Emergenza sanitaria ed educativa, quale il punto di equilibrio
di natiperleggere
È tempo di riflettere che è dovere della società intera prendersi cura dei bambini come soggetti di diritti complessi non solo di chi si occupa d’infanzia , ma la società intera.
(tratto da “Senza confini : come ridisegnare le cure all’infanzia e all’adolescenza ,integrando i servizi, promuovendo l’equità, diffondendo le eccellenze”)
Mai come quest’anno i temi dell’educazione, della scuola e della sicurezza sanitaria hanno avuto al centro della propria riflessione il mondo dell’infanzia. Le scuole di ogni ordine e grado hanno riaperto fra timori e protocolli. Una dimensione “difensiva” che ha dato la precedenza al rispetto delle regole, ma che in qualche modo ha saputo reinventare una modalità di accoglienza, cogliendo anche spunti positivi che vanno nella direzione di una maggiore autonomia del bambino. I timori, soprattutto delle famiglie alle prese con tamponi, accessi a scuola, misurazione della temperatura e ansie, ci sono.
Ma è possibile far convivere incolumità pubblica e scuola? Le esigenze della salute e quelle del sistema educativo possono trovare un luogo di incontro? Un ponte verso il quale, assieme alla responsabilità delle famiglie, indicare una nuova strada da percorrere per il superamento delle difficoltà? Oppure esiste una frattura insanabile? Abbiamo provato a capirne di più in un dialogo a tre voci fra due medici pediatri e un’educatrice.
“Stiamo vivendo una situazione difficile, mai sperimentata che colpisce tutto il mondo – spiega Lucia Tubaldi neonatologa e referente dell’associazione culturale pediatri – bisogna essere cauti perché ci troviamo di fronte ad un virus non conosciuto prima che interessa tutti gli organi e potrebbe lasciare esiti. Sarebbe molto più facile trovare colpevoli e responsabilità su cui puntare il dito ma pur rimanendo critici è fondamentale sviluppare una nuova corresponsabilità e resilienza”.
La Tubaldi sottolinea come in realtà sistema educativo e sanitario siano profondamente legati: se infatti il Covid infetta una piccola percentuale di bambini, di contro la chiusura delle scuole e l’assenza dei servizi educativi vanno ad accentuare disagi infantili: ritardi educativi progressivi tranne per quei pochi bambini che hanno buona dotazione tecnologia a casa e genitori in grado di accompagnarli nelle lezioni e compiti, disagio psicologico, violenza subìta o assistita, drastica riduzione di aiuti per famiglie con disabilità e patologia croniche. “Finalmente la scuola e la sanità sono state riconosciute come priorità – continua la Tubaldi – è stato un grave danno averle dimenticate così a lungo in termini di investimenti. E’ importante ricordare che i bambini assorbono i comportamenti degli adulti e quindi è doveroso che l’adulto non sposti il proprio disagio, la sua personale ansia o preoccupazione sul bambino che per sua natura è più capace di trasformare qualsiasi nuova situazione positivamente. Anche la mascherina può diventare un gioco come il lavaggio delle mani, misure che se correttamente utilizzate sono i pilastri della prevenzione. Il rischio zero ovviamente non esiste, occorre dare alle famiglie informazioni precise, coinvolgerle nell’applicazione delle norme e consentire loro scelte ragionate. La partecipazione informata e consapevole delle famiglie rappresenta una necessità per costruire relazioni di fiducia e collaborazione tra servizi. Bisogna fare lo sforzo di pensare non solo alla propria responsabilità professionale ma al benessere del bambino in tutte le dimensioni”.
Ed è proprio la questione della responsabilità quella che maggiormente è al centro del dibattito odierno, soprattutto per il personale medico che sottopone a tampone ogni bambino con sintomi influenzali dall’ampio spettro che va dal raffreddore alla febbre:
“Il faro deve essere l’interesse del bambino e non la scelta di mettersi al sicuro senza prendersi responsabilità – afferma Laura Olimpi, pediatra e referente Npl per l’Acp – rimaniamo spesso imprigionati dalla gabbia delle norme che sono molto rigide. Ma occorre a volte togliersi il camice da medico e indossare quello del cittadino. I colleghi li capisco. La norma prevede che al primo sintomo sospetto si debba accertare l’ipotesi che sia Covid. Ma io dico che esiste anche una discrezionalità del medico che può fare un’analisi familiare, cercare di risalire ai contatti. Qualche margine per elaborare una diagnosi c’è. Non dico che sia facile, anzi è complicato. Ma non dobbiamo dimenticare che il mantra è l’interesse del bambino. Tutto questo sistema diventa pesante, soprattutto per l’adulto, ma se l’adulto tiene, anche il bambino regge. La narrazione va filtrata in positivo: occorre spiegare ai bambini che mettere la mascherina significa avere rispetto, per gli altri e per se stessi. Che è in questo modo che formiamo tutti una grande squadra”. I consigli del pediatra sono quelli del buonsenso: “stare all’aria aperta, il fuori non ha mai fatto ammalare nessuno, limitare se possibile tutte quelle attività pomeridiane al chiuso a cui sono sottoposti i bambini fra inglese, musica, sport. E poi dare voce al disagio quando si presenta”.
Consigli e suggerimenti che sono stati anche da linea guida per i nidi comunali della città. Elisa Domizi, educatrice del nido “Arcobaleno” ha notato da subito il cambiamento in atto nei più piccoli e anche negli adulti: “La riorganizzazione ha portato ad una nuova modulazione di aspetti formali, ma anche nel rapporto con i genitori. E’ stata modificata la modalità dell’accoglienza e, dovendo limitare i contatti, anche la documentazione è cambiata. In generale abbiamo notato che la distanza fisica ha favorito un maggior rapporto di collaborazione fra educatrici e genitori. Gli adulti stanno costruendo un rapporto di maggior fiducia e condivisione e questo sicuramente è un risvolto inaspettato. Per quanto riguarda l’ambiente abbiamo favorito il lavoro all’aperto, inserendo il “fuori” come uno dei momenti della giornata ad esempio per il pranzo fino a quando era possibile e per le attività.
Siamo rimaste molto colpite di come ora l’outdoor education, fino ad oggi vista ancora un po’ con sospetto dai genitori, sia stata accolta con entusiasmo e favore da tutte le famiglie. La garanzia della maggiore sicurezza che lo spazio aperto consente è diventata una occasione irrinunciabile di lavoro che non abbiamo sprecato. Da parte nostra abbiamo fatto il possibile affinché le preoccupazioni sanitarie non condizionassero il nostro lavoro come educatrici. Certo alcune cose sono mutate, abbiamo dovuto eliminare alcuni materiali come i travestimenti, allargato gli spazi, assegnato un posto opportunamente distanziato per ogni bambino in tavoli da massimo 4 commensali. Ma con sorpresa abbiamo registrato anche aspetti positivi. Ad esempio la dilatazione dei tempi, necessaria per le operazioni di igienizzazione fra una sequenza di lavoro e l’altra ha consentito di restituire quel tempo al bambino che in autonomia ora riesce a svolgere la piccola mansione assegnata. Quei pochi secondi in più degli adulti si sono trasformati in un tempo di apprendimento per i più piccoli”.
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