“Con la figlia dell’assassina non vai alla festa”: la testimonianza di Beatrice
di ProgettoRespiro
di Francesca Russi
“La mamma dell’amichetta non l’ha voluta portare alla festa di compleanno perché le ha detto ‘tu con la figlia dell’assassina non ci vai’. Ma questa è ignoranza, i bambini non c’entrano nulla, non sono colpevoli. Quando la mia nipotina è venuta a raccontarmelo, piangeva e ha detto ‘nonna, ma che c’entro io?’”. Beatrice si trova a dover consolare le lacrime della sua nipotina di appena 12 anni, isolata dagli altri amichetti. La colpa della piccola? Essere figlia di una donna che tre anni fa ha ucciso il compagno e padre dei suoi figli.
Ma Beatrice, 57 anni, barese, quattro figli già grandi e ora tre nipoti piccolini a cui fare da mamma, lo racconta senza rabbia. Quel sentimento lo ha accantonato. Sa di dover andare oltre la sofferenza e di avere il dovere di trasmettere calma, determinazione, equilibrio. Dal 2019 è diventata una “nonna speciale”: si trova a dover badare ai tre nipoti di 14, 12 e 7 anni rimasti senza papà e senza mamma. La mamma, infatti, dopo aver subito lunghi anni di violenze, ha ucciso il padre ed è stata condannata a 14 anni di reclusione per omicidio e così i tre bambini sono stati affidati alla nonna materna, Beatrice.
“Ero già nonna ma mi sono ritrovata a fare di nuovo la mamma, sono io ora il punto di riferimento dei tre bambini e mi trovo ogni giorno a raccogliere i cocci – spiega – vivo per loro, hanno il diritto di ritrovare la serenità. La normalità”.
Una normalità che i tre piccoli purtroppo non hanno quasi mai vissuto, circondati da violenze quotidiane. “Da quindici anni mia figlia subiva violenza di ogni tipo, il marito faceva uso di alcol e di droga – ricorda nonna Beatrice – quel giorno è scoppiato l’ennesimo litigio violento, io cercavo di dividerli, ma poi è successo quello che è successo…”.
“Non giustifico e non giustificherò mai l’azione di mia figlia. Ma voglio lanciare chiaramente un messaggio che vale per le violenze di ogni tipo, maschili o femminili: dove c’è violenza, al primo schiaffo, andare via, lasciarsi, è preferibile. Quando un uomo picchia una donna o viceversa, quando alza le mani per la prima volta, lo farà sempre. Lasciare andare, andare via, quello che io negli anni ho sempre detto a mia figlia, lascia e vai via, lascia e vai, non mi ha mai ascoltato ed è rimasta. Eravamo una famiglia, da tre anni a questa parte non c’è più niente”.
Dal 2019, però, Beatrice con i tre bambini hanno trovato un’altra famiglia che prova a sostenerli nel percorso di elaborazione e di crescita: è l’equipe di psicologi dell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari. I tre piccoli di 14, 12 e 7 anni sono seguiti dagli specialisti all’interno del progetto Respiro finanziato proprio per offrire sostegno agli orfani speciali, ovvero coloro che hanno perso la mamma per mano del papà, poi suicida o in carcere, o viceversa.
“Ci sono giorni in cui i bambini stanno bene e altri in cui invece hanno ricordi e mancano loro la mamma e il papà ed è proprio in quei giorni che ti ritrovi a raccogliere i cocci – racconta nonna Beatrice – Cerchiamo di combattere, ci vuole tanta forza, tanto coraggio e tanta determinazione ma per fortuna non siamo soli. Da quando abbiamo iniziato il percorso di sostegno psicologico, ci sono stati molti miglioramenti. La bambina grande era violenta, dimostrava la sua rabbia picchiando qualsiasi amichetto e amichetta, adesso, invece, c’è stato un bellissimo cambiamento, riesce a mantenere quella calma che tre anni fa non aveva affatto. Il maschietto è più taciturno, soffre dentro ma non riesce a esternare il dolore; anche se qualche amico lo insulta, lui sopporta, si gira e se ne va. Tutti e tre hanno bisogno di autostima e in questo ci stanno aiutando tantissimo gli psicologi dell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari”.
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