Il bambino.Tutta una vita nei primi 1000 giorni

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“Che cos’è un bambino?”, ce lo racconta in questo breve passaggio, un bellissimo albo illustrato di Beatrice Alemagna edito da Topipittori : “Un bambino è una persona piccola. E’ piccolo solo per un po’, poi diventa grande. Cresce senza neanche farci caso. Piano piano e in silenzio, il suo corpo si allunga. Un bambino non è un bambino per sempre. Un bel giorno cambia. Un bambino ha piccole mani, piccoli piedi e piccole orecchie, ma non per questo ha idee piccole. Le idee dei bambini a volte sono grandissime, divertono i grandi, fanno loro spalancare la bocca e dire “Ah!”.

Imparare a conoscersi e riconoscersi con il proprio bambino, ricordandosi comunque che genitori si diventa e nessuno è perfetto.

Genitori e figli crescono insieme. Quando arriva un neonato non sappiamo bene cosa vede, cosa sente, il senso del suo pianto. I piccoli nascono con dei dispositivi innati che gli servono per entrare in relazioni con le persone e il mondo. Nel primo anno di vita il bambino cresce velocemente e da uno stato di completa dipendenza da noi adulti conquista le sue autonomie con una velocità sorprendente. Oggi è accertato che il periodo della vita in utero e quello immediatamente successivo, i 1000 giorni di vita, sono fondamentali per determinare la salute fisica e mentale del bambino.

Perché questi primi 1000 giorni sono così importanti? Il bimbo ha bisogno di cibo appropriato, ma anche di un ambiente sano e sicuro, ricco di stimoli corretti in termini di quantità e qualità.

Quello del primo anno di vita è uno sviluppo unico che durante l’arco della vita non si ripeterà mai più. Un ambiente ricco di fiducia e amore è ancora una volta di fondamentale importanza. Il piccolo che nasce è pronto per interagire col mondo, ha delle capacità che si attivano in relazione con l’ambiente, con le cose ma soprattutto con e attraverso gli adulti significativi.

Come prendersi cura di un neonato in un’ottica di promozione della sua potenzialità di sviluppo? II documento sulle cure per lo sviluppo infantile precoce rilasciato il maggio scorso dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), in collaborazione con Unicef e la Banca mondiale, la cui versione italiana è stata presentata alla Camera dei deputati, ricorda che la nurturing care(cura educativa) inizia prima della nascita, quando mamma e papà parlano e cantano al loro bimbo ancora nel pancione.

Nei primi momenti dopo la nascita, l’attaccamento precoce è facilitato dal contatto “pelle a pelle”, dalla possibilità di un avvio immediato dell’allattamento al seno, dalla disponibilità di un sostegno concreto per le fatiche della mamma.

Più avanti, la nurturing care prevede, oltre alle attenzioni per la salute e l’alimentazione del piccolo, la promozione di interazioni precoci tra lui e chi se ne prende cura. Interazioni che passano attraverso sorrisi, coccole, paroline in “mammese”, racconti, lettura di libri, ascolto di musica insieme, piccoli giochi.

Tutto questo aiuta lo sviluppo delle connessioni tra le cellule del cervello, il che a sua volta potenzia le capacità di apprendimento. Le ricadute saranno positive non solo per il bambino piccolo, ma anche per l’adolescente e l’adulto che sarà.

Così ci raccontano le neuroscienze:

  •  I circuiti coinvolti con la formazione dell’attaccamento emotivo svolgono gran parte del loro lavoro prima dei due anni.
  •  Relazioni ed esperienze precoci influenzano l’architettura del cervello.
  •  I neonati dipendono dagli adulti per regolare i loro livelli di stress; quando ciò si verifica in modo soddisfacente, i sistemi biologici di gestione dello stress si sviluppano in modo appropriato. Tale sviluppo deve avvenire entro la finestra temporale dei 18 mesi.
  •  Il mancato sviluppo di sistemi biologici soddisfacenti per la gestione dello stress può portare problemi per il futuro in molti settori della vita.

Tutto ciò che il bimbo vede, tocca, assaggia, odora o ascolta lo aiuta a sviluppare i pensieri, i movimenti, la sua personalità futura. Le competenze e le azioni dei genitori e degli educatori possono fare la differenza negli itinerari di sviluppo di vita e di salute di un bambino.

Come lo fa nei primi mesi?  Col pianto, col sorriso e con le vocalizzazioni.

Come comunica coi sui genitori? La comunicazione dei genitori con i propri bambini inizia fin dalla nascitaCon loro si parla un linguaggio che è stato denominato “motherese” o “mammese”, fatto di onomatopee, frasi semplici, parole ripetute, cantate o cantilenate. Tali ripetizioni hanno la funzione di permettere l’individuazione dei punti di riferimento in ciò che si sussegue nel tempo e quindi favoriscono lo sviluppo della capacità di anticipare ciò che avverrà, cioè di prevedere il ritorno, per esempio, di una parola, di un oggetto, di una musica. La regolarità della ripetizione fa emergere uno schema temporale, nel quale il bambino piccolo trova i suoi punti di riferimento e determina la strutturazione temporale dei comportamenti interattivi.

Anche il pianto è comunicazione. Piangendo il piccolo segnala i suoi bisogni: la fame, la sete, il caldo, il freddo, il mal di pancia o la necessità di essere cambiato. Il pianto serve per dire qualcosa a distanza: dice “Ho bisogno!” quando l’adulto non c’è e gli dice “ehi! Ho qualcosa! “richiama l’attenzione dei genitori, dei grandi che cercano di capire: “Ha fame? Ha sonno? Ha dolore? Vuole essere coccolato?” e gli adulti si mettono in ascolto. Il pianto è diverso a seconda delle sue necessità e sensazioni, e i papà e le mamme impareranno col tempo a distinguerlo.

Il sorriso, invece, viene notato da vicino e comunica benessere. Quando il bambino sorride i genitori cominciano a chiamarlo, coccolarlo e rispondono a questo richiamo dolcissimo che è un vero e proprio dialogo fatto di suoni, voci, parole e sorrisi, appunto.

Quei suoni si chiamano: vocalizzazioni.  All’inizio sono suoni vocali che diventano sempre più modulati, e pare che il piccolo stia giocando con il suo corpo sorridendo con piacere. Gli adulti allora lo imitano e rispondono ai suoi vocalizzi come in un dialogo, con pause, ritmi, accellerazioni della voce, in cui dicono delle cose che il piccolo proverà a ripetere.

Questi sono tre sistemi che i piccolissimi usano per conoscere il mondo, per comunicare, per costruire legami di affetto e fiducia che lo aiuteranno a formulare poi intorno all’anno e mezzo le prime parole.

Cosa fare come genitori? Mettersi in ascolto questo è sicuro. Durante i primi mille giorni di vita un bambino, attraverso le interazioni significative con le figure genitoriali ed educative, impara le abilità fisiche di base e la fiducia nelle proprie capacità. Questi scambi sensoriali e vocali si imprimono nella memoria del bambino e daranno colore e gusto alle narrazioni future, quelle che potrà man mano comprendere, anche concettualmente e continuare nel tempo a nutrire questo dialogo aprendosi al cambiamento e ai conflitti che la crescita naturalmente porterà.  In questo senso non basta una famiglia da sola, ma ci vuole un villaggio – una comunità – per crescere un bambino affinché diventi un adulto sano, sereno, equilibrato.

C’è molto che si può fare, e noi ci proviamo anche attraverso il progetto QUIsSI CRESCE! per contribuire a una missione tra le più importanti: quella di offrire una buona partenza a tutti i bambini, offrendo informazioni, supporto e guida ai loro genitori. Qualcuno ha recentemente affermato che “La più grande sfida del nostro tempo non riguarda il lavoro, né la democrazia, né l’ambiente, ma il modo in cui i genitori si relazionano ai propri figli, perché da questo dipende in buona parte tutto il resto”.

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