Chi è fuori è fuori. Chi è dentro è dentro
di Comune di Macerata
Dentro e fuori vivono in una dimensione osmotica perché il fuori viene portato dentro e diventa oggetto di riflessione pedagogica e progetto educativo. L’esperienza dell’agrinido di San Ginesio
Foglie, qualche sasso, piccole creature del bosco. Elementi della natura, del “fuori”, che una volta inseriti “dentro” il contesto educativo offrono nuovi stimoli e nuove opportunità di formazione. E’ la frontiera più innovativa dell’apprendimento nella fascia di età da zero a tre anni. Chi da sempre lo fa è Federica Di Luca, dell’Agrinido di San Ginesio, partner di QUIsSI CRESCE! che ha recentemente dedicato all’argomento una specifica “passeggiata” nell’ambito delle visite dialogate tra nidi urbani e agrinido. Perché quando alle parole si accompagnano anche i fatti, il “learning by doing” statunitense, l’efficacia è assicurata. Un metodo che all’agrinido è stato applicato anche per fare di necessità virtù, da quando il sisma del 2016 ha circoscritto il “dentro” alla Yurta, e spalancato ancora di più il “fuori” a disposizione. “Dentro e fuori vivono in una dimensione osmotica – ha spiegato la Di Luca – perché poi il fuori viene portato dentro e diventa oggetto di riflessione pedagogica e progetto educativo. Il fuori a nostra disposizione è immersivo, non è un parco pubblico, ma un ambiente ad altissima naturalità. Spesso i nostri bambini sono disabituati alla dimensione esterna, anzi viene fatta percepire come qualcosa di pericoloso, di sporco e l’esperienza del fuori rimane per lo più occasionale, una gita, un’uscita”. L’esterno invece secondo questo approccio non va vissuto come antitetico al dentro, come due aspetti contrapposti, o si è fuori, o si è dentro, ma come un percorso naturale che può mischiare le due dimensioni in maniera del tutto istintiva. “Il fuori di per sé infatti non basta – continua l’educatrice – occorre poi riportare sul piano educativo e didattico, l’attenzione anche sul dentro. E anche adesso che siamo in inverno, uscire, a differenza di quanto ci si aspetti, consente ai bambini di essere maggiormente al riparo da situazioni contagiose e virus, ovviamente valutando temperature, età e abbigliamento idoneo. Occorre però ripensare il progetto educativo sulla base di una vera e propria “cultura del fuori. E’ un’opportunità dal punto di vista cognitivo che consente di attivare un benessere psico fisico generale e meccanismi che all’interno di ambienti chiusi non si attivano. La classe è un luogo codificato, semplificato rispetto al fuori dove c’è una complessità che però il bambino è perfettamente in grado di riconoscere. Nella storia dell’evoluzione l’uomo ha vissuto più fuori che dentro, ma abbiamo dimenticato questo periodo della nostra storia comune”. E infatti spesso è l’adulto, che a torto, costruisce attorno al fuori uno stereotipo di pericolosità: ecco allora che la reazione del più piccolo sarà di paura verso l’esterno, il fuori, visto come sporchevole e contaminato. L’approccio di naturalezza con gli spazi aperti, siano essi boschi, o nella pratica educativa quotidiana anche piccoli orti e giardini, rappresenta invece una “medicina” nei confronti di quei bambini che presentano difficoltà di tipo cognitivo: “scarso movimento, senso del tatto e dell’equilibrio poco sviluppati che alcuni bambini presentano ci devono far capire che stiamo privando i nostri figli di un’esperienza fondamentale per lo sviluppo, la qualità e libertà di movimento. Il fuori è una necessità. Ma non deve diventare uno sfogatoio – conclude l’esperta – anzi, deve essere in continuo dialogo con il dentro. Raccogliere pigne, sassi, foglie, cortecce e legnetti, fa parte di quel bagaglio esterno che una volta condotto nel mondo “interno” va catalogato, reso quotidiano, al pari di un pennarello”. Ma come rendere l’esperienza dell’esterno alla portata di bambino in realtà urbane o a bassa naturalità? Cercare il contatto con piccoli animali e creature che si trovano anche in giardini e orti, coccinelle, lombrichi, fiori, piante. Non relegare a esperienza “laboratoriale” l’avvicinamento alla realtà, ma inserirla nella quotidianità, recepire la prossimità di un fuori che è urbano, ma è vicino, parchi pubblici, esperienze anche in musei, toccare mura, pietre. Guardare insomma la realtà da vicino, non attraverso una finestra. E farlo già nei primissimi anni, perché poi, quelle cognitive, di finestre, non si aprono più.
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