Clowns SenzaEtichette Tour: l’intervista a Davide
di cissong
Come ti chiami?
Davide.
Parlaci del tuo personaggio clown. Chi è? Come si chiama?
Si chiama Spilungotto, con tante varie declinazioni a seconda di chi mi chiama. Chi è… è una parte… nella mia idea, è una parte mia, che è sempre stata mia, che tramite questo ha la libertà di fare quello che naturalmente nella mia vita invece
non sono. Sono molto riservato, ho una timidezza… è proprio il mio essere, non sono al centro della festa, non sono il comandante della festa. Non sono l’attaccante, sono il mediano, diciamo… quello che sta li. E invece, con Spilungotto perdo l’idea del pensiero del “cosa faccio” ma faccio, che è quello che mi manca di più nella mia vita normale dove invece ho sempre pensieri come “gli altri sono più bravi”, “come lo farebbero gli altri”, “cosa direbbero gli altri”. Invece quando c’è Spilungotto esce la parte più semplice, più vera forse, non lo so… con le sue paure naturalmente, con le sue forze, perché la maschera più piccola del mondo aiuta molto a essere spontanei, essere quello che si è. Quindi… Non lo conosco a fondo come non mi conosco a fondo io e quindi cresciamo ogni giorno assieme a seconda di chi incontriamo, di cosa incontriamo.
Ti va di raccontarci un momento intenso, bello o brutto, della tua vita di clown in questi anni?
Non è tantissimo che sono clown, sono 8 anni adesso che vado in un ospedale. La mia occupazione clown è in ospedale, più che in altri ambiti. Spero in futuro di andare anche altrove. I momenti più belli sono tanti, tutti…tutte quelle volte che si entra in una stanza e si capisce che attraverso il proprio intervento c’è un cambiamento in positivo, quindi è il sorriso dei bambini ma non solo, anche delle famiglie e del personale infermieristico ospedaliero… quindi tutte quelle volte che ti chiamano… per dire
“venite per fare un prelievo, abbiamo bisogno di voi”, quindi sentirsi utili. È molto semplice (risata) sentirsi utili per poter dare quel poco di più di positivo necessario. Un momento molto bello e intenso è stato in uno dei primi mesi per me in ospedale nel
reparto di grandi ustioni. Stavo con un mio collega e una bambina ustionata su tutta la parte centrale del corpo doveva essere sottoposta a medicazione che a quanto dicono sono molto dolorose e attraverso un’armonica, delle bolle di sapone e la nostra
presenza la bambina non ha fatto un fiato. E anche gli infermieri dopo hanno detto che è quasi impossibile. La bambina è rimasta a guardarci e non ha fatto un fiato. Il mio collega con molta più esperienza, appena siamo usciti, mi ha detto “tieniti questa cosa perché è una cosa molto molto rara, se non unica”. Questa è stata una delle cose che mi porto sempre dentro. Non è mai più capitato, però è capitato e quella semplice volta è stata importante, anche solo fosse una sola volta per una bambina. I momenti brutti, lavorando nei reparti oncologici è quando vieni a scoprire che i ragazzi che hai visto più
volte non… non ce la fanno alla fine e quindi… ti rimane dentro questa cosa. Hai visto felicità e speranza e poi invece decadimento e… fa parte purtroppo di quello che facciamo. Noi siamo degli attimi che arrivano e vanno, ma le famiglie rimangono con loro, io ho sempre considerato le famiglie… loro i veri, ormai il temine eroi si usa per tutte… ma le vere forze e anche gli operatori.
Cosa fa ridere di più i bambini?
Ogni bambino è diverso. Ogni stanza è diversa, ogni giorno è diverso. Anche con lo stesso bambino un giorno funziona una cosa e un altro un’altra a seconda di come stanno. Quindi… ognuno di noi (clown) ha una forza particolare, chi la musica, chi la magia, chi la giocoleria, chi le battute…ma non c’è una cosa che dici “questo fa ridere i bambini”. Su tante cose si va sicuri, ma è impossibile definirlo in maniera definitiva. L’importante è esserci.
E a te cosa fa più ridere?
A me fa ridere quando mi stupisco. Quando faccio cose che nascono li per li. Li per li le vedi e poi capisci che ti sei divertito. Tutto ciò che nasce sul momento. Tutto ciò che è molto semplice in realtà, quindi mi piace tanto quando si utilizza tutto ciò che
incontriamo nella stanza (parlando sempre di ospedale) e viene utilizzato e trasformato in altro. Quando si riesce a giocare con tutto ciò che fa parte dalla loro quotidianità e si riesce a far diventare altro o utilizzare allo stesso modo ma in modo più clownesco.
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