Recovery Plan e approcci innovativi alle STEM: una nuova opportunità da cogliere
di stemlab
Continua il ciclo di webinar STEM*Lab: Lavori in corso per una comunità educante, con un argomento estremamente attuale proposto dai nostri partner campani. Le discipline STEM nel Recovery Plan: azioni di sistema per la crescita delle nuove generazioni si è svolto il 29 marzo, in collaborazione con PAAdvice, e ha raccolto proiezioni e analisi sul futuro delle politiche dedicate alla promozione delle STEM e allo sviluppo di nuove competenze per i giovani talenti.
Paolo Gibello, Presidente della Fondazione Deloitte, ha riportato alcuni dei dati più significativi della ricerca condotta all’interno del loro osservatorio sull’educazione alle scienze e alla tecnologia: « Il primo dato particolarmente significativo rivela che solo uno studente su quattro è iscritto a facoltà STEM. In realtà si evince anche che esiste un potenziale bacino di studenti interessato a discipline tecnico-scientifiche, ma che vi è stato un cambiamento di rotta al momento dell’iscrizione all’università. Un laureato su cinque in discipline umanistiche e un occupato su tre hanno dichiarato di aver provato interesse per altri percorsi, ma di non averli poi scelti. In questo iter, la famiglia esercita un ruolo chiave, soprattutto per quanto riguarda la scuola secondaria. Solo uno studente su sei, ad esempio, è stato guidato dai centri di orientamento dell’indirizzo scolastico.
La fotografia, dunque, è quella di giovani lasciati a una valutazione autonoma delle proprie competenze con il risultato di una percezione distorta dell’offerta formativa e delle sue potenzialità. Purtroppo chi si allontana in giovane età dai percorsi STEM non vi ritorna. Il 41% dei ragazzi del liceo scientifico approda a facoltà STEM, mentre solo il 14% dei licei umanistici si converte a un percorso di altro tipo.
Una parte di questa percezione distorta dipende dal fatto che le professioni abbinate alla materie STEM sono principalmente il professore sottopagato, lo scienziato da premio Nobel o l’informatico nerd. Questi stereotipi culturali hanno una forte influenza nell’orientare la scelta del percorso formativo, ancora di più se si guarda all’universo femminile. Infatti, con riguardo alle donne, le aziende e i professori non riscontrano un gap a livello di performance, anzi il loro voto medio di laurea in materie STEM è più alto di quello degli uomini. Eppure circa un giovane occupato su tre in ambito STEM ritiene di svolgere un lavoro più adatto alla capacità degli uomini.
Uno spiraglio di speranza ci arriva dal fatto che tutti gli intervistati raggiunti dalla ricerca considerino un valore aggiunto il sistema scolastico e che, dopo l’università, mostrino una percezione positiva del proprio percorso di formazione. Parallelamente le aziende restituiscono un elevato grado di soddisfazione sulla preparazione del personale. La valutazione del grado di competenza aumenta in campo STEM (6,7 da parte dei docenti, 8,3 da parte delle imprese).
Alle materie STEM gli studenti associano anche altri elementi di valutazione positiva come la maturazione di soft skills: capacità di stampo cognitivo, comunicativo e relazionale come il problem solving, il pensiero critico e la proattività, mentre affermano di sentirsi meno preparati quando si parla di capacità decisionali e gestionali, creatività e team management; tutte competenze invece molto utili in campo professionale.
Quando passiamo ad analizzare la scuola, il 34% dei docenti STEM lamenta un forte divario tra teoria e pratica, dichiarando di avere a disposizione un numero insufficiente di ore per sviluppare competenze pratiche e accusando la presenza di dotazioni insufficienti o arretrate. UN altro punto di fragilità sono le scarse collaborazioni tra scuole e mondo del lavoro, diversamente da altri paesi europei.
Passando, dunque, alle leve per avvicinare i giovani alle materie STEM, innanzitutto bisognerebbe incentivare la pratica nelle ore di lezione, attraverso esercitazioni e laboratori. Poi sarebbe necessario rafforzare le occasioni di contatto con il mondo del lavoro, in modo da favorirne una conoscenza diretta. Infine l’orientamento dovrebbe avere continuità lungo tutto il percorso di studi. È necessario integrare i percorsi STEM e non STEM, perché il mercato del lavoro sta conoscendo una crescente ibridazione e si sta orientando a considerare le cosiddette digital humanities come forte elemento competitivo.
Dal punto di vista degli effetti della pandemia, gli impatti sulla percezione delle materie STEM sarà misurabile solo sul medio lungo periodo, ma ci chiediamo se la crisi sanitaria e la digitalizzazione possano ravvivare l’interesse verso questo ambito. Questo è il tema su cui stiamo avviando una ricerca, allargando il panorama di osservazione anche ad altri paesi europei. »
Massimo Colucciello, amministratore di PA Advice, ha calato questo tipo di riflessioni all’interno del dibattito sul Recovery Plan: « Si tratta del grande piano nazionale che dà attuazione al Next Generation EU, una gran mole di risorse che la Commissione Europea sta mettendo a disposizione dei paesi europei per renderli maggiormente resilienti. Un piano che interviene su una molteplicità di assi strategici, ma con un pilastro importante sulle politiche rivolte alle generazioni future e un focus particolare sulle pari opportunità. Questo è sicuramente il luogo privilegiato per parlare di STEM, ma al contempo possiamo considerarle trasversali a tutti gli altri pilastri.
Parlare di transizione verde, di transizione digitale, coesione o salute comporta sempre un approccio innovativo che trasforma le professioni sia nella pubblica amministrazione che nelle aziende private. Tutto questo ha un impatto su come formiamo i nostri ragazzi per farli diventare la futura classe dirigente. Ne emerge, dunque, una particolare attenzione dedicata allo sviluppo delle competenze STEM, in termini di digitalizzazione e innovazione, in tutti i gradi dell’istruzione, a partire dall’infanzia e dalla primaria, in ottica di piena interdisciplinarietà, avendo cura di garantire pari accesso alle carriere scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. Stiamo parlando dell’introduzione di un nuovo approccio all’insegnamento che includa le STEM anche in insegnamenti tradizionalmente umanistici. Ad esempio, in Italia significa dare benzina ad un paese che deve valorizzare il proprio patrimonio, come stiamo sperimentando efficacemente sulla cultura nella nostra partnership territoriale con il MAV Museo Archeologico Virtuale di Ercolano.
Altra questione è come attuare il PNRR in piena coerenza con i regolamenti comunitari di recente approvazione, dal momento che pone grande attenzione ai risultati. Questo, infatti, non significa finanziare progetti, ma il conseguimento di risultati concreti, mentre un intervento sulle STEM produce i suoi risultati in un lasso di tempo medio lungo. Per trovare una sostenibilità in questi termini, occorre che l’approccio sistemico sia fortemente curato, così da consentire che, una volta conclusi, i progetti diventino elementi strutturali della metodologia didattica di questo paese.
Abbiamo ottenuto per l’Italia 200 miliardi da spendersi in un settennio. Queste sono risorse che in genere si spendono in ventotto anni, dunque ci troviamo davanti ad una grandissima opportunità di cambiamento, che avverrà solo agendo in maniera sistemica. »
Giulio Ceppi, membro della Commissione del Ministero per l’Istruzione e docente al Politecnico di Milano, ha condiviso l’esperienza in via di sperimentazione di STEAM Space, sviluppata in collaborazione con Confindustria: « Ragionare sulle STEM insieme a Confindustria significa farlo con una delle punte dell’innovazione e in connessione con i territori. Legarsi in maniera sensibile, specifica e dedicata ai territori, costruendo una scuola dei “co”: comunità in apprendimento, cogestita, coprogettata, con la capacità di condividere. Non si progetta una scuola inclusiva a tavolino, ma ascoltando chi ha maggiori difficoltà e traducendo queste stesse fragilità in complessità. Questo vale anche per le STEM, perché l’Italia è un microcosmo in cui il rapporto con le tecnologie, i modelli produttivi e le economie cambiano di regione in regione. Non si può pensare di trapiantare modelli dall’estero. Il locale ha un valore che non può essere trascurato. Il secondo obiettivo del progetto è quello di renderlo scalare, implementandolo in un modo praticabile e gestibile in tutte le scuole medie e superiori, garantendo nuove infrastrutture e nuove pratiche. Definito un modello, definiti dei principi poi verranno arricchiti da altri supporti istituzionali, incoraggiando anche le pubbliche amministrazioni ad acquisire queste capacità progettuali che si sono un po’ perse.
La nuova scuola che dobbiamo costruire deve essere più flessibile, includendo anche il concetto di distanza, che può verificarsi anche per malattia o per impossibilità a raggiungere le strutture o per collegarsi con un’altra scuola dall’altra parte del mondo. Gli spazi devono avere una dimensione phygital (fisica e digitale) molto corporea, tattile, ma anche virtuale, interattiva, ibridando questi due mondi. Il presente è già molto ibrido, ed è proprio in questa micro-complessità che bisogna imparare a divenire cittadini coscienti e critici. »
Alessia Bello, per Explora Museo dei Bambini di Roma, nostro partner in Sicilia, conferma la necessità di flessibilità degli attori coinvolti nell’educazione, anche a partire dal nuovo modo di concepire i musei: « Il ruolo dei musei si è rafforzato con il nuovo piano nazionale per la ripresa e le resilienza, nel senso di una maggiore digitalizzazione, innovazione, competitività. Concetti che sono un riconoscimento della sperimentazione educativa di questi anni, che hanno permesso ai musei di acquisire un compito di valenza sociale sempre più alto e complesso. A partire dal 2008, con il Congresso mondiale del Science Center e con la dichiarazione di responsabilità sociale il nostro operato si fonda su tre punti strategici: la diffusione della cultura scientifica, la promozione delle capacità per produrre innovazione attraverso al risoluzione dei problemi e la creatività. Questo è in linea con il nuovo approccio alle materie STEM. I children museum, ad esempio, hanno la missione di dedicarsi alle famiglie, alle scuole e ai bambini, a partire dalla struttura che è caratterizzata da installazioni ideate affinché bambini e adulti possano giocare e interagire da protagonisti, toccando, provando, sperimentando, facendo domande. Questi musei sono pensati in modo che i bambini possano andare oltre nella loro curiosità, in un ambiente informale tipico anche degli ambienti STEM. Un esempio tipico di questo metodo è quello che stiamo svolgendo all’interno del progetto STEM*Lab con le Mystery Box, che sono la nostra risposta alla pandemia. Ci siamo chiesti come raggiungere le persone e abbiamo compreso che il messaggio di un museo può essere veicolato anche attraverso la rimodulazione degli incontri previsti per l’empowerment delle famiglie, con la creazione di scatole spedite a case delle persone. L’idea è di portar loro un piccolo STEM*Lab per indirizzare ad una nuova modalità di scoperta, in cui l’adulto gioca con il bambino attraverso una serie di sfide, sviluppando abilità di osservazione, sperimentazione e argomentazione. Anche recuperare la dimensione del toccare l’oggetto o gestire un materiale è un passaggio fondamentale che la digitalizzazione non può offrire, nonostante tutte le sue potenzialità ».
La vicinanza alle famiglie è, infatti, incoraggiata anche dalle parole di Lucia Fortini, Assessora all’Istruzione della Regione Campania: « Bisogna dedicare particolare importanza alla fascia d’età 5 – 13 anni, in cui si inizia ad aver percezione di un’attitudine o meno per le diverse materie, se presentate in maniera sbagliata. Strutturare un sostegno come quello del progetto STEM*Lab, soprattutto in un momento di pandemia, significa stare più vicini ai ragazzi e alle loro famiglie ».
Infine, Lucia Basso, coordinatrice STEM*Lab Campania per PA Advice, fornisce una quadro specifico del territorio su cui ha operato, in connessione col partenariato nazionale: « L’elemento fondamentale del metodo STEM è la condivisione, il fare concreto, il lavoro di gruppo. Tutto questo ha subito naturalmente un grande contraccolpo durante la pandemia. In Campania abbiamo lavorato per pochissimi giorni in presenza, ma quella che all’inizio era una criticità si è rivelata poi un’opportunità di pensare ad attività che non avevamo immaginato durante la fase di progettazione. Ringrazio per questo i partner campani che hanno dato dimostrazione di flessibilità e passione, con un grande sforzo di creatività sulle attività online, come per il gruppo facebook STEMacasa al quale sono inscritte le famiglie delle scuole partner. Inoltre, abbiamo affiancato gli insegnanti, sia in orario curriculare che extra curriculare, con una serie di attività che potessero essere realizzate da casa senza il supporto degli strumenti di cui gli STEM*Lab erano forniti. Questa è la dimostrazione del fatto che quello STEM è un metodo per attivare la capacità logica anche con materiali semplici. I ragazzi stanno dando una risposta fantastica, anche durante i virtual tour prodotti dal Mueso MAV in sostituzione delle visite guidate. Abbiamo raggiunto circa 750 studenti e 350 famiglie a livello locale, ma uno dei punti di forza è la rete con un partenariato anche nazionale. La rete locale tiene insieme scuole, enti locali, terzo settore e organizzazioni private. Il partenariato nazionale ha creato ricchezza in termini di pluralità di competenze, confronto tra contesti diversi, che hanno tradotto il progetto con sfumature differenti, anche partendo da punti di vista diversi e da pregresse esperienze.
Altri punti di forza sono la coprogettazione delle attività laboratoriali con le scuole e la formazione degli operatori, sia attraverso workshop nazionali sia attraverso formazioni locali che durano per tutto il progetto, partendo dall’idea di coinvolgere emotivamente gli insegnanti per far sopravvivere il progetto, consolidando le competenze. I tool kit che stiamo mettendo insieme a livello nazionale, ad esempio, archiviano tutte queste esperienze: dall’approccio metodologico, alle strumentazioni e ai format laboratoriali, per favorirne la replicabilità in altri contesti scolastici, a partire dai risultati della nostra sperimentazione. »
Approccio sistemico, specificità territoriale, confronto tra discipline e competenze è la ricetta per sfruttare al meglio in campo educativo le risorse che stanno per essere messe in campo dal Recovery Plan, trasformando uno svantaggio come la pandemia in un’opportunità. Proprio come proviamo a fare tutti i giorni nei nostri STEM*Lab.
Report redatto da Nicoletta Daldanise | Assistente al coordinamento STEM*Lab
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