e delle azioni di contenimento che hanno chiuso il Paese, anche il Villaggio di San Cipriano non poteva che sospendere le attività e chiudere.

Alla riapertura, in tarda primavera c’era grande attesa. «Quando abbiamo incontrato bambini e mamme erano tutti desiderosi di venire, giocare, stare con noi». Segno che la semina di Paola, Nicola, di Carmen e di Caterina, le altre educatrici, è andata a buon fine.

Con il Covid non si poteva scherzare ma con un po’ di fantasia si è potuto comunque rendere piacevole anche le dure imposizioni che impedivano di stare troppo vicini. «Abbiamo inventato un percorso con le sedie piccole ma distanziate e dei turni per disinfettarsi le mani».

Le attività sono andate avanti all’aperto, fino al 30 luglio. «Abbiamo messo il tatami, leggevamo.  Abbiamo giocato, organizzato perfino compleanno ma sempre rispettando le distanze di sicurezza. Poi abbiamo fatto l’orto e i bambini hanno potuto vedere come sono cresciute le piante. Inoltre, abbiamo organizzato dei laboratori che si possono fare a distanza utilizzando i libri di Hervè Tullet: mettevamo questo foglio grande, con le istruzioni su cosa fare. Cose semplici, come cerchi e linee e poi chiedevamo ai bambini cosa vedevano. E ogni volta usciva fuori qualcosa di diverso».

Per i bambini, le mamme e per tutta la comunità del Villaggio l’estate, la ripresa, è stato un momento liberatorio. «Abbiamo riconquistato un minimo di fisicità. È stato un momento molto bello, forse perché ci eravamo illusi che fosse finito tutto. Purtroppo non è così».

L’altra comunità del Villaggio

Dopo tanto lavoro Paola è riuscita a farsi accogliere dalle mamme di San Cipriano. Che però non è l’unica comunità all’interno del Villaggio. Ne esiste un’altra, con caratteristiche opposte a quelle descritte. Se le prime sono schive e riservate, le seconde sono aperte e più fisiche: sono le mamme provenienti dall’Africa, ma questa è un’altra storia.

Mario Gottardi

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