Il modello dell’IC Giacosa di Milano tra didattica scientifico ambientale, inclusione e intercultura
di stemlab
Come è ormai noto, in tempi di emergenza, la scuola italiana ha dovuto affrontare due sfide parallele: da un lato la corsa dei dirigenti e dei docenti agli strumenti digitali, insieme a tutti gli aggiustamenti di metodo che ne conseguono, dall’altro il contrasto alla dispersione scolastica, dovuta alle difficoltà di alcune famiglie di dotare i propri figli della tecnologia necessaria a collegarsi con insegnanti e compagni.
Molte delle scuole incluse nel progetto STEM*Lab, si sono trovate a lavorare con grande impegno civico al reperimento delle risorse finanziarie e strumentali necessarie a rispondere a questi due bisogni.
Abbiamo raggiunto Francesco Muraro, Dirigente dell’Istituto Comprensivo Giacosa, che in questi giorni ha attivato nuove modalità per affrontare le diverse urgenze, lanciando ad esempio la campagna “Adotta una connessione”, che promuove l’acquisto di una SIM sospesa per permettere ai ragazzi beneficiari dei tablet messi a disposizione dalle scuole di collegarsi alla rete senza costi.
Outdoor education: un’esperienza che ha precorso i tempi nel nostro paese.
L’IC Giacosa ha una storia molto lunga e radicata nel territorio. Quali sono le caratteristiche principali del metodo educativo che avete portato avanti per anni, con particolare riguardo alla didattica all’aperto?
L’Istituto Comprensivo di via Giacosa, è bene ricordarlo, è composto dagli edifici storici delle scuole del Parco Trotter di Milano ma, anche, dalle scuole di via Russo, situate poco fuori dal parco. Questa precisazione è importante perché, ragionando sulla questione metodologica, cioè sul “metodo” della didattica all’aperto, si deve considerare che una delle sue scuole un intero parco a disposizione non ce l’ha. Non necessariamente questo impedisce che si progetti secondo principi legati alla outdoor education. Questo approccio, nelle scuole del Trotter, ha una storia centenaria; nasce nel 1922 come progetto prima di tutto sanitario: la didattica all’aperto doveva svolgere la funzione di mantenere sani bambini e ragazzi che, dopo la Prima guerra mondiale e in seguito allo sviluppo urbano (con tutte le sue conseguenze di inquinamento, degrado, etc.), rischiavano patologie come la tubercolosi o il rachitismo; già dentro questa idea, però,p era contenuto lo sviluppo anche di un sistema di apprendimento attivo, basato sul fare pratico, sull’esperienza, sull’osservazione di fenomeni. Negli anni ’50, dopo la Seconda guerra mondiale, sulla scorta del pensiero di J. Dewey, si aggiunse anche la pratica del lavoro cooperativo, della simulazione (piuttosto vicina alla realtà) di un piccolo sistema produttivo, dove lo studente imparava a gestire l’organizzazione del lavoro, la produzione e perfino il commercio. Questo rilevante esperimento pedagogico negli anni ha perso un po’ di smalto, in seguito alla “normalizzazione” della Casa del Sole, assimilata formalmente alle altre scuole pubbliche e, successivamente, all’apertura del parco al pubblico con il fine di svolgere attività didattiche.
Didattica inclusiva e diffusa.
Le scuole primarie Russo-Pimentel, altrettanto storiche, unite alle scuole della Casa del sole in seguito ad un dimensionamento, portano con sé come “dote culturale” una tradizione di didattica inclusiva, in particolare sul tema del recupero all’istruzione degli alunni Rom.
Da questo impasto di saperi ed esperienze l’Istituto Comprensivo di via Giacosa cerca di sviluppare una sua identità educativa, connettendo la didattica diffusa – negli spazi aperti, negli orti, nella fattoria didattica, ma anche fuori dalle aule, negli spazi informali, sul territorio, in collaborazione con le agenzie educative di zona, etc. – a una forte connotazione inclusiva.
È bene sottolineare come la nostra utenza sia quasi al 70% composta da studenti con background migratorio, anche se più della metà in Italia ci sono nati e molti (quasi il 10%) NAI – Neo arrivati in Italia. Un’ulteriore complessità che ci impegna ad attivare una progettualità interculturale, consapevole della necessità di uno sguardo che copra una geografia più vasta di un solo paese. In effetti, tutti questi “ingredienti” possono essere sintetizzati in poche parole chiave, che poi sono quelle che definiscono la nostra offerta formativa: Didattica scientifico ambientale, inclusione e intercultura e, in questo momento più che mai importante, un’infrastruttura tecnologico-digitale che supporti la didattica sia nell’ordinario che nello straordinario svolgimento della vita scolastica.
Autoformazione e potenziamento dell’infrastruttura per affrontare al meglio la didattica a distanza.
La situazione attuale ha costretto tutti gli istituti scolastici ad accelerazioni prodigiose verso la digitalizzazione, oltre ad un importante ripensamento delle priorità nei piani didattici. In che modo state agevolando il confronto all’interno della vostra comunità educante e con quali obiettivi?
Certamente il passaggio obbligatorio ad un sistema di Didattica a distanza (DaD), per una scuola orientata alla didattica all’aperto, è stato veramente complicato, forse più sul piano metodologico che sul piano organizzativo. In due settimane siamo riusciti ad attivare piattaforme per classi virtuali e video-lezioni; insieme a questo processo, è iniziato un percorso di autoformazione – non solo per i docenti, ma anche per alunni e famiglie – ancora in corso d’opera: come si gestisce metodologicamente una scuola senza la relazione diretta docente-discente? Come si entra nelle case, con il problema anche di regolare il comportamento dei genitori? E, soprattutto, come ovviare all’evidente carenza di strumenti, dispositivi e connessioni adeguate per tanti, troppi, studenti? L’obiettivo principale, in questo momento, è distribuire l’infrastruttura necessaria a tutti per evitare che la DaD diventi una didattica escludente, che allarga il divario tra chi può e chi non può. Per fare questo ci stiamo avvalendo di tutte le risorse possibili: pubbliche, private, del terzo settore (associazioni, volontari, cooperative, progetti in rete).
Poi, necessariamente, facciamo il lavoro che prima di tutto una scuola deve fare: riflettere sulle metodologie di insegnamento, sui setting, le procedure, le criticità, vista la condizione inedita in cui dobbiamo sviluppare la nostra azione didattica. Insomma, per insegnare bisogna saper apprendere come singoli e come organizzazione.
La scuola come collante sociale del territorio.
In che modo la sua scuola è stata e continuerà ad essere presidio territoriale? Quali misure potrebbero agevolare questo importante compito?
La scuola, in particolare una scuola come la nostra, così strettamente collegata al territorio, così storicamente orientata alla tenuta sociale del territorio, continuerà ad essere un presidio sociale, come lo è stato fino a ieri per impostazione, come lo è oggi per gestire l’emergenza: è anche grazie alla scuola, alla sensibilità dei docenti che segnalano le criticità, che nelle case delle famiglie in difficoltà arrivano dispositivi per la DaD ma, anche pacchi alimentari, farmaci, materiali di cancelleria per fare scuola da casa. Non riesco nemmeno ad immaginare di uscire da questa traccia, anzi credo che la funzione sociale e, se posso dire, l’autorevolezza della nostra scuola esca rafforzata dal contributo che sta riuscendo a dare sia sul piano della solidarietà attiva che su quello dell’innovazione didattica.
Per far si che noi si possa mantenere questa rotta, lo strumento principale e più efficace è il lavoro per la costruzione di reti finalizzate alla condivisone e alla ricerca di risorse, umane, finanziarie e strumentali; un percorso già intrapreso e che dovrà essere consolidato e rinforzato.
Intervista raccolta da Nicoletta Daldanise | Assistente coordinamento STEM*Lab
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