Laboratori creativi a passo di…danza!

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Se con il progetto relativo al corso sull’educazione alimentare abbiamo voluto raccontare il cibo quale valido strumento per solidarizzare e riacquisire dignità, oggi vi faremo scoprire la forza della danza come dirompente mezzo di socialità.

Nell’ambito del progetto Prima Infanzia Social Club, promosso dalla Fondazione Con I Bambini, sono state avviate iniziative su tutti i campi: tra queste, quella legata alla danza è sicuramente una delle più interessanti, perché punta a stimolare la creatività e a generare punti di contatto (non solo fisici, legati al ballo, ma anche di pensiero) tra i piccoli partecipanti a partire dalla musica e dai movimenti. Il progetto si chiama Danza Creativa. E’ il risultato di un percorso proposto dalla sua ideatrice, Eleonora Tregambe, insegnante di Danceability dal 2011, ed inserito dall’Associazione Genitori Di Donato tra i corsi rivolti ai bimbi tra 0 e 6 anni che vivono situazioni di difficoltà.

Per offrire a chi legge un quadro più fedele possibile alla realtà e che rappresenti al meglio gli intenti e – talvolta – gli sforzi di certe iniziative, anche in questo caso abbiamo voluto affidare il racconto alle parole della stessa Eleonora, che con grande disponibilità ci ha trascinati nel suo mondo di gesti, fantasia e solidarietà.

In cosa consiste il progetto?

Il progetto consiste in 6 laboratori, uno per ogni sezione della scuola dell’infanzia: si sviluppa in 15 incontri, uno alla settimana, della durata di un’ora circa: ogni percorso ha come fine una lezione aperta che coinvolge attivamente i genitori dei bambini. Durante i laboratori cerco di far lavorare i bambini per obiettivi specifici: parti del corpo, tempo, azione, spazio, relazione, dinamica.

In questo modo ogni bambino diviene consapevole del suo movimento in relazione agli altri e allo spazio seguendo una struttura che ad ogni incontro si ripete: rituale di inizio, riscaldamento, racconto della storia, esplorazione delle tematiche ascoltate, messa in forma, rituale finale.

Il progetto “Laboratori di Danza Creativa” è giunto quest’anno alla sua seconda edizione: cosa è cambiato dallo scorso anno?

C’è stata una comunicazione più organizzata con le insegnanti, con le quali ho scelto le tematiche più appropriate da sviluppare, tenendo conto delle loro esigenze didattiche. Il fatto di aver potuto presentare il progetto di persona ha aiutato molto anche i genitori a capire il tipo di lavoro che andavo a svolgere con i loro figli. In questo modo mi hanno potuto conoscere e ora posso contare sulla loro fiducia.

Cosa ti ha portato a elaborare un progetto di danza creativa per i bambini?

Il teatro e la danza hanno sempre fatto parte della mia vita fin da piccola: il mio sogno era quello di fare in modo che potesse diventare una professione. Dopo essermi laureata in Scienze e Tecnologie delle Arti e dello Spettacolo alla Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, ho frequentato una scuola di Teatro Sociale a Firenze, dove ho appreso gli strumenti per fare laboratori con persone con disabilità. Dal 2011 ho iniziato a lavorare nelle scuole e dal 2015, anno in cui mi sono trasferita a Roma, ho cominciato a collaborare presso il centro estivo organizzato nella scuola elementare Federico Di Donato dove ho incontrato i bambini che oggi frequentano i miei corsi di danza creativa. Le attività proposte hanno aiutato molti bambini con difficoltà motorie e intellettive a relazionarsi con gli altri e ad esprimersi all’esterno con un approccio alternativo.

I bambini con cui lavori a quale fascia di età appartengono? Trovi maggiore facilità a rapportarti con i più piccoli o con i più grandi?

I bambini hanno dai tre ai sei anni, dal primo all’ultimo anno di materna. Mi trovo bene con qualsiasi età, i più piccoli sono un po’ più impegnativi a causa della loro soglia di attenzione che non è altissima, mentre i più grandi, se stimolati, riescono a far uscire movimenti molto interessanti.

A fronte della tua lunga esperienza, possiamo dire che la danza rappresenta un linguaggio universale?

Il linguaggio del corpo è universale. Gli allievi con cui lavoro, arrivano un po’ da tutto il mondo: Cina, Bangladesh, Ecuador, Colombia, Filippine, Nigeria, Marocco… alcuni sono nati in Italia da genitori stranieri, altri figli di italiani e in molti casi non parlano bene la nostra lingua. Ma la danza serve anche a questo: infatti, chi non sa bene l’italiano si muove per imitazione guardandomi o guardando gli altri compagni. La musica altrettanto è importante, perché li aiuta a muoversi con il ritmo giusto, in modo armonioso, facendo movimenti spezzati, pesanti o leggeri. I loro gesti cambiano a seconda degli stimoli che propongo loro: un disegno, un pupazzo, un foulard, una piuma o un libro illustrato li aiuta a sviluppare non solo la fantasia ma anche a combattere un eventuale imbarazzo davanti agli altri compagni.

Che benefici comporta un progetto di questo tipo nella relazione bambino-genitore?

La danza dà la possibilità ad entrambi di riappropriarsi del proprio corpo e di un tempo “extra-quotidiano”, la quarta parete si rompe e gli spettatori diventano attori. Guardando danzare insieme i genitori con i propri figli si vedono le dinamiche di relazione, la complicità, l’affettuosità, il distacco… penso che sia fondamentale il contatto con i propri figli, un abbraccio che si trasforma in una danza la stessa che c’era nell’utero materno. Il momento della restituzione finale in particolare, smuove la sensibilità dei genitori: una mamma di un bambino che ora è in prima elementare, un giorno mi disse: “complimenti è stato bello vedere mio figlio fare questo, e poi è stato diverso ed emozionante”.

Quale futuro vedi per il tuo progetto?

Anzitutto, parto dal presente: spero che i bambini si trovino bene durante tutto il laboratorio e che si sentano liberi di esprimere se stessi e la propria creatività, imparando a stare in relazione con gli altri in modo armonioso e rispettoso. Mi auguro che i genitori apprezzino questo lavoro e che ci sia l’occasione anche per il prossimo anno di replicare. Mi piacerebbe fare un incontro con i genitori per farli conoscere tra loro attraverso la danza dove, appunto, la “barriera” del linguaggio viene superata.

 

Giulia Catania

 

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